domenica 30 ottobre 2011

“Miller, Bisi e la P4: è un contropotere”


di Eduardo Di Blasi

La storia giudiziaria del Paese si muove nuovamente sulla direttrice tra Catanzaro e la Basilicata. Si ripetono i nomi. Le ipotesi di reato. Le associazioni. Quattro anni fa, a condurre la prima inchiesta sulle “toghe lucane” c’era un pm di Catanzaro, Luigi De Magistris, che divenne simbolo di quella battaglia. Eletto sindaco di Napoli da qualche mese, non fa fatica a ripercorrere i mesi in cui fu estromesso dalle indagini che andava conducendo: “Più che esercitare un diritto di parola, sento il dovere di segnalare quanto sia grave quel grumo di interessi che negli anni è andato consolidandosi in certe istituzioni, per evitare che ad altri servitori dello Stato possa accadere quello tzunami che ha operato contro di me”.

Il processo “toghe lucane” si è concluso con un’archiviazione. Ora alcuni di quelli che indagò, sono nuovamente oggetto di indagine...

I principali protagonisti di quella stagione stanno nuovamente venendo fuori. Sono stato sempre convinto che esistesse un grumo di potere, che in parte è ancora intatto, che lavorava per fermare le miei inchieste.

Quali sono gli elementi che ritrova?

Se andiamo a vedere quello che è accaduto dalla primavera all’autunno del 2007, c’è un’escalation di attività che contrastarono il mio operato. Iniziarono da quando presi a indagare sulla massoneria (fu chiamata “nuova P2”). Perquisimmo i magistrati che oggi leggiamo sui giornali indagati nuovamente, esponenti dei servizi, forze dell’ordine. Perquisimmo anche Bisignani. E in tutto questo dovemmo subire le ispezioni del capo e del vicecapo degli ispettori Arcibaldo Miller e Gianfranco Mantelli i cui nomi sono usciti anche nelle inchieste sulla P3.

Il capo degli ispettori arrivò a Catanzaro...

Miller, pur conoscendomi bene, non fece come in queste settimane a Napoli. Vale a dire che non si astenne da quell’ispezione ma la portò fino in fondo: eppure conosceva anche me. E Mantelli io me lo ricordo correre a Catanzaro quando ci furono le indagini contro Gaetano Bonomi, Vincenzo Tufano e gli altri. Mantelli, curiosamente, è quello che oggi, al posto di Miller , fa le ispezioni a Woodcock e agli altri.

Cosa seguì a quelle ispezioni?

A settembre ci fu la richiesta di Mastella e a ottobre l’avocazione illecita di Why Not. Poco prima anche la revoca della delega a Poseidone. Accadde quando indagai il parlamentare Giancarlo Pittelli e iniziai a lavorare sulla massoneria. Guarda caso i responsabili di quella sottrazione indagini oggi sono imputati in un processo per corruzione in atti giudiziari, processo in cui io sono parte offesa. Il grumo, come ho detto, è ancora intatto.

Eppure l’inchiesta sulle “toghe lucane” finì con un’archiviazione...

Io feci un provvedimento di chiusura indagine lavorandoci d’estate poco prima di essere trasferito d’ufficio nell’agosto 2008. Non riuscii a fare per pochi giorni la richiesta di rinvio a giudizio perchè in modo assolutamente anomalo, il ministro della Giustizia Angelino Alfano dispose addirittura il mio trasferimento anticipato a Napoli dicendo che lì c’era più esigenza che a Catanzaro. In quel modo io non feci la richiesta di rinvio a giudizio, e quell’indagine venne ridimensionata.

Lei ritiene che dietro ci fosse un disegno?

Io credo che mancano ancora molti tasselli. Alcuni stanno venendo fuori. Quello che è davvero impressionante, e che sta venendo fuori, è proprio la stessa tipologia di attività: dossieraggio, metodo Boffo, rete tra magistrati, faccendieri, servizi, politica, massoneria...

Una analogia che adesso non ritrova rispetto ad allora?

Credo di essere stato molto più isolato. La chiusura degli ambienti istituzionali nei miei confronti fu fortissima. E ricordiamo il ruolo di quel Csm, che non è quello di oggi, e il ruolo che ebbe anche il vertice dell’Anm... I magistrati che io mi trovai contro sono stati apertamente protetti, fino a poco tempo fa, anche all’interno della magistratura. Miller, capo degli ispettori del ministero. Achille Toro, che si occupava di pubblica amministrazione a Roma, Alfonso Papa, ai vertici dell’Anm, poi vicecapo di gabinetto alla Giustizia. Non è che sono stati messi lì da un’associazione bocciofila, ma da pezzi significativi della magistratura che poi, o si sono girati dall’altra parte, o hanno avallato iniziative illegittime e illecite nei miei confronti. A me, all’epoca, mi prendevano per pazzo.

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