JACOPO IACOBONI
Giorgio Napolitano torna a far sentire la sua voce sul caso di Cesare Battisti, il terrorista dei Proletari armati per il comunismo latitante prima in Francia e oggi in Brasile, dopo aver subito condanne in tre gradi di giudizio per omicidio e banda armata. A maggio il capo dello stato aveva definito «incomprensibile» lo stop del Tribunale Supremo del Brasile all’estradizione del terrorista in Italia, peraltro già negata dal governo Lula: «Una decisione aveva detto il presidente - che lede sia gli accordi sottoscritti in materia tra Italia e Brasile, sia le ragioni della lotta al terrorismo». Oggi ripete quelle parole, aggiungendovi un tassello cruciale per sgombrare i tanti equivoci sul terrorismo italiano cui molto ha contribuito la gauche caviar francese, ma non solo: «L’Italia condusse quella lotta nella piena osservanza delle regole di uno stato di diritto».
Il capo dello stato ha colto uno spunto informale - un ringraziamento per lettera all’ex giudice istruttore di Milano Giuliano Turone, che gli aveva spedito il suo libro «Il caso Battisti» appena uscito per Garzanti - per tornare su una vicenda che molto lo tocca, e periodicamente torna ad affacciarsi sui giornali italiani, con accenti tra il grottesco e l’impudico. Solo in questa fine di agosto, per dire, Battisti, fattosi riprendere sulle spiagge di Rio in pose pensose, ha concesso due lunghe interviste, prima a Rede Globo, poi a uno dei settimanali brasiliani più diffusi, «Istoé», nelle quali si avventura in affermazioni a ruota libera, tipo «non ho nulla di cui pentirmi», «gli autori di quegli omicidi sono stati arrestati e torturati dallo stato italiano», «mi piacciono le donne brasiliane» e, dulcis in fundo, «se non interferisce con la sua agenda, mi piacerebbe poter ringraziare il presidente Lula». Dev’essere parso allora più che opportuno, al capo dello stato, ricordare anche a Rio come viene vissuta quella vicenda dagli italiani. Come qualcosa di «profondamente lesivo», appunto. Una ferita aperta.
Spiega Napolitano nella lettera: «Sono ancora convinto che non siamo riusciti, istituzioni, politica, cultura ed espressioni civili - a far comprendere cosa abbia significato per noi la vicenda del terrorismo e quale forza straordinaria sia servita per batterlo». Una forza che, tiene a specificare, servì «per la difesa dell’ordinamento costituzionale dell’Italia», che avvenne senza mai rinunciare ai principi di uno stato di diritto.
Altro che Italia alla cilena, come vorrebbe la retorica degli intellettuali alla Fred Vargas e Philippe Sollers, che i magazine brasiliani si compiacciono ora di rilanciare. Battisti subì processi. Ebbe regolare difesa. Sparò materialmente - è accertato. Poi divenne scrittore, si travestì da esiliato, e s’infilò nelle maglie protettive - ma anche quelle, malintese - della dottrina Mitterrand.
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