giovedì 6 ottobre 2011

Una sentenza non è la Verità




di Bruno Tinti

Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati assolti. Non è, non dovrebbe essere una notizia importante: di omicidi ce ne sono tanti, tutti i giorni. Però ne parlano tutti. E, considerata l’inesistente preparazione giuridica del 99% di quelli che ne parlano, è ovvio che non si tratta di interesse scientifico sull’attendibilità del Dna come prova. Un Grande Fratello estremamente realistico, con tanto di giochi erotici, morto ammazzato e prigione vera: voyeurismo collettivo, ecco cos’è.

UNA PARTE dei voyeur non perderà occasione per prendersela con i giudici che “sbagliano”: “Amanda era innocente, lo vedete come funziona male la giustizia? Adesso chi la ripaga del male che le hanno fatto?”.

Problema serio questo dei giudici che sbagliano. Allora perché parlare di voyeur? È gente che pensa, critica, partecipa della vita pubblica. Cittadini.

Ah, sì? E dove sono tutti i giorni, quando, in ogni Corte d’appello, un colpevole viene dichiarato innocente; o il contrario? Non lo sanno che è normale che succeda? Non pensano che, se non fosse così, il processo d’Appello non servirebbe a nulla: giudici, avvocati, funzionari amministrativi, soldi e tempo impegnati, tutti i giorni, a confermare le sentenze di primo grado? Una follia. Solo con Amanda scoprono che le sentenze di primo grado possono essere ribaltate?

Allora Amanda e Raffaele sono innocenti? Sì, lo dice una sentenza dello Stato. Se la Cassazione confermerà la sentenza (sempre che qualcuno ricorra), saranno innocenti in via definitiva. Processualmente innocenti, sì. Allora non hanno ammazzato Meredith? Ecco, questo non si può dire. Nessuno lo sa; e nessuno lo saprà mai. I giudici di primo grado pensavano di sì; quelli dell’Appello hanno pensato di no; e quelli che verranno dopo (se la Cassazione troverà errori di diritto), chi lo sa. Ma si tratterà di una sentenza, non della Verità.

Allora, potrebbero dire i voyeur, anche il mio giudizio conta: se è una questione di opinioni... No, per niente. I giudici sono attrezzati professionalmente e dispongono di tutte le informazioni che riguardano il caso. I cittadini, di diritto e delle più svariate scienze coinvolte in un processo (dalla balistica alla genetica), non sanno nulla; e, quanto alle informazioni, le raccolgono dove capita: anche se non sono distorte, restano frammentarie. È per questo che, in tutto il mondo, esiste una convenzione sociale (e costituzionale) che attribuisce ai giudici il compito di attribuire torti e ragioni, di assolvere o condannare. Perché questo sistema fornisce le più alte probabilità di accertare i fatti accaduti e le responsabilità di chi vi è stato coinvolto. Probabilità. Non di più.

Ecco perché, in caso di sentenze contrastanti, quella che vale, giuridicamente e costituzionalmente, è l’ultima. Non perché è sicuramente giusta; ma perché occorre mettere una parola fine ai conflitti. Altrimenti la convivenza non sarebbe possibile. Tu devi dare dei soldi e tu devi riceverli; così ha detto il giudice. Sarà giusto? Mah. Però, se non si adotta questo sistema, cosa si fa? Facciamo a botte e vinca il più forte? Uno ammazza l’altro? Camminiamo sui carboni ardenti e, se vado più lontano di te, vuol dire che Dio è dalla mia parte? Non c’è un’alternativa.

MA POI. Giudici di primo grado, giudici d’Appello, giudici di Cassazione. Sempre giudici sono. Essere giudice d’Appello non ti fa essere più intelligente, più preparato, più attento del giudice di primo grado. Forse, fino a ieri, il giudice di Appello di oggi lavorava in tribunale. E viceversa. Niente permette di pensare che le sentenze di Appello siano più “giuste” di quelle di tribunale. Forse in primo grado hanno deciso bene e quelli che si sono sbagliati sono stati i giudici dell’Appello. Però la sentenza d’Appello (o di Cassazione) è l’ultima.

Res judicata pro veritate habetur. Così dicevano i romani: la sentenza definitiva equivale alla Verità. Equivale. Ma non è la Verità. E infine. Ma quando si capirà che i processi non si fanno ai colpevoli? I processi servono per accertare (con i limiti visti sopra) se una persona è colpevole o innocente. Se non fosse così il pubblico ministero potrebbe decidere che l’indiziato è colpevole, metterlo in prigione, buttare via la chiave e chiasso finito. O, se decide che è innocente, piantarla lì. Se uno è innocente, non è giusto sottoporlo al processo.

LO DICEVA anche Carnelutti (celebre avvocato dei tempi andati): “Il processo è già una pena”. Ah sì? E se uno è innocente ma il pm lo acchiappa e lo sbatte in galera? Non gli piacerebbe un’analisi un po’ più approfondita? Con le famose “garanzie di difesa”? Per esempio un giudice che valuta le prove ed emette una sentenza. O una Corte d’appello che fa le pulci alla sentenza del giudice e la riforma; o magari la conferma. Certo, tutti possono sbagliare; si tratta di diminuire le probabilità di errore. La beffa è che, forse, aveva ragione il pm... Però, che ci si può fare, questa è la giustizia umana. Per quella divina si sta lavorando.

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