domenica 15 maggio 2011

L'America nella palude immobiliare


FRANCESCO GUERRERA

Tu non vivi in America, vivi a New York». Trovai la frase, urlata da un amico in un affollatissimo bar di Soho nel corso di un’accesa discussione economica, offensiva - uno schiaffo retorico per ricordare allo straniero che non sarà mai in grado di penetrare i misteri del suo Paese adottivo. Rimasi a bocca aperta, capace solo di pagare il conto, salutare freddamente l’interlocutore e perdermi nella notte quasi primaverile. Mi ci vollero tre isolati tra le vecchie fabbriche ora trasformate in boutique d’alta moda e loft di lusso per capire che aveva ragione.

L’epicentro dell’economia americana non è nei grattacieli di Manhattan, nei grandi magazzini della Fifth Avenue o nei computer portatili dei banchieri di Wall Street.
Il commercio e la finanza di New York sono le arterie che facilitano la circolazione di capitali e merci ma il cuore pulsante dell’economia-guida del pianeta si trova nei sobborghi monotoni e senz’anima di Detroit, Atlanta, Sacramento e le mille altre città di un continente che si ostina a credersi nazione. Il mio amico ed io guardavamo nel posto sbagliato. La vera ripresa Usa non si può trovare in un bar pieno di yuppies nel quartiere più chic di Manhattan. Per sentire il polso dell’economia americana bisogna suonare il campanello delle casette a schiera, contare i cartelli «for sale» nei giardinetti ormai trascurati delle villette di periferia e chiedere ai lavoratori quanti soldi hanno per sbarcare il lunario.

Senza un ritorno di fiamma del mercato immobiliare, gli Stati Uniti saranno condannati ad anni di crescita anemica, con consumatori che non hanno i mezzi per ricominciare a spendere e società che non hanno i ricavi per ricominciare ad assumere. L’economia è il vero nemico di Barack Obama in vista delle elezioni del 2012 – un incubo molto più spaventoso dei fenomeni da baraccone che il partito repubblicano gli metterà contro.

Quando ho chiesto ad uno dei consiglieri del Presidente di elencare le tre priorità della Casa Bianca per il 2011 si è irrigidito e mi ha risposto: «Case, case, case». L’uomo del Presidente fa bene a preoccuparsi: le notizie dal fronte immobiliare non sono incoraggianti. Mentre altre parti dell’economia americana come il settore manifatturiero ed, ovviamente, la finanza sono rimbalzate bene dalla crisi e stanno crescendo a livelli non visti da anni, il mercato delle case è ancora nella recessione. Il prezzo medio di un immobile negli Usa è sceso del 3 per cento tra gennaio e marzo, il più grande calo trimestrale dalla fine del 2008, quando eravamo in piena crisi, secondo dati usciti questa settimana. E questa è solo la media: in posti come Detroit, Atlanta e Minneapolis, i prezzi delle case sono scesi di più del 15 per cento negli ultimi tre mesi, secondo Zillow.com, un sito di compravendite immobiliari.

Il tonfo ha scioccato gli esperti che pensavano che, dopo più di due anni di deprezzamento, il grande crollo del mercato immobiliare Usa stesse per finire. Secondo Paul Dales di Capital Economics, i prezzi delle case potrebbero calare di un altro 10 per cento quest’anno – il doppio di quanto lui stesso prevedesse prima di vedere gli ultimi numeri.

La notizia è veramente clamorosa perché non c’è mai stato un periodo nella storia degli Stati Uniti in cui le case siano state cosi convenienti. Non solo i prezzi sono calati per 57 mesi di fila, ma i tassi d’interesse sono praticamente zero - un regalo in un Paese in cui quasi tutti i mutui sono a tasso fisso – e ci sono milioni d’immobili sul mercato a causa della crisi. Eppure nessuno compra. Le case a più basso prezzo dai tempi di George Washington e Benjamin Franklin e nessuno compra. Come è possibile?
Gli economisti possono spiegare solo parte del problema, la psicologia e le scienze politiche dovranno fare il resto.
Sul fronte economico, la ripresa americana ha, fino ad ora, fatto pochissimo sul piano dell’occupazione. Esportazioni e finanza – i due motori della crescita Usa – non hanno creato abbastanza posti di lavoro ed il tasso di disoccupazione è al 9 per cento, molto più alto della media e, soprattutto, ben al di sopra di dove dovrebbe essere a questo punto del ciclo.
La mancanza di assistenza sociale – in America il «welfare state» è considerato una follia europea – crea un circolo vizioso in cui la disoccupazione, o anche semplicemente la paura di perdere il posto, rende impossibile l’acquisto di case. Questo, a sua volta, scoraggia altri consumi e frena l’economia, aumentando la disoccupazione e così via. Il governo e le banche ci hanno messo del loro.

Invece di cominciare una riforma seria e decisiva del mercato immobiliare, che per decenni è stato falsato da sussidi di Stato e condoni fiscali, l’anno scorso l’amministrazione ed il Congresso decisero di introdurre un’agevolazione fiscale temporanea. Il risultato è stato prevedibile: le vendite delle case sono aumentate un pochino nei mesi in cui l’esenzione era in vigore per poi crollare rovinosamente alla fine della vacanza fiscale. Le banche in questo non aiutano.

Bruciate dalla crisi – in cui hanno perso migliaia di miliardi di dollari su prestiti che non vennero mai ripagati - le istituzioni finanziarie ci stanno andando con i piedi di piombo, negando mutui anche a chi se li può permettere. La riluttanza delle banche è comprensibile ma contribuisce all’impasse del mercato delle case e riduce l’effetto positivo dei tassi super-bassi. Il dilemma per la Federal Reserve è che prima, o poi, avrà bisogno di alzare i tassi - per evitare una caduta libera del dollaro e l’inizio di una spirale inflazionistica – ma lo stato di coma del mercato immobiliare rende una decisione del genere praticamente impossibile. Lo spettro della stagflazione – crescita zero e inflazione – che si pensava debellato nel dopo-crisi sta ritornando a tormentare le notti di politici e banchieri centrali. Come tutti i fantasmi, anche questo passa per i muri e si nasconde nelle case. Sia in America che a New York.
Francesco Guerrera è il caporedattore finanziario del Wall Street Journal
Francesco.guerrera@wsj.com

Nessun commento: