ALLA WEB-TV DEL FATTO QUOTIDIANO, IL SENATORE ACCUSA: “TUTTI SAPEVANO CHI AVEVANO DI FRONTE”
di Chiara Paolin
La vita di Alberto Tedesco cambiò in una notte di primavera, quella tra il 27 e il 28 aprile del 2005. A mezzanotte, come nelle favole, Nichi Vendola lo chiamò al telefono per fargli una proposta da sogno: vuoi diventare assessore alla Sanità per la mia giunta che presento domattina? Hai due ore di tempo per rispondere, ma dimmi di sì.
Tedesco, la cui famiglia gestisce da decenni il business milionario delle forniture medicali in Puglia, vide subito un piccolo problema narrativo in quella storia, e l’altra sera lo ha raccontato al web talk de ilfattoquotidiano.it, “È la stampa bellezza!”.
“Dissi a Vendola che i miei figli avevano le aziende in quel settore, e lui rispose che avremmo trovato una soluzione. Servivo io per cambiare il sistema, insisteva, così alla fine decisi di accettare”.
La versione del governatore sul punto è nota: Tedesco avrebbe promesso di blindare i suoi rapporti con le aziende di famiglia risolvendo brillantemente il conflitto d’interesse. Nonostante un riassetto del gruppo, da cui comunque non uscirono tutti i familiari, le polemiche continuarono - grazie all’Idv - mentre il Pd nazionale pensò di premiare l’assessore convocandolo direttamente a Roma.
“Nel 2008 fu Dario Franceschini, vicesegretario del partito, a chiamarmi. Mi offrì il nono posto nella lista Pd pugliese, quindi si trattava di una candidatura di servizio perché sarebbe stato impossibile farmi eleggere così in basso. Accettai per spirito di coesione. E comunque allora non si sapeva che ci fosse un’indagine in corso nei miei confronti”.
DARIO FRANCESCHINI conferma: “Lo chiamai, ma fu una sola telefonata cui non ricordo nemmeno se rispose subito sì o no. Dal partito regionale mi spiegarono la necessità di avere il suo nome, e comunque non sapevo nulla all’epoca delle sue attività d’imprenditore”.
Dunque la vicenda, benché giunta alle cronache nazionali, non aveva colpito la memoria di Franceschini. Un vero peccato, perché quando nel 2009 il senatore pugliese Paolo De Castro venne messo in lista dal Pd per le europee, a ereditare il seggio romano fu proprio lui, il cenerentolo Tedesco, quello che si salva sempre quando la situazione sembra ormai disperata: dimessosi a febbraio da assessore perché finito sotto inchiesta a Bari per gestione poco trasparente degli appalti nella sanità regionale, a luglio si ritrovò in un battibaleno senatore.
“Che dovevo fare? Appena avuta la notizia dell’indagine mi dimisi subito da assessore - spiega Tedesco -, poi però la nomina di De Castro mi portò a Roma. Direi che il Pd ha sempre saputo chi sono”.
Frecciata rivolta a chi, come Rosy Bindi e Anna Finocchiaro, ha cercato di marcare una differenza per spiegare la - presunta - devianza del senatore nel manipolare appalti e poltrone: Tedesco ha un passato da socialista, non è un vero piddino. Più giudizioso Franceschini: “Fu un errore sottovalutare le conseguenze della candidatura di De Castro - dice ora -. Certo la sua nomina a responsabile Ue dell’agricoltura ci ha dato ragione, ma avremmo dovuto calcolare meglio il peso della ricaduta”.
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