di Marco Travaglio
Dunque, per la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, il Tribunale di Torino non doveva condannare a 16 anni per omicidio volontario il dirigente ThyssenKrupp per i sette operai bruciati vivi nello stabilimento di Torino.
La sentenza sarebbe “un unicum in Europa” da non imitare perché – addirittura – “potrebbe allontanare gli investimenti esteri dall’Italia e mettere a repentaglio la sopravvivenza del nostro sistema industriale”.
Vivi applausi dalla platea (e pochissime critiche in Parlamento, se si eccettuano quelle del ministro Calderoli e del gruppo Idv: silenzio dal Pd).
Naturalmente
Ma basta leggere una sentenza della IV sezione penale della Cassazione, depositata il 12 febbraio 2009, per nutrire qualche dubbio sull’“assoluto totale impegno” della signora, come rappresentante non solo di Confindustria, ma anche e soprattutto del gruppo Marcegaglia.
Si tratta della condanna definitiva di Antonio Zagaglia, direttore dello stabilimento Marcegaglia di Ravenna, per lesioni personali colpose gravissime ai danni del giovane operaio Catiello Esposito, rimasto vittima di un terribile incidente che gli costò “l’amputazione del piede destro e quindi della gamba fino al terzo medio per il sopraggiungere di necrosi cutanea, nonché una ferita da scoppio alla mano sinistra”. Il lavoratore, da poco assunto con contratto di formazione, era addetto al controllo di una “macchina cesoia” che srotola la lamiera, ne taglia i bordi e poi la riavvolge. Quel giorno la lamiera si aggrovigliò: Esposito, senza disattivare la macchina, salì su una pedana per controllare, si sporse troppo e precipitò sulla lamiera in movimento. Il piede destro e la mano sinistra, risucchiati dai rulli, finirono irrimediabilmente maciullati. Colpa sua, ha sostenuto al processo il direttore Zagaglia, dandogli dell’“imprudente” e del “negligente”. Colpa di Zagaglia, hanno invece stabilito i giudici: era delegato aziendale alle norme di sicurezza e ha violato in più punti la legge 626/94. Di qui la condanna alla pena detentiva, senz’attenuanti né sospensione condizionale per i numerosi precedenti penali specifici; e la condanna per lui e per il “responsabile civile”, cioè il gruppo Marcegaglia, a risarcire i danni all’operaio mutilato (in attesa della causa civile, l’operaio ha avuto una provvisionale di 80 mila euro).
Motivo: Zagaglia “omise di istruire adeguatamente il lavoratore circa le proprie mansioni e le modalità d’uso della macchina, nonché circa i rischi connessi all’uso della stessa”, tanto più che “la vittima era un giovane inesperto, assunto da soli tre mesi con contratto di formazione lavoro, che aveva finito con l’apprendere ‘sul campo’ la natura delle proprie mansioni, sulla base delle indicazioni dei colleghi anziani”.
Un autodidatta allo sbaraglio. Il vertice aziendale non aveva mai organizzato un solo “corso di formazione sull’utilizzo della macchina”, inserendo “il lavoratore nello stabilimento senz’addestrarlo adeguatamente a svolgere le mansioni assegnategli e senza informarlo in materia di sicurezza”. Per di più aveva “tollerato la prassi aziendale di intervenire sulla macchina senz’arrestarne il movimento, dopo aver superato le protezioni”, consentendo “l’instaurarsi di una prassi lavorativa ad alto rischio” che “consentiva di agire in tempi più rapidi e funzionali alla produzione”. Il confine fra reato colposo e doloso si fa estremamente labile, visto che il dirigente era già stato condannato altre volte per vicende simili (
Che ci faceva un plurirecidivo ancora alla guida di uno stabilimento?
Viene persino il sospetto che sabato
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