di Bruno Tinti
Nelle sue performance “spintanee” (fosse stato per lui, rintanato a villa Certosa se ne sarebbe stato) B. ha spiegato al Parlamento e agli italiani che l’Italia sta bene, è ricca e in buona salute; che rispetto agli altri Stati c’è da leccarsi i baffi e che, di queste sue assicurazioni, i cittadini possono fidarsi perché lui di queste cose se ne intende: è un imprenditore che possiede tre aziende quotate che vanno benissimo; tanto che, “se avessi soldi (!), li investirei nelle mie (sic) società”.
Il discorso mi ha dato un senso di disagio, non mi è piaciuto; ma, sul momento, non mi sono reso conto del motivo. Abituato come sono a un B. che commette reati; ed essendo inusuale (gli anglosassoni qualificano questo modo di esprimersi understatement) che un presidente del Consiglio faccia pubblicità alle “sue” aziende, ho pensato che, ancora una volta, in qualche norma penale B. fosse incappato. Insider trading? Ma no, l’insider si ha quando Tizio utilizza notizie riservate per vendere o comprare azioni; ma qui B., paradossalmente, sta condividendo con l’Italia tutta una notizia che lui conosce bene, visto che sta parlando delle “sue” aziende.
Aggiotaggio, allora? Nemmeno: questo reato si ha quando, con informazioni false, si modifica la percezione che il mercato ha del valore di un titolo azionario; ma le aziende di B. vanno bene davvero, visto che lui ha provveduto a metterle al sicuro con leggi ad aziendam e con operazioni clandestine (a puro titolo di esempio: il raddoppio dell’Iva per Sky e la struttura Delta in Rai). Allora cosa?
Una dichiarazione di pura arroganza
POI HO CAPITO: mi dava fastidio essere preso per... i fondelli. Anzi no. Questo, con B. al governo o all’opposizione che sia, succede da un sacco di anni: non dico che mi sia piaciuto, ma ormai mi ci sono abituato... Mi ha dato fastidio l’arroganza, lo sbattersene delle forme, perfino di quelle più ovvie. Ma come: B. resta a fare il presidente del Consiglio perché il presunto problema dato dall’essere egli proprietario di Mediaset e giornali vari è stato risolto dalla legge Frattini secondo cui (art. 2) “Il titolare di cariche di governo non può ricoprire cariche o uffici o svolgere altre funzioni comunque denominate, ovvero esercitare compiti di gestione in società aventi fini di lucro o in attività di rilievo imprenditoriale” . B. ficca i suoi parenti in tutte le sue società e così fa legittimamente (?) il presidente del Consiglio.
Tutti capiscono che è una farsa, ma la legge è legge, lui la rispetta e si offende anche se gli si parla di conflitto di interessi. E oggi ci viene a dire che le società di cui la legge Frattini l’ha espropriato sono “sue” e che, essendo lui un “imprenditore”, tanto bene le gestisce da poter assicurare che sono solide e prospere? Ma al fastidio si è aggiunta una certa soddisfazione. Perché sempre la legge Frattini prevede (art. 5) che entro trenta giorni dall'assunzione della carica di governo, il titolare delle cariche di cui all’art. 2 dichiari all’Agcom le situazioni di incompatibilità. E suppongo che B. l’abbia fatto. Il successivo art. 6 prevede poi che l’Agcom accerti la sussistenza delle situazioni di incompatibilità e promuova, nei casi di inosservanza, la rimozione o la decadenza dalla carica ad opera dell'Amministrazione competente.
Ora, è vero che l’Agcom, in ottemperanza a quanto previsto dall’art.5, ha certamente fatto ogni sforzo per accertare che B. non versasse in situazioni di incompatibilità; e mi rendo conto che l’indagine era così complessa da giustificare la conclusione raggiunta: tutto va bene madama la marchesa. Ma oggi, oggi abbiamo un fatto nuovo.
Nel gergo utilizzato in quei covi d’illegalità comunista che sono le Procure della Repubblica, si chiama confessione. Sicché direi che l’Autorità, fortunosamente venuta a conoscenza di un fatto che, malgrado gli approfonditi accertamenti fatti in passato, non era mai riuscita a scoprire, adesso deve proprio promuovere la procedura di decadenza o rimozione di B. dalla carica ricoperta. La legge è legge.
Perché l’Agcom non interviene?
QUI C’È un problemino. Come deve fare l’Autorità per “promuovere” la procedura di decadenza? Eh, lo dice l’art. 6.
L’Autorità deve riferire al Parlamento il quale, essendo l’Amministrazione competente per i provvedimenti di rimozione o decadenza del titolare della carica di governo che abbia violato la legge Frattini, deve a sua volta buttare fuori B. da Palazzo Chigi.
Che mi pare improbabile. Un Parlamento che si è digerito senza problemi falsi in bilancio, frodi fiscali, corruzioni, prostituzione minorile e concussioni; che si è adoperato a più riprese per una legge che garantisse a B. l’impunità; che ha stabilito che B. è innocente da questi ultimi due reati perché ha agito nell’interesse del Paese, salvando quella che credeva essere la nipote di Mubarak da una procedura infamante che avrebbe messo in pericolo le relazioni tra Italia ed Egitto; che si è impegnato per far dichiarare alla Corte costituzionale che questa situazione di fatto deve essere accertata e deliberata dal Parlamento e non dall’Autorità giudiziaria; che si sta sbattendo per far approvare il processo lungo e il processo breve; un Parlamento come questo metabolizzerà senza tanti sforzi anche la doverosa e pertanto certa attività dell’Agcom per la promozione della procedura di rimozione o decadenza di B. dalla carica di presidente del Consiglio.
Ma forse il problema nemmeno si porrà.
L’Agcom recentemente si è pronunciata su una denunzia di conflitto di interessi mossa nei confronti di B.; che non c’è, ha detto, perché B., ogni volta che il Consiglio dei ministri delibera su qualcosa che riguarda le sue ex aziende, con suprema correttezza, esce dalla sala della riunione e vi rientra a deliberazione adottata.
Un’Autorità come questa troverà senz’altro modo di dichiarare che sì, è vero, B. ha detto “mie” aziende; ma si è sbagliato. È il suo profondo senso della famiglia che lo ha tratto in errore; voleva dire aziende dei “miei” figli, dei “miei” fratelli. Tutti teniamo famiglia, dirà l’Agcom, anche B.
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