di Marco Travaglio
È venuto il momento di confessare l’irrefrenabile invidia che proviamo nei confronti di Maurizio Belpietro.
Se fossimo incappati in due infortuni professionali – chiamiamoli così – come quelli che l’hanno investito tra capo e mento a distanza ravvicinata, cioè il falso attentato a se medesimo e il falso attentato a Fini, saremmo finiti kappaò.
Poi ci saremmo scelti un eremo trappista ben nascosto in Aspromonte e avremmo fatto perdere le nostre tracce per una decina d’anni, nella speranza di essere dimenticati.
Lui invece è sempre lì in prima linea, mento volitivo, pancia in dentro e petto in fuori, a dare lezioni di giornalismo.
L’altra sera Santoro ha trasmesso un’intervista a Emanuele Catino, l’imprenditore pugliese che ha confessato di aver inventato un progetto di attentato a Fini da attribuire a B. per fargli perdere le elezioni comunali.
“Volevo dimostrare – ha spiegato al pm Spataro – com’è facile rifilare bufale a certi giornali italiani”. Infatti, per esser certo di riuscirci, si era rivolto a Belpietro, un nome una garanzia.
“Mi pareva impossibile – ha aggiunto nell’intervista a Roberto Pozzan – che il direttore di Libero pubblicasse tutto fidandosi soltanto delle mie parole. Invece più inventavo più lui mi credeva. Alla fine la storia cominciò a sembrare vera persino a me”.
Il 27 dicembre, con sua grande sorpresa, Catino legge l’editoriale di Belpietro sulla prima di Libero: “Girano strane storie a proposito di Fini. Non so se abbiano fondamento, se si tratti di invenzioni o peggio di trappole per trarci in inganno. Se ho deciso di riferirle è perché alcune persone di cui ho accertato identità e professione si sono rivolte a me assicurandomi la veridicità di quanto raccontato... Toccherà ad altri accertare i fatti”.
Questi: “Ad Andria c’è chi vorrebbe colpire Fini in una delle sue prossime visite e per questo si sarebbe rivolto a un manovale della criminalità locale, promettendogli 200 mila euro” con “l’impegno di far ricadere la colpa sul presidente del Consiglio... L’operazione punterebbe al ferimento di Fini... in primavera, in prossimità delle elezioni, così da condizionarne l’esito. Vero? Falso? Non lo so. Chi mi ha spifferato il piano non pareva matto... In cambio non mi ha chiesto nulla, se non di liberarsi la coscienza”.
Dal che si deduce che, per rifilare una patacca a Belpietro e vedersela pubblicare in prima pagina, basta non sembrare matti e non chiedere soldi, poi si può raccontare qualunque bufala.
Una lezione di giornalismo di cui i giovani cronisti prenderanno buona nota.
Ieri, furibondo con Santoro per aver rivelato la storia (nascosta da tutti i giornali, esclusi Corriere, Espresso e Fatto), Belpietro balbetta che non poteva far altro che pubblicare la “notizia”, perché “sfortunatamente non dispongo come Travaglio né di intercettazioni né di amici pm che indaghino per me” onde evitare di scrivere cazzate.
Intendiamo rassicurarlo: se non scriviamo cazzate non è perché disponiamo di intercettazioni o di pm, ma solo perché le notizie siamo abituati a verificarle. E, se non riusciamo a verificarle, non le scriviamo.
Lui comunque se la cava dicendo che aveva “preavvisato i lettori dell’impossibilità di verificare la fonte”: avvertenza pleonastica, essendo i suoi lettori più che allenati ai prodotti del Premiato Bufalificio Belpietro & C.
Poi aggiunge che, “se avessi tenuto per me una soffiata, Santoro mi avrebbe accusato di aver celato la notizia per antipatia nei confronti di Fini”.
Sarebbe come dire che, se qualcuno venisse a raccontarci che Belpietro rapina le banche o prepara la bomba atomica, noi avremmo il dovere di scriverlo per non essere sospettati di celare la notizia per antipatia nei confronti di Belpietro. Che, peraltro, ci sta simpaticissimo.
Soprattutto ora che rischia una condanna addirittura per “procurato allarme”.
Reato impossibile: solo la mente malata di una toga rossa può ipotizzare che, quando Belpietro lancia un allarme, qualcuno ci creda.
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