venerdì 27 maggio 2011

Vilipendio di cadavere

di Marco Travaglio

Le ultime apparizioni del Cainano a Porta a Porta avevano riscosso ascolti miserrimi, così come le finte interviste a tg unificati.

L’altroieri, invece, lo share ha toccato il 20 per cento, roba che neanche il delitto di Cogne o di Erba o di Garlasco o di Perugia. È vero che anche mercoledì sera in studio c’era puzza di cadavere, ma questo non basta a giustificare l’ascolto record. Per spiegarlo è necessario citare la presenza di un oggetto per quei luoghi misterioso: la domanda. Al posto delle consuete sagome di cartone che solitamente arredano lo studio per meglio assecondare i soliloqui del padrone, l’altra sera c’erano tre giornalisti in carne e ossa dotati financo di favella: Franco del Corriere, Folli del Sole 24 Ore e Cusenza direttore del Mattino. I quali, horribile dictu, si permettevano addirittura di interrompere il One Nan Show.

A un certo punto, contagiato da cotanta baldanza, persino l’insetto ha proferito alcuni monosillabi, osando financo interrogarlo sullo scandalo Ruby. Nulla di eccezionale o eversivo, intendiamoci.

Per l’intera serata il pover’ometto ha potuto mentire spudoratamente su tutto, specialmente sui suoi processi che risultavano ora 24 ora 26 (variano col tasso di umidità). Ma quando lui parlava di 24 (o 26) “assoluzioni”, Vespa si permetteva nientemeno di correggerlo: “E le prescrizioni?”.

Al che il giurista di Arcore spiegava: “Prescrizione vuol dire che il pm non è riuscito a dimostrare le accuse”.

Invece, nel suo caso, vuol dire che le accuse erano fondatissime, ma lui l’ha fatta franca tirando in lungo il processo o accorciandone i termini per legge.

E lì nessuno ha osato contraddirlo.

Ma già il fatto che la prescrizione facesse la sua comparsa a Porta a Porta, dove per 17 anni è stata chiamata assoluzione, segna un punto di svolta storico.

Tant’è che l’insetto, atterrito dal suo stesso coraggio, faceva subito retromarcia: “È vero, i processi principali sono finiti in assoluzione” (come se la corruzione giudiziaria Mondadori, prescritta, o i falsi in bilancio Fininvest da 1.550 miliardi, prescritti, fossero roba secondaria).

Poi però Vespa tornava a martoriarlo su Ruby e la telefonata in questura, ridacchiando all’ennesima replica della farsa “La nipote di Mubarak” e suggerendo che i reati è meglio farli commettere da qualcun altro: “Cavaliere, ma perché non ha fatto telefonare dal capo della polizia?” (così ora gli imputati per concussione sarebbero due: B. e Manganelli).

Cusenza, ottimo cronista ma pur sempre nipote di Dell’Utri, osava rammentare al premier che “anche lui è un cittadino”, dunque è soggetto alla legge come gli altri.

Pure il pompiere capo Franco prendeva improvvisamente coraggio trasformandosi, al confronto dei suoi standard abituali, in un bohémien zuzzurellone e persino un po’ scapigliato. E con grave sprezzo del pericolo domandava: “Presidente, non pensa che attaccando i pm politicizzati si rischi di indebolire l’intera magistratura, compresa la più moderata, e di aggravare lo scontro fra giustizia e politica?”.

E poi quel Folli, ah quel Folli, che spericolato! Semiriparato sotto un riporto a nido di cinciallegra, azzardava: “A 17 anni dalla discesa in campo, lei non può incolpare gli errori della Prima Repubblica: lei è stato eletto proprio per correggerli”. E, quando B. attaccava la lagna sui crimini del comunismo, quello alzava gli occhi al cielo, come a dire “che palle”.

Rammentare che il raddoppio del debito pubblico negli anni ‘80 non fu “colpa dei comunisti” (sempre all’opposizione), ma di Craxi & C., pareva troppo persino a Folli. Ma già le sue faccine annoiate e insofferenti erano un esercizio di rara temerarietà. Alla fine l’inerme corpicino del Cainano, azzannato alla giugulare da quel branco di dobermann dell’ultim’ora, muoveva a sentimenti di umana pietà. I quattro giornalisti non più bocconi, ma ritti sulla schiena per infierire su quei miseri resti richiamavano alla mente il Grand Guignol di piazzale Loreto.

No, non era questa la fine che sognavamo per lui. Una prece, almeno una prece.

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