venerdì 30 settembre 2011

L'uso meschino di una lettera


Sarà pur vero che la Bce di lettere così ne scrive tante, ma leggere sul Corriere quella a noi indirizzata brucia come uno schiaffo in faccia. Non solo per il tono ultimativo («Le azioni elencate nelle suddette sezioni 1 e 2 siano prese per decreto-legge, seguito da ratifica parlamentare entro la fine di settembre»). Ma anche per il dettaglio della prescrizione. È molto raro vedere due banchieri centrali, sacerdoti del bene supremo della moneta e proprio per questo cariche non elettive e non politiche, dettare un vero e proprio programma legislativo al governo eletto di uno Stato sovrano. E subito dopo fare un'altra cosa molto irrituale: regalarci un po' di tempo comprando i nostri debiti.
La lettera è dunque un documento per molti versi storico, perché segna il punto più grave di una
doppia anomalia: quella di un'Europa intergovernativa rimasta senza governo, che finisce per delegare alla Banca centrale compiti che sarebbero della politica, e quella di un'Italia ormai senza governo, che deve farsi imporre dall'esterno ciò che avrebbe dovuto fare da sé e per tempo.

L'esecutivo in carica ha due colpe. La prima è di aver tentato furbescamente di rinviare il pareggio di bilancio a dopo le elezioni, nel 2014, un tempo che i mercati hanno giudicato le calende greche e che li ha spinti a trattarci come i greci. Ma la seconda colpa, forse peggiore, è di aver fatto credere negli anni agli italiani che la sua azione aveva reso inutili tutte le prediche «mercatiste» e le riforme «liberiste». Perché avevamo ormai il sistema pensionistico più in equilibrio, il mercato del lavoro più flessibile, e i conti pubblici più virtuosi del continente.

Viene quasi da sperare che sia stata Roma, sull'orlo del baratro, a richiedere la lettera per disarmare l'opposizione in Parlamento e nel governo. Di certo, così è stata usata. Tremonti l'ha subìta a tal punto come un'esautorazione da dire, senza smentite, che Draghi è un «agente tedesco»; e che Grilli va dunque fatto Governatore non solo perché è di Milano, per la gioia di Bossi, ma anche perché avrebbe la forza di «fronteggiare gli euroburocrati», cioè la Bce.

Ma la pubblicazione della lettera sconfessa anche l'opposizione di sinistra, che pure ha inneggiato a Draghi. Ha ora davanti a sé un programma che per lei sarebbe anatema, con la Cgil in piazza e Vendola nel governo. Non solo il ministro Sacconi diceva il vero, quando giurava che le norme sul mercato del lavoro nella lettera della Bce c'erano eccome. Ma ve lo immaginate un governo Bersani che debba «ridurre lo stipendio ai dipendenti pubblici», «privatizzare su larga scala la fornitura di servizi locali», «rendere più rigorosi i criteri per le pensioni di anzianità», e «introdurre l'uso sistematico di indicatori di performance nel pubblico impiego, soprattutto nei sistemi giudiziario, sanitario e dell'istruzione», cioè nelle casematte della sinistra?

La politica italiana ha fatto un uso sbagliato e meschino di quella lettera. Dando la colpa all'Europa sono arrivate le tasse, ma non le riforme chieste dall'Europa. Ci siamo fatti commissariare senza nemmeno goderne i benefici. Il divario con i Bund tedeschi è pressappoco dov'era il giorno della lettera, e le previsioni di crescita sono oggi anche peggiori. Lo storico Carlo Cipolla avrebbe chiosato che recare danno agli altri (l'Europa) senza produrre vantaggi per sé (l'Italia) configura la terza e aurea legge della stupidità umana.

Antonio Polito
30 settembre 2011