lunedì 16 maggio 2011

Israele, scontri e morti alle frontiere nella giornata della rabbia palestinese


La "giornata della Naqba", ovvero del disastro, come i palestinesi definiscono l’anniversario della creazione di Israele nel 1948, ha quest’anno infiammato pericolosamente la frontiera dello Stato ebraico con il Libano e con la Siria, dove almeno 20 persone sono state oggi uccise quando i soldati israeliani hanno respinto una folla di manifestanti che tentava di sconfinare al grido di: «Con la nostra anima e con il nostro sangue, siamo pronti al sacrificio per la Palestina».

Sin dalle prime ore del giorno, migliaia di palestinesi si sono radunati nella cittadina libanese di Maroun al Ras, a ridosso della "linea blu" di demarcazione con Israele. La maggior parte erano giunti a bordo di decine di pullman da tutto il Libano, dove in
12 affollati campi vengono ospitati 300-400mila profughi. E la situazione è rapidamente degenerata quando i manifestanti hanno iniziato a lanciare sassi contro i soldati israeliani dall’altro lato della barriera tra i due Paesi, e i militari hanno risposto aprendo il fuoco. Poco prima, già i soldati libanesi avevano sparato in aria ripetutamente per cercare di prendere il controllo della situazione.

La forza dell’Onu dispiegata nel Sud Libano (Unifil) ha collaborato con i libanesi fornendo con i suoi elicotteri «assistenza per l’osservazione aerea», ma ha anche messo in chiaro con un comunicato che l’esercito libanese è «responsabile della sicurezza e del rispetto della legge». In serata il bilancio delle vittime: almeno dieci morti e un centinaio di feriti, secondo quanto hanno detto fonti mediche. E dieci morti ci sono stati anche nel villaggio di Majdal Shams, sulle alture del Golan tra Siria e Israele, dove in una situazione analoga, alcune decine di manifestanti palestinesi sono riusciti a penetrare in territorio israeliano e di nuovo i soldati dello Stato ebraico hanno reagito a colpi d’arma da fuoco. Anche qui il bilancio è pesante: i feriti sono decine, e nel tardo pomeriggio, i cadaveri di dieci manifestanti che avevano sconfinato sono stati consegnati alla Croce Rossa Internazionale dalle autorità israeliane e trasferiti in Siria. Anche questo Paese ospita profughi palestinesi, circa 450.000.

Si tratta degli scontri più gravi da molti anni al confine tra Siria e Israele, relativamente tranquillo sin dalla guerra del 1973, quando Damasco tentò di riconquistare le alture del Golan occupate dallo Stato ebraico nel 1967. A Damasco, il ministero degli esteri ha prontamente «denunciato fermamente gli atti criminali di Israele contro il nostro popolo sulle alture del Golan, in Palestina e nel Sud del Libano, atti che hanno causato diversi morti e feriti». Ma Israele ha replicato affermando che «chi è al potere in Siria ha organizzato questa manifestazione violenta per tentare di distogliere l’opinione mondiale da ciò che sta accadendo nelle sue città». Di certo in Siria, il regime del presidente
Bashar al Assad è fortemente sotto pressione da oltre due mesi per le manifestazioni a favore della democrazia, e oggi ha dovuto registrare gravi incidenti anche alla frontiera con il Libano: una donna è rimasta uccisa e cinque altre persone sono state ferite sul lato libanese, nei pressi di al Boqayaa, da spari provenienti dalla parte siriana. Si tratta di persone che stavano fuggendo dalla Siria a piedi. E altri sette manifestanti - secondo fonti della dissidenza - sono stati uccisi nella vicina cittadina di Tall Kalaskh dal fuoco dei militari.

Nessun commento: