lunedì 1 agosto 2011

D'Alema: «Chi è sotto accusa faccia un passo indietro»

FRANCESCO CUNDARI

Il problema, dice Massimo D'Alema, non è la «casta», ma Berlusconi. Silvio Berlusconi e il suo «egoismo titanico». Un presidente del Consiglio concentrato solo «sui suoi problemi giudiziari e le sue leggine ad personam», che per nascondere le sue responsabilità nella crisi «aizza campagne contro la politica in generale e contro di noi in particolare».

In che senso?
«Nel senso che se il problema è l’assistenza sanitaria per il deputato, meglio affidarsi all’unico che di sicuro non ne ha bisogno. È la filosofia illustrata da Giulio Tremonti: non rubo perché non ne ho bisogno. Dunque, per combattere la “casta” e avere una politica pulita, dovremmo affidarci ai ricchi. Una tesi antica, e discutibile anche nel merito: la storia dimostra che i ricchi rubano molto più dei poveri, perché hanno più esigenze. Ma ovviamente non è questo il punto».

E qual è?
«Il punto è che il centrodestra prima boccia in Parlamento le nostre proposte per tagliare costi e privilegi, come il vitalizio. E poi, sui suoi giornali, guida le campagne contro la “casta”. E contro il Pd».

Le inchieste che hanno coinvolto esponenti del Pd come Filippo Penati, però, non sono un'invezione dei giornali.
«Prima di tutto vorrei dire che noi non sottovalutiamo affatto il pericolo che un grande partito che ha responsabilità amministrative e di governo possa imbattersi in episodi di corruzione. E non rivendichiamo, ormai da tantissimi anni, una diversità genetica. Riteniamo che la politica debba avere delle regole, rispettare i magistrati e il loro lavoro, e abbiamo detto che non abbiamo nulla da nascondere e nessuno da proteggere. Le persone oggetto di gravi accuse facciano un passo indietro».

Il quadro che emerge dai giornali è preoccupante, non crede? «Si tratta di vicende che se venissero confermate anche solo in parte sarebbero molto gravi. Ma anche qui ci sono aspetti poco chiari, che suscitano almeno due domande. La prima è perché mai, trattandosi di vicende risalenti a molti anni fa, il principale accusatore di Penati non abbia usato quelle informazioni in campagna elettorale, quando si candidò con il centrodestra».

E la seconda?
«La seconda è dove sia finito questo fiume di denaro. Si parla di 20 miliardi di lire dell’epoca. Un’epoca in cui ricordo bene quali fossero le difficoltà economiche del partito milanese. Tanto che si dovette vendere la sede di via Volturno».

L’altro caso al centro delle polemiche è quello del senatore Tedesco, che dal punto di vista politico viene imputato soprattutto a lei.
«È naturale. Non appena qualcuno ha dei guai con la giustizia, subito la stampa lo battezza come “dalemiano”. A quel punto, l’unica speranza che ha di riprendere il suo nome è di essere assolto. Solo allora riacquista la sua identità».

Dunque, il problema non esiste?
«Il problema nasce dall’estrema scorrettezza del Pdl, che ha rifiutato di concedere autorizzazione all’arresto e voto palese in aula, nonostante a chiederli fosse lo stesso Tedesco, e ha rifiutato perché pensava così di crearci un problema. Purtroppo, aveva ragione. Infatti le responsabilità della destra sono subito scomparse dalla scena».

Al di là del voto parlamentare, non ritiene di avere avuto nella vicenda Tedesco qualche responsabilità?
«No, l’idea del complotto dalemiano su Tedesco è ridicola. Figuriamoci cosa si sarebbe detto se fossi stato io il presidente della Regione che lo ha nominato assessore alla Sanità. Avrebbero crocifisso me e tutto il Pd. Ricordo peraltro che Tedesco era in quel momento leader di un altro partito, aveva molti voti e il suo passaggio con il centrosinistra fu determinante per la vittoria di Vendola».

Al Pd si rimprovera di averlo portato in Parlamento, mandando in Europa Paolo De Castro...
«Forse qualcuno dovrebbe ricordare che Paolo De Castro è presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo. È forse la posizione più importante che abbia un italiano in Europa. L’idea che sia stato candidato non per sue qualità, ma per fare entrare Tedesco in Senato, è ridicola».

A proposito di questione morale, in tutte le vicende di questi mesi, che hanno toccato anche la sua fondazione, non ritiene di avere nulla da rimproverarsi?
«Il mio errore riguarda il fatto di avere lasciato che per un anno Vincenzo Morichini raccogliesse fondi per la fondazione Italianieuropei, cosa del tutto lecita e documentata nel modo più trasparente. Ma la sovrapposizione con le attività private di Morichini ha creato evidentemente un conflitto di interessi che avremmo dovuto evitare, prevenendo ogni possibile rischio del genere. Ecco quel che mi rimprovero. Ma questo non giustifica la campagna inaccettabile scatenata contro di noi in particolare dai giornali che sono direttamente o indirettamente riconducibili al presidente del Consiglio, un pulpito da cui davvero non si possono accettare lezioni sulla questione morale».

Non teme che la campagna faccia presa sull’elettorato?
«Gli italiani vogliono un’altra politica e lo dimostrano i sondaggi di questi giorni: nonostante tutte le polemiche, il Pd non registra il minimo calo. L’idea di cancellare la politica e di affidarsi al partito-impresa di un miliardario gli italiani l’hanno già sperimentata e gli effetti si vedono».

Alcuni dicono che se lo stato intervenisse di meno nell’economia si correrebbero meno rischi. Che ne pensa? «Siamo stati noi che abbiamo privatizzato e liberalizzato, non certo la destra. Tuttavia il vero grande problema che non solo in Italia ma nel mondo ci troviamo di fronte con la crisi è proprio quello di tornare a un primato della politica sull’economia. Il dominio della finanza e del mercato senza regole, cioè senza la politica, è stato all’origine della crisi di oggi e ha contribuito anche a produrre una caduta di tensione ideale ed etica. Non si esce dal berlusconismo sulle macerie del sistema democratico e dei partiti, ma al contrario rigenerandolo e dando a esso una nuova legittimazione nel rapporto con il Paese».

Come?
«Tutti dovrebbero capire che Berlusconi porta alla rovina. Non soltanto l’economia italiana, ma anche il sistema democratico. Zapatero mostra senso di responsabilità di fronte al destino del suo Paese, capendo che un governo senza consenso non può affrontare la crisi. Berlusconi, invece, non ha il minimo senso dello stato e si occupa solo degli interessi suoi, non del destino dell’Italia. Credo che anche nella destra ci sia chi comincia a capirlo. Si facciano coraggio, prima che sia tardi. Noi siamo pronti a prenderci le nostre responsabilità».

31 luglio 2011

4 commenti:

Francy274 ha detto...

Ma questo si ascolta quando parla? Lo manderei in esilio nella galassia più distante dal nostro pianeta! Insieme al suo amico Silvio, ben inteso!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

L'intervista di D'Alema va letta in modo comparato con quelle rilasciate da Fini a Il Messaggero e Casini a Repubblica, qui di seguito.
Noterai che danno tre soluzioni diverse all'eventuale ma molto improbabile uscita di scena di B.
Insomma, come di prammatica, non sono d'accordo su nulla, eccetto che sulla cacciata di B.
Bell'affare, vero?

Francy274 ha detto...

Stupendo! Tolto lo sciacallo dorato, ci restano gli sciacalli dalla gualdrappa... che popolo fortunato siamo!!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Avrai notato che L'Unità ha cambiato direttore, adesso è tornato ad essere un organo di partito, il PD. Non a caso D'Alema ha scelto questo quotidiano.