martedì 7 giugno 2011

Da Samarcanda all’editto bulgaro

n prima fila Santoro ai tempi di “Moby Dick” e “Samarcanda”

di Roberta Zunini

Sono trascorsi 15 anni dall'ultima volta in cui Michele Santoro fu costretto a lasciare la Rai. Nel 1996 dipese da una decisione interna alla sinistra e resa pubblica dall'allora presidente della Rai, Enzo Siciliano, attraverso l'ormai celebre frase “Michele chi?”, oggi la causa risiede nell'infinita conseguenza dell'editto bulgaro, pronunciato nel 2002 da Berlusconi in persona mentre si trovava a Sofia. Chi fosse Michele Santoro l'avevano capito tutti fin dal suo esordio come conduttore nella metà degli anni '80. Ribaltando la prospettiva e portando la piazza al centro del dibattito televisivo, il giornalista salernitano consentì al Tg3 diretto da Sandro Curzi di sviluppare un rapporto inedito tra il medium più potente, la tv e lo spettatore, non più soggetto passivo ma coautore di Samarcanda e Il Rosso e il Nero, per citare i primi esperi-menti ormai parte della storia dell'informazione televisiva italiana. Michele inventava un modo nuovo di fare informazione, apprezzato da milioni di spettatori. Per la prima volta l'opinione pubblica si sentiva coinvolta. Santoro nel frattempo acquisiva credibilità, criticando il potere che fino ad allora non era mai stato sfidato dal mezzo di informazione più efficace in Italia: la televisione. Come un fiume che nel suo scorrere incontra ostacoli e dighe, creati artificiosamente per contenerne l'impeto, così il discorso di Santoro, da tre lustri, è sottoposto a stop e censure.

Dopo essere stato cacciato dalla Rai dalemiana nel '95, andò a Mediaset.

Michele voleva entrare nel ventre di Moby Dick, la balena bianca arpionata a morte da “Mani pulite” e invece si infilò nella bocca del padrone.

Ne uscì solo tre anni dopo per non perdere la propria indipendenza. Ma ormai la bocca del padrone poteva emettere diktat ovunque.

Anche in Rai, dove Santoro era ritornato.

Dal 2002 al 2006 la diga berlusconiana sembrava aver funzionato: Michele Santoro, dopo essere tornato in Rai nel 1998 e avere quindi acceso II raggio verde sui mali del paese, era stato fermato con l'accusa di “uso criminoso” della tv pubblica.

Anni di conflitti interiori, giorni neri di rabbia e silenzio, poi lo spiraglio della politica europea e il rientro con Annozero nel 2006.

Ma il percorso più complesso iniziava proprio allora. Dopo un primo anno di ascolti bassi, il giovedì era tornata la serata in cui la gente si informava.

Milioni di spettatori trasformarono nuovamente Santoro e il suo programma nel “nemico” più temibile per il premier.

Le intenzioni inequivocabilmente censorie di Berlusconi, emerse dall'inchiesta di Trani, furono rese pubbliche dal “Fatto”.

Le pressioni sull'Agcom da parte del presidente del Consiglio, furono poi riproposte in una ricostruzione realizzata da Annozero. Da allora tutto divenne più complicato per il conduttore anche per l'atteggiamento dell'allora direttore generale, Mauro Masi. L'addio era stato annunciato già poco più di un anno fa quando – era il 18 maggio – attraverso un accordo consensuale con l’azienda al quale mancava solo la firma. Una firma che, tra vari scontri con Masi e una conferenza stampa di fuoco, non arrivò mai.

Intervenne il presidente della Rai Garimberti: “Adesso Annozero può cominciare”, disse.

Poi il 14 luglio l’ultimatum, e Santoro spiegò: “Non c'è più spazio per rinvii e ambiguità. E non c'è più tempo per trovare alcun accordo tra noi che non preveda la messa in onda di Annozero”. A fine luglio il Cda decide che dal 23 settembre Annozero sarebbe stata in palinsesto quella che ora risulta l'ultima stagione di questa “odiata” trasmissione. Mesi di battaglie e polemiche, soprattutto con Masi che il 27 gennaio chiama in trasmissione per l’ultimo, plateale scontro. Poi Masi lascia e arriva l’attuale dg, Lorenza Lei, con cui Santoro avrebbe firmato l’accordo dell’addio. Santoro ora gira pagina perché – come tante volte lui stesso ha confidato in passato – “non si può sempre recitare la stessa parte in commedia”. Forse ora lo lasceranno lavorare, ma la Rai non sarà più la stessa.

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