di Furio Colombo
Sto cercando di immaginare come sarà il capitolo Italia-Libia nei libri di Storia della Carlucci, cioè libri non comunisti.
I protagonisti, come è noto, sono il sanguinario Colonnello Gheddafi, a cui ci lega ancora il più stretto trattato di fraterna amicizia (ratificato trionfalmente da un Parlamento quasi unanime, meno quattro gatti radicali e pochi cani sciolti); sono gli Insorti, che da due mesi vengono massacrati dal loro ex glorioso e celebrato leader; sono un presidente francese sotto elezioni che ha immediatamente capito che lo si notava di più se bombardava; sono un’alleanza detta NATO priva del tutto di visione politica al momento. E l’Italia.
Il suo capo prima dice che non interviene, per non disturbare il Colonnello. Poi i nostri aerei volano come richiesto dalla NATO. Ma, ripete il ministro della Difesa tutto d’un pezzo,
Restiamo con tristezza, ai fatti.
Primo, in tutto il mondo democratico che ha passato decenni a fare affari con
Qualcuno avrà sperato in una guida ferma degli Stati Uniti, che hanno un presidente come Obama, premio Nobel per
Non è andata così.
È un mondo in cui si deve chiedere un favore a Berlusconi e ti accorgi subito che stiamo vivendo in un mondo in cui, molto prima di dover correre in aiuto dei rivoltosi, si doveva correre in aiuto dei migranti fermati in mare, e tutti sanno cosa vuol dire: un cimitero nel Mediterraneo. Il Nordafrica chiedeva aiuto ben prima di Misurata. Ciò che chiedeva costa meno della guerra. Io sono fra coloro che vogliono correre in aiuto di chi si rivolta contro Gheddafi. Rimpiango che accada ora e in questo modo, e con la guerra come il solo strumento e dopo una lunga festa celebrata mentre Gheddafi stava già massacrando il suo popolo e incassando la sua taglia.
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