domenica 28 agosto 2011

Povera Stella


di Marco Travaglio

Finalmente Giovanni Stella, amministratore delegato di Telecom Italia Media e quindi di La7, noto esperto di banani, ha ufficializzato i motivi del mancato ingaggio di Michele Santoro.

In un’intervista al Giornale, il popolare “Canaro” spiega testualmente: “Con Santoro non abbiamo chiuso il contratto solo perché lui pretendeva libertà assoluta... facile chiedere la libertà con i soldi degli altri”.

Si prega di soffermarsi sui vocaboli “solo”, “pretendeva” e “libertà”.

Soltanto nello Stato semilibero di Bananas un dirigente di successo, braccio destro di un top manager del calibro di Franco Bernabè, può mettere nero su bianco, per giunta sul quotidiano del premier, che la libertà è una pretesa. Talmente assurda da giustificare di per sé (“solo”) il mancato approdo nella sua tv del giornalista televisivo più noto, affermato e redditizio presente sul mercato. Come se l’articolo 21 della Costituzione fosse un optional: “Tutti i cittadini hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

Si dirà, e infatti Stella lo dice, che Santoro non voleva “nessun controllo su scaletta, ospiti e filmati”. E “nessun editore può dare carta bianca perché ha la responsabilità finale di quello che va in onda”.

Non sappiamo quali editori conosca, a parte se stesso, il dottor Stella, ma in tutto il mondo libero funziona così: l’editore sceglie i giornalisti a proprio gusto in base a criteri professionali; dopodiché questi lavorano come meglio credono, in base alle regole fissate dal contratto nazionale. Che prevede, appunto, libertà assoluta. Se poi l’editore non è soddisfatto di loro, li licenzia per giusta causa. E alla fine è il giudice a stabilire se la causa era giusta o no.

Ora, Stella voleva assumere Santoro a La7 perché gli era giunta voce che fosse un valido professionista autore di programmi di successo, con milioni di telespettatori e di introiti pubblicitari. Dunque non sono professionali né finanziari gli ostacoli che han fatto saltare la trattativa.

Stella esclude poi che fossero aziendali, per proteggere Telecom da rappresaglie governative (“Trovo singolare immaginare, come fa Travaglio, che si possa usare la piccolissima La7 come spauracchio per difendere il gigante Telecom”).

E nega anche che fossero politici (“Se mi avessero chiesto di non prendere Santoro per non dispiacere a Berlusconi, avrei dato le dimissioni”).

Dunque perché pretendeva – stavolta il verbo è appropriato – ciò che nemmeno la Rai di Masi&C. aveva mai ipotizzato, cioè di controllare “scaletta, ospiti e filmati”?

Temeva forse che Santoro trasmettesse materiale pornografico o comunque contrario al comune senso del pudore?

Non scherziamo.

E allora – filosofeggia Stella – “Le regole si applicano a tutti, da Lerner a Piroso, solo Mentana non deve riferire a me perché, in quanto direttore, si assume tutte le responsabilità”. Già, anche perché sarebbe curioso un telegiornale che, prima di andare in onda su fatti accaduti magari da tre minuti, deve sottoporre il dvd preregistrato all’imprimatur preventivo dell’editore.

Pare dunque che il problema fossero le eventuali cause e querele.

Ma anche questa scusa non regge: prima Mentana e poi lo stesso Santoro avevano offerto a Stella di assumersi ogni responsabilità legale sul programma santoriano.

A questo punto, spiace dirlo, rimane una sola spiegazione: la paura di Stella, o di Telecom tutta, che Santoro usasse la sua libertà per criticare i politici dai quali la concessionaria Telecom dipende.

Ricapitolando: noi di La7 siamo così liberi che, se qualcuno viene a parlarci di libertà, lo meniamo.

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