lunedì 14 febbraio 2011

Nella partita col Colle il Pdl sceglie la linea dura


UGO MAGRI

Mentre Fini lo sfidava da Rho, mentre la rivolta al femminile riempiva le piazze, ieri il Cavaliere se ne stava in Sardegna con la testa altrove, tutto fuorché preso dagli accadimenti politici. Poche telefonate di routine, commenti con sbadiglio sul congresso Fli, silenzi gonfi di sprezzo per le manifestazioni di donne, via libera ai capigruppo Pdl che molto insistevano per una risposta secca a Napolitano, e mettere dei paletti (o perlomeno provarci) circa il potere presidenziale di sciogliere le Camere. Che cosa vada maturando nella mente del premier lo capiremo stamane, quando Berlusconi si collegherà con il programma condotto su Canale 5 da Belpietro, il quale è anche direttore di «Libero», giornale di punta nella polemica contro il Capo dello Stato.

Questa scelta di confidarsi con lui, anziché ricorrere ai soliti videomessaggi, viene considerata già parecchio indicativa degli orientamenti berlusconiani. Quello che pensano i gerarchi, invece, è illustrato nel lungo, puntiglioso comunicato diffuso con firma in calce di
Cicchitto, Corsaro, Gasparri e Quagliariello. Due i passaggi da segnalare. Il primo, dove si dice che siamo in presenza di un «governo legittimo» con tanto di «sostegno della maggioranza parlamentare» come si è dimostrato nelle ultime votazioni; l’altro, dove si afferma: «Alimentare il senso di confusione tra i poteri dello Stato rischia di aggravare le difficoltà piuttosto che contribuire alla loro soluzione».

Con chi ce l’ha, il Pdl? Con un signore domiciliato in via del Quirinale, che l’altro ieri aveva minacciato di mandare tutti a casa casomai si aggravasse lo scontro nelle istituzioni. I capigruppo ribattono: caro Napolitano, attento, perché così il gioco si fa pesante, se proseguirai lungo questa strada non esiteremo a darti prima o poi del golpista... Confida l’estensore materiale del documento: «Abbiamo scelto un tono grave e misurato anche perché ci siamo confrontati con Letta», il quale notoriamente è una super-colomba e incarna il galateo delle istituzioni, mai avrebbe consentito attacchi senza creanza al primo cittadino della Repubblica.

Però non si fa mistero, nel Pdl, che l’uomo del Colle ha preso una piega decisamente ostile. E senza scavare sui veri perché (circolano al riguardo parecchie ipotesi più o meno fondate), scatta subito il riflesso pavloviano di spianare i fucili, se non i cannoni.

Non è un caso che torni in auge l’ipotesi, lungamente accarezzata dal premier ma sempre rinviata, di promuovere una grande manifestazione nazionale, i muscoli della destra contro quelli della sinistra, in un braccio di ferro dagli esiti avventurosi, e tuttavia sempre più inevitabile nella logica degli strateghi berlusconiani: «Perché noi non possiamo porgere l’altra guancia ai pm, a Fini, a Di Pietro, ora anche a Napolitano, senza mai reagire»; soprattutto, «non possiamo perdere la piazza e scomparire come vorrebbero i nostri avversari».

E’ una logica cieca, disperata, senza prospettiva, ma tant’è: se prendono piede questi propositi, si annunciano mesi di enorme stress per le istituzioni. Rispetto a venti giorni fa, i dubbi sembrano spariti. Anche chi manifestava disagio per la condotta del leader (nella cerchia ristretta praticamente tutti) ora se ne sta ben allineato e coperto. La falange berlusconiana in apparenza è compatta, pronta allo scontro finale. Unico motivo di apprensione resta la Lega.

Perché non è sfuggita l’offerta di Fini, federalismo in cambio di una nuova legge elettorale, elezioni tra un anno con un governo diverso... Se i terzopolisti hanno un piano, Fini l’ha messo in chiaro: corteggiare Bossi. Poi, certo, la storia mai si ripete identica, Napolitano non è Scalfaro, escluso che il Capo dello Stato voglia promuovere ribaltoni. E poi l’Umberto mai si farebbe traviare, mette la mano sul fuoco Osvaldo Napoli, «dei Fini e dei Casini lui mica si fida».

Eppure... Un brivido ha solcato la schiena a molti, nel quartier generale Pdl, quando Maroni ieri se n’è uscito dicendo: «Napolitano ha ragione, per la legislatura il rischio è reale».
Se la Lega cambia idea, non c’è piazza berlusconiana che tenga: avanti un altro e tanti saluti ad Arcore.

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