venerdì 27 maggio 2011

Roma moschea aperta “Qui tutti parlano italiano”

È LA PIÙ GRANDE D’EUROPA, HA DETTO “NO” AD HAMAS ECCO PERCHÉ PER BOSSI NON ESISTE

di Beatrice Borromeo

È vero che qui nascondete i terroristi? “Di domande come questa se ne sentono di più da quando è iniziata la campagna elettorale”, racconta il responsabile della Lega musulmana mondiale in Italia, Mario Scialoja. “E noi mostriamo il Corano, che prescrive il rispetto per tutte le altre religioni”. Perché nella più grande moschea d’Europa, quella che sorge su 30 mila metri quadri ai piedi del quartiere Parioli, a Roma, almeno 600 ragazzi italiani vanno due volte alla settimana a studiare il culto dell’Islam. Ma secondo l’allarmismo da ballottaggio della Lega, la Capitale potrebbe presto perdere il suo primato. In questi giorni Umberto Bossi ripete: “Non lasceremo Milano in mano a Pisapia, un matto che vuole costruire la più grande moschea d’Europa”. Sottinteso: altro che luogo di culto, sarà la base di tutti i seguaci di Osama bin Laden.

E gli stessi ragazzi, studenti tra i dodici e i diciassette anni che sentono ai telegiornali il premier Silvio Berlusconi tener buona la Lega usando il suo stesso linguaggio (Pisapia trasformerebbe il capoluogo “in una città islamica, e quindi insicura”), durante le visite guidate alzano la mano e chiedono: “Ma che combinate, qui?”.

Se in campagna elettorale si parla solo del fantasma della moschea meneghina, e non si racconta l’esperienza romana, è perché al Pdl non conviene: in Italia ci sono oltre 160 moschee e circa 220 luoghi di culto ma la Moschea di Roma, unico ente islamico riconosciuto dallo Stato, è quella che più si distingue per gli effetti positivi che ha sulla città. Lo ammette anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che appena un anno fa definiva la Moschea “un luogo di integrazione e di lotta contro il fondamentalismo”.

UN POSTO CHE, da quando è stato fondato, ha vissuto pochissimi momenti di tensione. Nel 2008 un gruppo di integralisti islamici ha chiesto di onorare il leader politico e religioso di Hamas, “lo sceicco Ahmad Yassin ucciso da Israele”. Ma i responsabili della Grande Moschea, Imam in testa, si sono rifiutati . E lunedì scorso hanno inaugurato la prima settimana della cultura islamica con il Rabbino Capo Riccardo Di Segni e lo stesso Alemanno. In Moschea non vanno solo i fedeli, che ogni venerdì mattina percorrono in duemila il porticato per inginocchiarsi sui tappeti blu e pregare insieme. All’inizio erano solo arabi musulmani, adesso sono asiatici, pachistani, senegalesi, somali, albanesi. E italiani convertiti. L’Imam è Alà al-Din Muhammad Ismà il al-Ghobashi, che alle dodici in punto comincia il suo sermone affiancato da una donna, Anna, che traduce le sue parole in italiano. Lui egiziano e musulmano, lei italiana e cristiana, si trovano dopo l’annuncio diffuso dall’altoparlante del minareto (ma risuona solo tra le mura della Moschea, per non disturbare il resto del quartiere). E poi i mediatori culturali, il bibliotecario che cura la raccolta di testi religiosi che tutti possono consultare, e Mohammad Rehman, il custode che ha cominciato a lavorare alla Moschea il 21 giugno 1995, giorno del solstizio d’estate in cui è stata inaugurata.

Ma ogni sabato in via della Moschea, davanti alle porte dell’edificio voluto dal re Faysal dell'Arabia Saudita e costruito dall’architetto Paolo Portoghesi, si affollano anche romani, turisti e curiosi. Si ritrovano nel mercato del kebab, tra il coriandolo e il cous cous, ad assaggiare datteri e fichi secchi. E tutti, arabi e italiani, parlano in italiano.

“Ci chiedono come mai ci pieghiamo per pregare, perché le donne sono separate da noi, cosa significa il velo, da dove vengono i mosaici sulle nostre pareti”, spiega Khalid Chaouki, membro per la consulta islamica in Italia. “Quando se ne vanno, si dicono felici di aver capito meglio il nostro mondo”, aggiunge. Un mondo che non è solo preghiera ma anche convegni, sport, incontri. “Prima, qui a Roma, pregavamo in via Bertoloni – racconta Mohammad il custode – ma non ci stavano più di duecento persone. Ora abbiamo un posto dignitoso dove ritrovarci”.

CRESCIUTO di dimensioni, il cuore musulmano di Roma ora sperimenta polemiche e faide interne che stamattina sfoceranno in una manifestazione fuori dalla Moschea contro la direzione del centro islamico, nelle mani del segretario generale Abdellah Redouane, in quota Marocco. Dall’altra parte c’è il saudita Al Mandil, presidente dell’assemblea generale che tutela gli interessi dell’Arabia Saudita, patria dell’Islam più conservatore. Una lotta di potere, molto romana , che non piace ai giovani: “Noi, che respiriamo la primavera araba, vogliamo far parte delle decisioni. È la nostra Moschea e deve crescere ancora di più. Nel nome dell’integrazione”.

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