mercoledì 7 settembre 2011

PROVACI ANCORA B.


Ennesima versione della manovra del governo Iva al 21%, pensioni donne e mini-tassa per i ricchi

di Marco Palombi

La manovra cambia ancora una volta, dopo un apposito Consiglio dei ministri, ma alla fine il decreto di Ferragosto arriva oggi alla prova del voto all’ingrosso com’era uscito da Palazzo Chigi. Solo un po’ più recessivo: l’unica differenza di rilievo è che non c’è più il contributo di solidarietà sopra i 90 mila euro e invece cresce di un punto l’aliquota Iva del 20 per cento.

IL RESTO – al netto di qualche emendamento tipo il salvataggio degli enti sotto i 70 dipendenti o la fumosa campagna anti-evasione – rimane uguale: restano i tagli agli enti locali (disperati) e ai ministeri, come resta la spada di Damocle della riforma dell’assistenza che prevede risparmi da 5 e 20 miliardi nel 2012-2013 e la relativa clausola di salvaguardia col taglio di tutte le agevolazioni, detrazioni e deduzioni fiscali (che invece, a regime, di miliardi ne vale 32). Questo è quanto emerge alla fine dell’ennesima giornata di fibrillazione nel governo e nella maggioranza.

All’indomani della richiesta di Giorgio Napolitano di inserire “misure più efficaci” nella manovra, al Quirinale si presenta Franco Frattini: non metteremo la fiducia, dice il ministro andando via, ma “è ineludibile un intervento su età pensionabile e Iva”. Siamo all’ora di pranzo e a quel punto tutto è pronto per la riunione dei capoccioni di Lega e Pdl nella casa romana di Silvio Berlusconi: ci stanno due ore e partoriscono qualche emendamento frutto dell’intreccio dei rispettivi veti nonché, ovviamente, la decisione di porre la questione di fiducia.

IL SENATO la voterà oggi per approvare il testo definitivamente subito dopo, d’altronde domani si riunisce la Bce ed è meglio mandare un segnale chiaro. Le novità escogitate dal brainstorming di palazzo Grazioli sono le seguenti.

Intanto si aumenta di un punto l’aliquota Iva del 20 per cento: secondo i calcoli del Tesoro il gettito dovrebbe stare un po’ sotto i 4 miliardi l’anno, assai più comunque dei 3,8 miliardi in tre anni che avrebbe dovuto fruttare il contributo di solidarietà. In questo modo, però, aumenteranno probabilmente i prezzi di parecchi prodotti e servizi - dall’idraulico all’avvocato , dall’abbigliamento alle auto alla telefonia – con un inevitabile effetto depressivo sui consumi e, in definitiva, sul Pil (senza contare che, essendo uguale per tutti, questa misura penalizza soprattutto i redditi bassi). Secondo alcune fonti, peraltro, Giulio Tremonti si sarebbe “tenuto” i circa due miliardi di gettito che deriverebbero da un aumento anche dell’aliquota del 10 per cento: il ministro vorrebbe usarli per tagliare un po’ di tasse più avanti.

LA SECONDA modifica è quasi esclusivamente cosmetica. Si tratta di un nuovo contributo di solidarietà del 3 per cento per i “redditi complessivi” (vale a dire da lavoro, pensione, capitale o fondiario con l’esclusione della prima casa) oltre i 300mila euro, soglia abbassata rispetto al mezzo milione iniziale: la platea interessata sarebbe di circa 16mila contribuenti per un gettito attorno ai 250 milioni nel triennio. Poca roba.

L’ultima novità vera è, infine, l’anticipo dell’aumento a 65 anni dell’età pensionabile per le donne che lavorano nel settore privato (quelle del pubblico sono state già “sistemate” da una direttiva europea). A luglio il governo aveva deciso di partire gradualmente dal 2020, ad agosto ha deciso che era meglio nel 2016, ora dal 2014 con l’idea di chiudere il processo nel 2026. Questa proposta vale 4 miliardi di risparmi nel primo quinquennio, dunque a partire dal 2015, con cifre crescenti fino ad oltre i tre miliardi e mezzo l’anno quando la misura sarà a regime (334mila in più, nel 2026, saranno le donne bloccate al lavoro ).

Un effetto collaterale è che questa misura, insieme all’aumento dell’Iva, ha fatto arrabbiare persino Cisl e Uil, mentre Confindustria è felice. Non è finita, comunque, restano i grandi progetti. Domani il governo dovrebbe infatti approvare due ddl costituzionali: il primo inserisce il pareggio di bilancio nella Carta, il secondo cancella le province attribuendone le competenze alle regioni (i risparmi, ha avvertito Bankitalia, “andrebbero calcolati in centinaia di milioni, non in miliardi”). “La fiducia è inevitabile, dobbiamo fare in fretta”, ha infine detto il Cavaliere ai suoi ministri. E la fretta, si sa, è nemica del bene.

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