lunedì 27 giugno 2011

Il gioco stanco delle retromarce

Ormai è sempre più evidente che siamo nelle mani di leader penosi, di leader da strapazzo. A Pontida Bossi si è trovato al cospetto di un popolo, il suo popolo, che gridava «secessione, secessione ». Credevo, o meglio mi illudevo, che oramai la Lega si fosse attestata sul federalismo. Ma la autentica razza padana di Pontida resta indomita, vuole di più. Addirittura secessione, uscita. E sì che il nostro capo dello Stato si è impegnato come più non si poteva nel celebrare la festa della Repubblica e l’unità «indivisibile» del Paese. E Bossi? Bossi ha glissato. Aveva invece le sue richieste che ha presentato come ultimatum.

Prima richiesta: ritiro pressoché immediato dalla malriuscita e mal concepita guerra libica, oltretutto e se non altro perché ci costa un miliardo di euro (cifra che per altri sarebbe di 3-400 milioni). Ora, che l’impresa libica fosse balorda e mal concepita si è visto subito. Che Berlusconi ci sia stato tirato dentro controvoglia è un punto a suo merito. Ma oramai siamo coinvolti. E se Gheddafi restasse in sella, noi il petrolio della Libia ce lo possiamo scordare. Un grossissimo guaio perché i nostri governi non hanno mai avuto una politica energetica, e quindi rischiamo di ritrovarci senza petrolio e anche senza rigassificatori sufficienti per il metano. Bossi e Maroni lo capiscono? Si direbbe di no.

Maroni cerca anche di venderci la favola (se fosse intelligente saprebbe che è una favola) che Gheddafi ci manda profughi per vendetta, e che se «facciamo pace» non lo farebbe più. Al contrario, se Gheddafi vincesse continuerà a vendicarsi con sempre più soddisfazione mandandoci profughi a valanga spediti proprio da lui.

La seconda perentoria richiesta di Bossi è di trasferire alcuni ministeri al Nord. Le voci di corridoio sussurrano che dapprima Berlusconi abbia consentito, ma che poi se l’è fatta addosso (è una parafrasi del più colorito vocabolario bossiano) e ha fatto retromarcia annunziando soltanto traslochi di «sedi di rappresentanza operative ». Di conserva anche Bossi ha fatto retromarcia realizzando che la sua richiesta avrebbe suscitato un vespaio e comunque che era assurda. Sarebbe un costo (anche di disorganizzazione e di confusione) che non possiamo assolutamente sopportare.

Dopo tante marce avanti e indietro, cosa resta? Resta che tanto Berlusconi che Bossi chiedono perentoriamente a Tremonti di ridurre la pressione fiscale, di ridurre le tasse. È la medicina demagogica e irresponsabile di tutti i tempi. Ed è, in questo momento, una richiesta che disonora tutta la classe dirigente che la asseconda. Come siamo arrivati a un colossale debito pubblico del 120 per cento del nostro Pil, del nostro Prodotto interno lordo? Ci siamo arrivati, molto semplicemente, spendendo più di quanto lo Stato incassa. E questo debito pubblico comporta che lo Stato deve oggi pagare circa 80 miliardi di interessi annui ai sottoscrittori dei buoni del tesoro. L’Italia ha assunto l’impegno con l’Europa di ridurre il deficit con una manovra di 40 miliardi. Se non lo facciamo, i conti pubblici peggioreranno, e noi rischiamo la fine della Grecia.

Il dramma è che oramai a Berlusconi basta sopravvivere, e che a Bossi basta fare il padroncino al Nord.

Giovanni Sartori
23 giugno 2011

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