di Gianni Barbacetto e Antonella Mascali
La prossima settimana sarà determinante per il caso Ruby. Il giudice delle indagini preliminari deciderà se concedere il giudizio immediato per Silvio Berlusconi. E la procura manderà agli altri indagati (Nicole Minetti, Emilio Fede, Lele Mora) l'avviso di chiusura indagini, depositando ai difensori gli atti a loro carico. Queste, almeno, le previsioni che si fanno nel Palazzo di Giustizia milanese. Il gip Cristina Di Censo dovrebbe comunicare la sua decisione sul processo al presidente del Consiglio, accusato di concussione e prostituzione minorile. E dovrebbe essere chiusa anche l’inchiesta sui (finora) tre intermediari, accusati di aver procurato a Berlusconi le ragazze dei festini, tra cui la minorenne Karima El Mahroug, in arte Ruby.
Sarà il momento per rimettere in fila tutta la vicenda e per chiarire gli aspetti che sono stati confusi dalla propaganda politica e dal contrattacco mediatico berlusconiano. “Hanno spiato Arcore dal gennaio 2010, i magistrati si sono intromessi nella vita privata del presidente del Consiglio e dei suoi ospiti, con un uso massiccio delle intercettazioni telefoniche”, ripete la difesa del fronte berlusconiano. In realtà, le persone intercettate sono solo 40, gli investigatori coinvolti soltanto una decina, nessuno ha spiato le residenze del premier. E l’indagine è cominciata solo nel luglio 2010. Per caso.
Sono due i fascicoli da cui nasce. A giugno arrivano a Pietro Forno, il procuratore aggiunto che coordina il gruppo di pm che si occupa di reati sessuali, le segnalazioni del Tribunale dei minori e degli assistenti sociali sulle vicissitudini di una certa Ruby, diciassettenne marocchina in perenne fuga dalle comunità protette a cui è assegnata. È la stessa ragazza che viene segnalata al pm Antonio Sangermano, per le sue disavventure. Il 5 giugno deve arrivare una volante della polizia per interrompere un violento litigio tra Ruby e Michelle Coincecao, una donna brasiliana che la ospita in un appartamento di via Villoresi, a Milano. Le due si accusano a vicenda di essere prostitute. Gli agenti portano Ruby in ospedale, dopo aver appurato che è una minorenne che risulta “affidata” a Nicole Minetti, consigliera regionale, ma introvabile. Le relazioni dei poliziotti finiscono alla procura, che ricostruisce a ritroso una storia dai contorni a prima vista assai slabbrati. Dichiarazioni confuse, vanterie, accuse incrociate di furto, lividi e risse tra ragazze dal mestiere incerto. I magistrati non danno troppo peso alla vicenda. Ne capitano tante, così, in città. Non credono alla ragazza. In questa storia, però, alcuni conti non tornano. Per chiedere in affido Ruby si era fatto vivo nientemeno che Lele Mora. Va di persona in via Dogana, al nucleo pronto intervento dei servizi sociali per i minori di Milano. Chiede un colloquio, concesso, con il responsabile, Egidio Turetti. L’affido è rifiutato. Ma Mora non si arrende e ci riprova attraverso la figlia Diana, più presentabile: è sposata ed è madre. I servizi sociali hanno l’obbligo di fare relazioni sulle loro attività al Tribunale dei minori che, in presenza di vicende sessuali con il coinvolgimento di maggiorenni, si rivolgono anche alla procura.
E Nicole Minetti? Aveva avuto in affido la ragazza una settimana prima, il 28 maggio, durante una strana notte in questura. I due magistrati, Forno e Sangermano, hanno in mano ciascuno soltanto un pezzo del puzzle. Lo raccontano, con molti dubbi e punti di domanda, al procuratore fresco di nomina, Edmondo Bruti Liberati. Bruti si accorge che i due parlano della stessa ragazza. Il puzzle, ricostruito, fa affiorare una storia imprevedibile. I due fascicoli diventano uno. E vi affluiscono nuove carte. La relazione, datata 28 luglio, dei due agenti di polizia che a maggio hanno portato Ruby in questura. Vi si spiega che la ragazza era entrata accusata di furto ed era uscita dopo alcune telefonate nientemeno che del presidente del Consiglio, il quale sosteneva fosse “la nipote di Mubarak”.
Ruby viene ascoltata dai magistrati. Il 2, il 6 e il 22 luglio e poi ancora il 3 agosto 2010. Intanto partono le intercettazioni telefoniche. Limitate: soltanto 40 “bersagli”. La storia comincia a prendere forma. I personaggi e gli interpreti assumono contorni più chiari. Le vanterie della ragazza (dice di conoscere Berlusconi, di essere stata più volte ad Arcore, di avere ricevuto molti soldi) sono verificate dai racconti di altre ragazze intercettate.
Ma a questo punto scatta attorno a Ruby, che aveva l’obbligo di stare in comunità, una vera e propria rete di protezione. La sua vera vita viene occultata. Dimenticate le sue vanterie agli assistenti sociali, come la relazione a pagamento, durata una settimana, con un noto attore, idolo delle fiction all’italiana. Spuntano gli avvocati. Dapprima Luca Giuliante, tesoriere lombardo del Pdl e legale di Lele Mora nelle questioni tributarie. Accudisce Ruby (con un mandato ricevuto da chi?). Poi, a novembre, Giuliante passa la mano all’avvocato Massimo Dinoia che però la settimana scorsa ha rinunciato all’incarico (e tutt’ora non c’è un suo sostituto). In mezzo ci sono Niccolò Ghedini e Piero Longo, legali di Berlusconi. Fanno partire la macchina delle indagini difensive: strumento delicatissimo, che rischia di condizionare i testimoni interrogati dagli avvocati, prima che questi vengano sentiti dalla pubblica accusa. Nello studio milanese del collega Giorgio Perroni, in uno studio di Arcore e a Palazzo Grazioli, Ghedini e Longo interrogano e verbalizzano decine di persone, ragazze delle feste e altri testimoni della vicenda Ruby. Karima intanto ha addolcito i suoi racconti e “concede” un’intervista su Canale 5 ad Alfonso Signorini, lo spin doctor di Berlusconi.
Nessun commento:
Posta un commento