mercoledì 16 febbraio 2011

Ora neanche il premier esclude il voto "È un golpe, non vogliono farmi governare"


di FRANCESCO BEI e RODOLFO SALA

Il voto anticipato si avvicina. Lo chiede la Lega, mentre lo stesso Berlusconi, finora contrario, nelle ultime ore non lo esclude più categoricamente, arrivando a soppesarne i pro e i contro. Umberto Bossi è sempre più scettico sulla possibilità di tenere in vita un'esperienza di governo che considera agli sgoccioli. Tanto da aver confidato ai fedelissimi, prima di recarsi in serata a palazzo Grazioli, la sua "dead line" per la legislatura: "Portiamo a casa il federalismo e poi liberi tutti". Annuncio accompagnato da forti perplessità sulla tenuta del Pdl: "Silvio è circondato da coglioni".

La notizia del rinvio a giudizio sorprende Berlusconi in Sicilia, dove era andato (a costo di provocare qualche malumore al Viminale) per cercare di tirarsi fuori dal Rubygate, almeno per un giorno. La rabbia è tanta, il Cavaliere si sfoga con Maroni e il prefetto Gabrielli, durante il sopralluogo al residence degli Aranci. Vorrebbe esplodere in conferenza stampa ma
Gianni Letta interviene con l'estintore, convincendolo al telefono a rientrare a Roma, evitando l'ennesimo frontale con il Quirinale. Così, mentre nel Transatlantico l'atmosfera è da ultimi giorni di Pompei, il premier si chiude nel fortino di palazzo Grazioli, insieme agli avvocati, allo stesso Letta e ai collaboratori, studia per tutto il giorno la strategia per rispondere alle toghe. Un primo passo è lo screening scientifico dei tre giudici donna del collegio milanese. E le notizie non sono positive. Le tre, alla luce delle sentenze precedenti, sarebbero dei veri "ossi duri". La condanna, nel caso il Pdl non riuscisse a fermare i giudici con il conflitto d'attribuzione o qualche altro escamotage politico-parlamentare, viene data per scontata. I tempi inoltre sarebbero brevi, brevissimi. Già entro maggio potrebbe arrivare la sentenza di primo grado, a settembre la condanna in appello. Una tragedia, visto che il 24 maggio il premier dovrebbe presentarsi a Deauville, in Francia, per il vertice G8. Con il rischio, in caso di condanna, di essere messo all'indice dalle cancellerie e trattato come un Lukashenko qualsiasi. Berlusconi è un vulcano pronto a esplodere, già questa mattina se ne potrebbe avere prova nella conferenza stampa convocata a palazzo Chigi con Giulio Tremonti. "Secondo questi magistrati - si è sfogato - dal prossimo mese io dovrei andare ogni settimana in aula per i quattro processi. Vogliono trasformare l'Italia in un'aula di giustizia per impedirmi fisicamente di governare. È un colpo di Stato strisciante". L'amarezza del premier lambisce anche il Colle, visto che proprio al capo dello Stato, in previsione di quanto è accaduto ieri, Berlusconi aveva chiesto aiuto. "Napolitano non farà nulla, inutile insistere", ha tagliato corto con chi gli chiedeva lumi sui rapporti con il Colle.

Così, benché come ultima carta, la tentazione di rovesciare il tavolo e accogliere i suggerimenti di Bossi per il voto anticipato è tornata ad affacciarsi a palazzo Chigi. Chi lo conosce bene, come Pier Ferdinando Casini, teme che alla fine sarà proprio quello l'esito dello scontro in atto: "A questo punto non possiamo escludere - ha confidato il leader dell'Udc a un amico - che Silvio abbia un colpo di testa e ci porti tutti a votare. Ad ogni buon conto io ho sconvocato la nostra assemblea nazionale di fine febbraio". Proprio di elezioni, in effetti, ieri il premier ha ragionato con
Gianfranco Micciché, salito al primo piano di palazzo Grazioli per annunciargli la formazione dei gruppi di Forza del Sud in Parlamento. "Se Fini, come sembra, va con la sinistra - ha spiegato il Cavaliere - noi facciamo il pienone di voti. Di quel 40 per cento di indecisi che ci sono, la maggioranza viene con noi".

Senza un piano preciso, la verità è che Berlusconi oscilla tra diverse ipotesi: resistenza a palazzo Chigi oppure voto anticipato. Ieri si è persino diffusa la voce di dimissioni spontanee. Raccontano infatti che il Cavaliere sia stato anche sfiorato dall'idea di fare un passo indietro per togliersi dalla linea del fuoco dei pm. È circolata nel Pdl l'ipotesi di un governo Letta, di armistizio, per escogitare una sorta di "salvacondotto", conquistare un anno di tempo e costruire con calma la candidatura a premier di
Angelino Alfano. Ma Berlusconi non si fida: "Come faccio a dimettermi se mi sparano addosso? Non c'è nessuno che può darmi garanzie". Così la carta del passo indietro è caduta dal tavolo. Al momento quindi si procede su quanto già stabilito, anzitutto l'allargamento della maggioranza, affidato a Denis Verdini e Daniela Santanché. Un'operazione resa ancora più impellente dopo che ieri in commissione Bilancio (la più importante), con l'arrivo a sorpresa dell'Udc Renzo Lusetti, il centrodestra è sceso a 24 contro 25. In pratica, il governo non ha più i numeri per far passare i propri provvedimenti, a meno che il gruppo dei "responsabili" non s'ingrossi fino a 29 deputati con qualche prestito dal Pdl. Occorre chiudere la partita entro la prossima settimana visto che è in arrivo il Milleproroghe e, al momento, sia nella Bilancio che nella Affari Costituzionali il centrodestra è sotto. Una condizione che non fa che aumentare il nervosismo di Bossi e di Tremonti. "O arriviamo presto a 330 deputati - è l'ultimatum del ministro delle Riforme - oppure non ha più senso continuare a galleggiare. Approviamo il federalismo con la fiducia e andiamo a votare".

(16 febbraio 2011)

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