domenica 10 aprile 2011

Sturmtruppen al “Secolo”


di Flavia Perina

Caro direttore, le scrivo perché le performance dei Galeazzo Musolesi della ex An credo meritino una pubblica riflessione sulla evoluzione della cultura politica della destra italiana (quella rimasta fedele al Cavaliere).

Da sedici anni gli “ex impresentabili” rivendicano orgogliosi la svolta del '94, quando i lavacri di Fiuggi e lo sdoganamento da parte di Silvio Berlusconi li avrebbero finalmente mostrati al Paese nella giusta luce: una comunità di patrioti, democratici da sempre nonostante lo stereotipo violento cucitogli addosso, con una storia controversa ma perbene, sopravvissuta alla temperie del Novecento grazie a dirittura morale, coraggio, assoluta lealtà reciproca.

La favola si è infranta nello spettacolo visto alla Camera nell'ultima settimana, quando sono stati proprio loro, gli “sdoganati”, Ignazio La Russa e Massimo Corsaro, a mostrare che sotto gli abiti di sartoria quel mondo è rimasto lì, alla vecchia San Babila, tra il mito ridicolo ma vagamente inquietante del santo manganello e lo scaciato populismo in camicia nera dei loro anni '70.

Ma c'è una piccola storia, la storia del mio “ex giornale”, il Secolo d'Italia, che illumina la verità meglio delle intemperanze in diretta tv cui tutta l'Italia ha assistito.

Dunque, da dieci giorni sono stata cacciata. E di questo si è già parlato abbastanza. Nulla si è detto invece delle modalità con cui la “'Gnazio editore”, come l'ha chiamata Stefano Di Michele, assieme alle sue brigate d'assalto sta governando il giornale dopo esserselo preso con un blitz amministrativo.

Le disposizioni arrivano per iscritto, con fogli d'ordine recapitati da segretarie o fattorini. Bisogna controfirmarle, per fornire la prova che siano state ricevute e recepite. Il primo e principale dei dispacci ha fissato la regolamentazione degli accessi in redazione: conoscenti, parenti, collaboratori, colleghi, devono identificarsi all'entrata. Il loro nome viene trascritto su un apposito registro. L'ingresso deve essere autorizzato dal direttore responsabile Luciano Lanna (che ovviamente si è rifiutato di svolgere mansioni da questurino) oppure dall'Amministrazione, entità evocata con la maiuscola come le mitiche Istanze Superiori degli anni delle Br o il Grande Fratello di orwelliana memoria.

La schedatura degli ospiti viene quotidianamente trasmessa alla medesima Amministrazione.

Non solo: il consiglio di amministrazione insediato con la scusa di una “gestione più pluralista”, fin dalla prima settimana ha delegato ogni suo ruolo e compito a una persona che neanche ne fa parte, il signor Giordano, fedelissimo di Ignazio La Russa e per suo conto tra i Garanti della Fondazione ex-An. Un uomo solo al comando della normalizzazione ...

Quella che era una libera comunità di giornalisti, intellettuali, amici, gente della cultura o della politica – come può testimoniare il collega Luca Telese, tante volte ospite da noi durante la chiusura delle pagine diventata una versione sfigata della Fortezza Bastiani.

Il “nemico” dietro le colline sono, immagino, i Tartari finiani di cui si deve esorcizzare l'invisibile ma incombente presenza per spianare la strada a un'altra creatura fantastica: il Nuovo Direttore.

Non l'hanno ancora trovato. E non me ne sorprendo: anche la vecchia becerodestra aveva lo stesso problema, tantoché nella cinquantennale storia del giornale si contano solo due “esterni” approdati alla guida dell'organo di partito, Alberto Giovannini (formidabile ma a fine carriera, arrivò nel 1982 e morì nel 1984) e Giano Accame (assunto in una breve parentesi di rinnovamento).

L'elenco dei giornalisti contattati e lusingati per prendere il mio posto è lunghissimo: Torriero, Dell'Orefice, Giuli (Antonella), Paradisi, un paio di nomi del Giornale, De Angelis, Malgieri, Buttafuoco. Tutti hanno detto no, perché un conto è essere amici dei sanbabilini e un conto è consegnare la propria immagine professionale a gente che – per restare nella metafora della celebre piazza milanese – passa la giornata davanti al bar a insultare i passanti e a mostrare i bicipiti sotto le magliette griffate.

E allora, la vicenda del Secolo spiega bene il punto. C'è una destra impresentabile che non è cambiata mai. È passata obtorto collo sotto le forche caudine di Fiuggi, si è acconciata a raccontarsi democratica e civile per esigenze di mercato, ha cambiato barbiere e sarto, ma non si è mai culturalmente evoluta e dopo la cacciata di Gianfranco Fini è tornata a essere se stessa probabilmente con un sospiro di sollievo. Non deve più fingere di seguire il leader che ha imposto Fiuggi e l'adesione ai valori del popolarismo europeo, non deve più nemmeno preoccuparsi di sembrare “normale”, ma può riconciliarsi con la sua natura peggiore sotto lo sguardo benevolo di Silvio Berlusconi che ha bisogno esattamente di questo: qualcuno che presidi la nicchia elettorale della retorica postmissina, il ciarpame dell'anticomunismo fuori tempo massimo, i “miti della razza e degli odi di partito”, come cantava Guccini negli anni '80.

Scrisse una volta Pietrangelo Buttafuoco che “se non ci fosse stato Berlusconi la destra sarebbe diventata oscena, una di quelle pagliaccesche parodie come se ne possono trovare nel mondo: xenofobia, isteria sociale, razzismo, islamofobia”.

Oggi scopriamo che la verità è l'esatto opposto.

Sotto la guida del Cavaliere, un re Mida all'incontrario, gli ex colonnelli “escono al naturale”, quasi che si volessero definitivamente adeguare allo stereotipo descritto da un loro amico politico, Camillo Langone, sul Foglio di qualche mese fa: “Una genia di umanoidi”, “protagonisti dei limacciosi anni di piombo”, “rottami della storia”, “color nero di seppia, o fogna”. “Solo Berlusconi, umanamente troppo buono e politicamente troppo smanioso di vincere, poteva farsi carico di voialtri”, concludeva Langone. Col senno di oggi, direi che ci aveva visto lungo. E l'unico, vero, dispiacere è per quel giornale, per il “mio” Secolo (ne sono ancora socia per l'un per cento), con il quale abbiamo appassionatamente cercato di mettere in luce “l'altra faccia” della destra, finito in balia di queste sgangherate Sturmtruppen che pensano di governare le idee con i Telegrammen del Kolonnellen.

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