di Bruno Tinti
Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati assolti. Non è, non dovrebbe essere una notizia importante: di omicidi ce ne sono tanti, tutti i giorni. Però ne parlano tutti. E, considerata l’inesistente preparazione giuridica del 99% di quelli che ne parlano, è ovvio che non si tratta di interesse scientifico sull’attendibilità del Dna come prova. Un Grande Fratello estremamente realistico, con tanto di giochi erotici, morto ammazzato e prigione vera: voyeurismo collettivo, ecco cos’è.
UNA PARTE dei voyeur non perderà occasione per prendersela con i giudici che “sbagliano”: “Amanda era innocente, lo vedete come funziona male la giustizia? Adesso chi la ripaga del male che le hanno fatto?”.
Problema serio questo dei giudici che sbagliano. Allora perché parlare di voyeur? È gente che pensa, critica, partecipa della vita pubblica. Cittadini.
Ah, sì? E dove sono tutti i giorni, quando, in ogni Corte d’appello, un colpevole viene dichiarato innocente; o il contrario? Non lo sanno che è normale che succeda? Non pensano che, se non fosse così, il processo d’Appello non servirebbe a nulla: giudici, avvocati, funzionari amministrativi, soldi e tempo impegnati, tutti i giorni, a confermare le sentenze di primo grado? Una follia. Solo con Amanda scoprono che le sentenze di primo grado possono essere ribaltate?
Allora Amanda e Raffaele sono innocenti? Sì, lo dice una sentenza dello Stato. Se
Allora, potrebbero dire i voyeur, anche il mio giudizio conta: se è una questione di opinioni... No, per niente. I giudici sono attrezzati professionalmente e dispongono di tutte le informazioni che riguardano il caso. I cittadini, di diritto e delle più svariate scienze coinvolte in un processo (dalla balistica alla genetica), non sanno nulla; e, quanto alle informazioni, le raccolgono dove capita: anche se non sono distorte, restano frammentarie. È per questo che, in tutto il mondo, esiste una convenzione sociale (e costituzionale) che attribuisce ai giudici il compito di attribuire torti e ragioni, di assolvere o condannare. Perché questo sistema fornisce le più alte probabilità di accertare i fatti accaduti e le responsabilità di chi vi è stato coinvolto. Probabilità. Non di più.
Ecco perché, in caso di sentenze contrastanti, quella che vale, giuridicamente e costituzionalmente, è l’ultima. Non perché è sicuramente giusta; ma perché occorre mettere una parola fine ai conflitti. Altrimenti la convivenza non sarebbe possibile. Tu devi dare dei soldi e tu devi riceverli; così ha detto il giudice. Sarà giusto? Mah. Però, se non si adotta questo sistema, cosa si fa? Facciamo a botte e vinca il più forte? Uno ammazza l’altro? Camminiamo sui carboni ardenti e, se vado più lontano di te, vuol dire che Dio è dalla mia parte? Non c’è un’alternativa.
MA POI. Giudici di primo grado, giudici d’Appello, giudici di Cassazione. Sempre giudici sono. Essere giudice d’Appello non ti fa essere più intelligente, più preparato, più attento del giudice di primo grado. Forse, fino a ieri, il giudice di Appello di oggi lavorava in tribunale. E viceversa. Niente permette di pensare che le sentenze di Appello siano più “giuste” di quelle di tribunale. Forse in primo grado hanno deciso bene e quelli che si sono sbagliati sono stati i giudici dell’Appello. Però la sentenza d’Appello (o di Cassazione) è l’ultima.
Res judicata pro veritate habetur. Così dicevano i romani: la sentenza definitiva equivale alla Verità. Equivale. Ma non è
LO DICEVA anche Carnelutti (celebre avvocato dei tempi andati): “Il processo è già una pena”. Ah sì? E se uno è innocente ma il pm lo acchiappa e lo sbatte in galera? Non gli piacerebbe un’analisi un po’ più approfondita? Con le famose “garanzie di difesa”? Per esempio un giudice che valuta le prove ed emette una sentenza. O una Corte d’appello che fa le pulci alla sentenza del giudice e la riforma; o magari la conferma. Certo, tutti possono sbagliare; si tratta di diminuire le probabilità di errore. La beffa è che, forse, aveva ragione il pm... Però, che ci si può fare, questa è la giustizia umana. Per quella divina si sta lavorando.
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