martedì 19 aprile 2011

MILANO GIUDICA B.


Non sarà un tribunale, ma il voto per il sindaco a decidere il futuro politico del Caimano

di Gianni Barbacetto e Davide Vecchi

Silvio ci vuol mettere la faccia. Ha capito che la partita del 15 maggio per il sindaco di Milano è cruciale: una sconfitta sotto la Madonnina avrebbe un valore politico nazionale. Dunque ha deciso di buttare tutto il suo peso nella campagna elettorale. Ma se, nonostante questo, la perdesse (la partita e la faccia)? Deve cercare di sostenere Letizia Moratti, candidata del centrodestra non troppo amata neppure dentro il suo stesso schieramento: tiepidi i “laici” Pdl del presidente della Provincia Guido Podestà, distaccati i ciellini di Roberto Formigoni, decisamente freddi i leghisti.

Il presidente del Consiglio reagisce promettendo di essere d’ora in avanti molto presente a Milano. Per adesso ha buttato in faccia a Letizia barzellette e grandi sorrisi, minacciandola anche di un “doppio bunga-bunga”, quando l’11 aprile è arrivata in ritardo alla cena dei dirigenti lombardi del Pdl a villa Germetto. Da qui in poi, però, si è prefisso di alzare i toni e di trasformare il voto per il sindaco di Milano nel solito referendum pro o contro Silvio Berlusconi. Ha quasi sempre funzionato, ma stavolta alcuni dei suoi (da Gianni Letta a Paolo Bonaiuti) tremano: il momento non è dei più propizi, per Silvio. E Lady Moratti è intrinsecamente debole in città.

GIULIANO PISAPIA, il candidato del centrosinistra a cui è riuscito il miracolo di tenere insieme uno schieramento che va dai comunisti di Rifondazione ai moderati del voto d’opinione della Milano borghese, potrebbe farcela. È infatti pressocché impossibile che Moratti vinca al primo turno. E al ballottaggio, il 29 maggio, tutto può succedere. Anzi, un sondaggio Ipsos realizzato a Milano a fine marzo disegna il seguente scenario: Moratti al 43,8 per cento con Pisapia che la tallona al 42,1 al primo turno; e trionfo di Pisapia al ballottaggio con il 52,4, con Moratti bloccata al 47,6. Di sicuro gli incerti e l’area del non voto, registrati anche dal sondaggio Ipsos, restano la grande incognita della partita: 35,5 al primo turno, 46,4 al secondo. Ma si sa che i ballottaggi funzionano anche attraverso la capacità che un candidato ha di attirare o meno al voto i suoi elettori potenziali. E quanto a capacità d’attrazione, Moratti risulta particolarmente debole.

A determinare i risultati del primo turno pesa il buon successo (l’8,1 per cento, secondo l’Ispos) del candidato centrista, Manfredi Palmeri, sostenuto dai finiani di Fli e dall’area Rosa bianca-Udc di Bruno Tabacci. Al di là delle sigle, una parte dell’elettorato moderato milanese impedirà, se le previsioni si avvereranno, la vittoria al primo turno di Moratti. E al ballottaggio, che cosa succederà? “Ci penseremo quando arriverà il momento”, risponde Giuseppe Valditara, vicepresidente dei senatori di Futuro e libertà: “Ovviamente ora lavoriamo per arrivarci noi, al secondo turno. La linea di Fli, decisa insieme a Gianfranco Fini e Italo Bocchino, è quella di non stringere accordi né con Moratti, né con Pisapia. Poi vedremo. Di sicuro non sosterremo Moratti. Per quanto mi riguarda, io non sosterrei neanche Pisapia, ma l’unico dato certo, al momento, è la grande crisi di Letizia Moratti”. Insomma: magari non si spingeranno fino a sostenere Pisapia, ma di certo non andranno a votare Moratti.

E LA LEGA? Non fa mistero di non amare affatto la “sciura” Moratti. Ha tentato di metterle accanto un vicesindaco del Carroccio: doveva essere quel Matteo Salvini già ora capogruppo leghista in consiglio comunale. Non c’è riuscita. E ora preferisce stare a guardare , senza compromettersi troppo: né la partita dell’Expo, né quella del Piano di governo del territorio, né quella dell’Ecopass (il ticket per entrare in centro con le auto) hanno appassionato gli uomini del Carroccio. Ed è prevedibile che al ballottaggio i leghisti non si scapicolleranno per far vincere la signora.

Come se non bastassero le questioni serie, Letizia Moratti ha anche problemi alla sua estrema destra. Ha stretto patti con La Destra di Francesco Storace e con la Fiamma tricolore. Fuori dal suo schieramento, con un loro candidato sindaco alternativo, restano soltanto i neonazisti di Forza nuova. Ma nei giorni scorsi è scoppiato il caso Stefano Di Martino. Vicepresidente del consiglio comunale, è ritenuto (insieme a Roberto Jonghi Lavarini) il portabandiera della destra nostalgica della Repubblica di Salò, delle organizzazioni patriottiche, combattentistiche e monarchiche. Ma Ignazio La Russa, coordinatore Pdl molto presente a Milano, l’8 aprile ha escluso Di Martino dalle liste: a causa, spiega, della sua condanna in primo grado a nove mesi per aver partecipato nel 2007 alla sommossa dei cinesi di via Paolo Sarpi (la Chinatown milanese) e del suo rinvia a giudizio per un finanziamento concesso all’associazione Alkeos, nata per svolgere attività di mediazione con la comunità cinese, ma impiegato per altri fini.

DI MARTINO E JONGHI minacciano una lista filomonarchica: “Senza il nostro pacchetto di voti, Letizia Moratti sarà sconfitta”. Il sindaco abbozza: il 14 aprile riprende con sé Di Martino. “Abbiamo trovato un accordo per proseguire una collaborazione con il consigliere Di Martino che da tempo è impegnato, in maniera particolare, con la Cina e la comunità cinese di Milano”, dichiara Moratti. Il ruolo promesso a Di Martino è quello di consulente per l’Expo, per i rapporti con il mondo asiatico e la Cina. In più, a Jonghi sono state promesse altre contropartite “più patriottiche”, come l’eventuale intitolazione di una strada, piazza o giardino a Umberto II di Savoia e a Paolo Caccia Dominioni, eroe di El Alamein.

Alla debolezza del sindaco si somma però stavolta la debolezza del leader. L’uomo del bunga-bunga non è certo al culmine del suo splendore politico. Tanto che per un momento nel Pdl si era ipotizzato di presentare come capolista non Berlusconi, ma Mariastella Gelmini. Poi Silvio ha deciso di giocare il tutto per tutto. È sempre stato lui il capolista alle comunali di Milano. Con risultati buoni, ma mai clamorosi. Nel 1997 porta a casa 49.629 preferenze, con Gabriele Albertini diventato sindaco con 318.075 voti. Nel 2001 le preferenze sono state 52.577, con Albertini che fa il bis facendo un pieno di 495.938 voti. Nel 2006 è la prima volta di Letizia Moratti, che vince con 353.298 voti (di cui 197.056 portati da Forza Italia) e Berlusconi incassa 53.297 preferenze.

Vedremo come finirà la prossima partita. Fini lo ha dichiarato apertamente: Berlusconi è “molto preoccupato” per le elezioni comunali a Milano, angustiato da sondaggi non soddisfacenti. E il presidente del Consiglio sa bene che Massimo D’Alema nel 1999 fu travolto proprio da elezioni amministrative andate male e dovette lasciare la guida del governo. Stavolta potrebbe essere la Lega, in caso di sconfitta a Milano, a decidere di staccare la spina e imporre le elezioni.

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