ENZO BETTIZA
Il «secondo miracolo tedesco», come già lo chiamano, si staglia in tutta la sua potenza e solitaria ambiguità sullo sfondo di un’Europa sempre più disunita e attratta da una sorta di magniloquente cupio dissolvi. Mentre
Sull’onda dei movimenti euronegazionisti di estrema destra, onda che si diceva lunga ed è oggi veloce e corta, si sbaraccano con picconate gli accordi di Schengen. Erano accordi, fra l’altro, di profondo valore simbolico. Avrebbero dovuto rappresentare, con la libera circolazione dei beni e delle persone, un continente alfine rappacificato con la propria storia. Senza dogane, senza dazi, garitte, guardie di frontiera; in una parola, senza linee Maginot e Sigfrido.
Tutto è iniziato con la giusta decisione dell’Italia, coinvolta nell’infinita guerra libica voluta dalla Francia, di concedere un permesso di soggiorno europeo a ventimila migranti tunisini. Il grazie dei francesi, nonché dei loro accoliti belgi e danesi, premurosamente sostenuti dalla Commissione di Bruxelles, è stata la scorretta demolizione dei codici di Schengen. Nel blocco di Ventimiglia è risorto qualcosa che riporta alla memoria lo spirito isolazionista della Maginot mai sopito nei ministeri pesanti di Parigi. Sarà istruttivo anche ricordare che la «guerra umanitaria» in Libia, da cui si è dissociata
Le reazioni a catena, innescate dagli eventi nordafricani con rivolte indecifrabili e invasioni di massa inarrestabili, stanno di fatto portando alla chiusura dell’Europa senza frontiere. I populisti antieuropei francesi, fiamminghi, olandesi, danesi, finlandesi, svedesi incalzano e ricattano i rispettivi governi moderati, spaventati dall’ombra di cupe ghigliottine elettorali. Basti pensare all’immagine che dell’Europa dà al mondo l’Ungheria che, da gennaio, ne rappresenta la presidenza. Da Budapest la voce dell’autoritario premier Victor Orbàn, presidente di turno, ha annunciato inequivocabilmente: «Noi non crediamo nell’Unione Europea, crediamo nell’Ungheria. Il nostro lavoro nell’Unione varrà soltanto se l’Ungheria ne trarrà un tornaconto».
Dubito che
Superarle, dissolverle come? Accettando passivamente un anacronistico ritorno al vecchiume del passato? Oppure cessare di contemplare e di contare ipnotizzati i grandi numeri del miracolo tedesco, e cominciare a pensare a un secondo miracolo europeo: oramai, chi ha occhi per vedere non vedrà altra via d’uscita se non quella di una seconda rifondazione dell’Unione Europea, dopo l’inevitabile e forse imminente estinzione della prima. Magari invertendo le piste di decollo e partendo non più dall’economia ma soprattutto dalla politica.
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