sabato 5 marzo 2011

NESSUN TESTIMONE DI RAZZA BIANCA O NERA


di Gian Carlo Castelli

Assolto perché la vittima aveva dichiarato il falso: con questa sentenza si è concluso il processo nei confronti di Vittorio Addesso, ispettore di polizia in servizio presso il Cie milanese di via Corelli denunciato da una giovane nigeriana, Joy per tentata violenza sessuale. Il fatto risale all’agosto del 2009 e il racconto della ragazza è questo: durante una delle bollenti serate estive di quei giorni, Joy e la sua amica Helen (rinchiuse nel centro dopo una retata anti-prostituzione) si sdraiano su alcuni materassi portati in cortile per sfuggire al caldo. A un certo punto, secondo il racconto della giovane, l’ispettore, insieme al quale era presente un dirigente del Cie, Massimo Chiodini in forza alla Croce rossa italiana, si avvicina a Joy e si sdraia sul suo corpo, toccandole il seno e tentando poi di baciarla.

LEI SI RIBELLA: “…però non si fa così, non posso dove dormo, tu vieni sopra di me e tu mi toccare così, io non piace così...”. Alle rimostranze della ragazza (riportate letteralmente nella sentenza le cui motivazioni sono state rese note due giorni fa), secondo la denuncia, l’ispettore si sarebbe schermito, “stavo scherzando” ed è finita lì. “Da giorni mi chiedeva il numero di telefono per fidanzarsi con me una volta uscita”, dirà ancora la nigeriana. Alcuni giorni dopo scoppia una rivolta nel Cie a cui Joy partecipa e viene arrestata.

Durante il processo lei racconta questa storia e, dopo la sua denuncia, si apre un fascicolo d’indagine. L’ispettore nega tutto, lo stesso fa il dirigente della Croce rossa che sarebbe stato presente (“insieme alla mia amica si adoperò per tirare via l’ispettore da me”, secondo Joy) e a quel punto l’unica testimonianza per l’accusa rimane quella di Helen che non viene ritenuta, però, attendibile. Visto, però, che si tratta di violenza sessuale, sottolinea la sentenza, sarebbe sufficiente anche soltanto l’accusa della parte lesa. Ma il codice penale prevede il principio dell’attendibilità soggettiva della vittima e qui il processo subisce la svolta: Joy (e la sua amica Helen), si legge nella sentenza, era una persona tratta in arresto per la rivolta nel Cie proprio dall’ispettore Addesso in seguito testimone al processo e quindi, conclude il giudice Luerti, “la persona offesa è portatrice di un intenso interesse proprio”.

Nella sentenza si legge, poi, dell’assenza di altre testimoni (“nessuna amica di razza bianca né alcuna nigeriana”, viene scritto con linguaggio discutibile). Insomma, una specie di ritorsione personale. Inoltre, in questo modo, avrebbe potuto evitare l’espulsione in quanto parte lesa. “Non è vero affatto – secondo l’avvocato di Joy, Eugenio Losco – la ragazza aveva già ottenuto un permesso per aver denunciato i suoi sfruttatori. Lascia perplessi, inoltre, il fatto che la denuncia di Joy sia stata considerata un falso. Avrebbero potuto dire che non c’erano prove sufficienti ma non che abbia deliberatamente raccontato una cosa per un’altra”.

L’ARCHIVIAZIONE dell’ispettore è stata chiesta dallo stesso pubblico ministero . “E questa è un’altra anomalia – dice il legale – perché il pm Ghezzi che aveva svolto l’indagine aveva ritenuto di rinviare a giudizio l’imputato e poi la stessa procura, senza che fossero intervenuti altri elementi, ha deciso di archiviare”. Ora Joy, dopo un’odissea di trasferimenti in diversi Cie sparsi lungo la penisola, si trova in una struttura protetta nel nostro Paese. L’ispettore Addesso, invece, ha querelato la ragazza per diffamazione.

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