RAPHAËL ZANOTTI
Oggi che l’odore acre delle bombe carta e dei fumogeni si è diradato, per i sindaci della Val Susa è tempo di autocoscienza. Il danno mediatico prodotto dalle sei ore di scontri, domenica, rischia di essere letale per il movimento No Tav. La soverchiante potenza mediatica delle immagini di guerriglia ha già fatto piazza pulita dell’imponente manifestazione di 50.000 persone - molte famiglie con bambini - che i 23 sindaci hanno condotto da Exilles al campo sportivo di Chiomonte.
«Sui giornali, oggi, c’erano solo foto degli scontri - ragiona Dario Fracchia, sindaco di Sant’Ambrogio - Per fortuna c’è internet, facebook, che buca quel muro di omertà rappresentato dai mass media». La critica ai giornali sembra una risposta debole rispetto a quel che è capitato in Val Susa. E le parole dei Comitati No Tav («I Black Blocks non esistono, ci siamo solo difesi») segnano una spaccatura difficile da sanare.
Antonio Ferrentino, sindaco di Sant’Antonino, fiuta il pericolo: «Non so se erano Black bloc, ma ho visto centinaia di persone che non c’entrano nulla con
Dopo domenica, tutto è cambiato. Per stasera è previsto un incontro dei sindaci del centrosinistra e della comunità montana che dovrà affrontare la questione. Tutti sentono la necessità di cambiare rotta, riconfigurare.
«Una cosa è certa - dichiara Bruno Gonella, sindaco di Almese - Dobbiamo espungere queste frange di violenti. Molti sindaci non sono più disponibili a manifestazioni in cui c’è pericolo per la popolazione». Ma sul come, c’è incertezza. «Non siamo forze dell’ordine - dichiara ancora Fracchia - Una manifestazione non è una stanza con noi a fare da buttafuori. Personalmente prenderei a calci nel sedere quei duecento manifestanti che ieri hanno provocato gli scontri, e mi verrebbe da querelare personaggi come Mario Virano che tentano di mettere tutti sullo stesso piano, noi e i facinorosi, per interessi personali».
Chi sono quei violenti? si domandano oggi i sindaci. Sono professionisti della piazza, figli del disagio, che scelgono
Nilo Durbiano, sindaco di Venaus, condanna la violenza ma - avverte - violenza non è solo il sasso tirato oggi da un ragazzo con la maschera che gli copre il volto. «Gli scontri di ieri hanno molti genitori - dice - C’è la violenza delle istituzioni che escludono da due anni sindaci e presidenti della comunità montana democraticamente eletti dai tavoli di discussione, c’è la violenza di Torino e Roma che ci hanno tolto tutti gli strumenti per dare risposte alle nostre comunità, c’è la violenza della disinformazione che fa di tutto per non far vedere al resto d’Italia che qui c’è un movimento popolare, con rappresentanti istituzionali, che viene escluso e tagliato fuori da scelte che riguardano il proprio territorio».
È questa la rabbia dei sindaci della Val Susa. Una rabbia che oggi vede, oltre quelle sei ore di scontri, l’abisso in cui rischia di cadere un movimento che da vent’anni studia, s’informa, propone. Che non viene ascoltato e poi si ritrova imprigionato nell’immagine di fumogeni, idranti, scudi e proiettili.
«Questi scontri sono figli di un’impostazione sbagliata - dice Carla Mattioli, sindaco di Avigliana - Per sei anni soggetti come Virano, che oggi fanno gli avvoltoi, sono andati sui giornali dicendo che la valle era pacificata, che tutto era risolto, che eravamo rimasti quattro gatti a opporci all’opera. E così sono stati mandati quattro poliziotti».
C’è chi vuole tornare indietro. Come Gemma Amprino, sindaco di Susa: «Rivendico per
Ma quei tavoli, oggi, sembrano lontani.
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