Tra poche settimane voteremo quattro referendum.
O no?
Sta di fatto che per raggiungere il seggio elettorale ci costringono alle montagne russe. Prima scegliendo una data balneare (e almeno in questo caso la perfidia costa: 300 milioni, 5 euro a ogni italiano, per il rifiuto d'accorpare i referendum alle amministrative). Poi sommergendo i quesiti con una coltre di silenzio nelle televisioni (da qui il richiamo sacrosanto di Napolitano). Infine sfogliando la margherita, strappandone un petalo alla volta. Dopo gli emendamenti introdotti nel decreto omnibus, il referendum sul nucleare attende solo che
Eppure dovremmo averci fatto il callo. Tutti i governi, di destra o di sinistra, di centro o di lato, hanno sempre avuto in gran dispetto il referendum. E infatti in Italia la sua storia è scandita da trucchetti. Comincia con 22 anni di ritardo rispetto all'orologio dei costituenti (la legge istitutiva è del 1970). Continua frodando il voto popolare (celebre il caso della consultazione sul finanziamento pubblico ai partiti, che nel 1993 venne abrogato dal 90% dei votanti, ma fu immediatamente riesumato sotto mentite spoglie dai partiti). S'interrompe quando i suoi nemici ricorrono allo scioglimento anticipato delle Camere pur di rinviarlo alle calende greche (è accaduto nel 1972, nel 1976, nel 1987, nel 1994). E in ultimo agonizza bevendo la cicuta dell'astensionismo organizzato, che ha via via fatto saltare 24 referendum dal
Questo livore contro il referendum maschera in realtà un'antica diffidenza dei politici italiani verso gli italiani. Per loro siamo soltanto un popolo bambino, ciascuno con indosso il suo grembiule. E d'altronde che ne sappiamo noi di questioni scientifiche complesse come l'elettrosmog (su cui votammo nel 2003), la fecondazione assistita (referendum del 2005), o per l'appunto il nucleare? Potremmo rispondere osservando che se l'elettore è incompetente, lo è altrettanto l'eletto. O forse anche di più, almeno a guardare le pupille vuote che si spalancano in tv. Potremmo ricordare che la prima Repubblica fu battezzata da un referendum (quello del 1946), e che un altro referendum (nel 1993) ha schiuso i battenti alla seconda. Ma il fatto è che la crisi della democrazia diretta, insieme al veleno inoculato dal «Porcellum» sul corpo della democrazia indiretta, ha reso traballanti le nostre istituzioni. Per forza: nessuno può reggersi su una gamba sola, per giunta malaticcia. E ogni democrazia viaggia su due schede, l'elezione e il referendum.
Ecco perché è diventato urgente correggere la fisionomia di quest'ultimo istituto, anziché baloccarsi con riforme impalpabili e improbabili. Il governo vorrebbe correggere
Michele Ainis
07 maggio 2011
2 commenti:
In verità più di una volta mi è venuto di pensare alla necessità del quorum, che in Svizzera, per es. non c'è.
Senza il quorum ogni forza (si fa per dire) politica dovrebbe battersi acché i cittadini vadano a votare, sapendo che un solo uno farebbe la differenza.
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