venerdì 11 novembre 2011

'Io, Silvio e la politica'


di Stefania Rossini

«Berlusconi? Simpatico e bravo a raccontare barzellette. Candidarmi? Preferisco dare consigli. Governare? Può farlo bene solo chi non ne faccia la propria ambizione». Nel 2005 Monti rilasciò all'Espresso l'unica intervista 'privata' della sua vita. Parlando anche di Dio, d'amore, del suo carattere e dei gatti neri. L'abbiamo ripescata

(11 novembre 2011)

Proporre un'intervista sentimentale a Mario Monti è un atto di presunzione che si paga quasi subito. L'uomo è cortese, disponibile, pronto a concedere più del solito notizie su di sé e giudizi sul mondo. Ma a condizione di guidare lui, se non gli argomenti, almeno lo stile della conversazione. E di essere seguito in quella dimensione più alta dove l'Italia si guarda con occhi europei, la politica quotidiana con il distacco del grande esperto internazionale, mentre il linguaggio vigila sulle sfumature e l'understatement è d'obbligo. Il Monti privato somiglia inoltre così tanto al Monti pubblico che è difficile separare il funzionario rigoroso dal marito devoto, l'economista dal padre di famiglia, il presidente della Bocconi dal tifoso del Milan. Ci proveremo con alterne fortune, scoprendo qua e là frammenti di passioni, piccole superstizioni e qualche peccato d'orgoglio.

L'ex commissario europeo alla concorrenza che si conquistò il nomignolo di Supermario multando Bill Gates per mezzo miliardo di euro e facendo saltare più volte i nervi a qualche capo di Stato, ci riceve nel grande studio dell'Università milanese che lo ha visto studente, professore, rettore e infine presidente, in un percorso di fedeltà che la dice lunga su di lui. Sono i giorni della disfatta dell'Unione europea sotto i colpi dei referendum e dei mancati accordi, e quasi dispiace cominciare da lì.

Glielo chiedo brutalmente: questa è la fine dell'Europa?
«No, è solo una gravissima battuta di arresto. Ma spero che sia almeno la fine dell'uso cinico dell'Europa come capro espiatorio».

Con chi ce l'ha?
«Con il costume, sempre più diffuso, di dare all'Unione la colpa delle carenze nazionali e di usarla spregiudicatamente a fini di politica interna. Non si può, come ha fatto Chirac, parlare per sei giorni contro l'Europa e poi aspettarsi che la domenica i cittadini votino sì alla Costituzione».

Non sta pensando solo alla Francia, vero?
«Vero. Anche in Italia l'abitudine di sparare a zero sull'Europa dà fiato ai filoni più populisti e dà spazio a pericolosi fenomeni di leadership che sono in realtà delle followership, perché seguono e non guidano l'opinione pubblica».

Come prevede che andrà a finire?
«I singoli Paesi si accorgeranno presto che procedendo individualmente nell'arena mondiale, morirebbero anche prima. Sarà quindi lo stesso interesse nazionale a portare alla ripresa del cammino europeo. Intanto però si saranno perduti anni preziosi in un momento in cui l'Europa non poteva permetterselo».

Lo dice con malinconia. Sembra un dolore personale, oltre che un disappunto politico.
«Infatti lo è. I miei dieci anni a Bruxelles sono stati impegnativi e di grande soddisfazione. Nel secondo mandato ho potuto fare una concreta politica della concorrenza, un campo in cui l'Europa ha la capacità e i poteri per decidere. Ho visto paesi come la Germania che, dopo estenuanti resistenze, hanno dovuto abbandonare privilegi vecchi di cent'anni, come le garanzie pubbliche alle banche. E ho gustato la soddisfazione personale di vedere dissolversi la convinzione che a un italiano non potesse essere dato un potere di vigilanza».

Il pregiudizio sulla inaffidabilità italiana ha colpito anche lei?
«Non si arriva con crediti di fiducia da un Paese come il nostro. Quando, nel '94, Berlusconi mi mandò a trovare Santer perché mi conoscesse in vista del mio ingresso nella Commissione, ricevette questa telefonata: "Ah caro Silvio, il suo professor Monti mi ha fatto un'ottima impressione, non sembra neanche italiano". Si rende conto? Lo stava dicendo al presidente del Consiglio italiano».

Dica la verità: avrebbe fatto volentieri un terzo mandato.
«Non l'ho mai nascosto. E' stato anzi l'unico caso in tutta la mia vita in cui sono stato io a candidarmi. Il presidente Barroso aveva dichiarato pubblicamente che mi avrebbe voluto nella sua Commissione e io ero pronto a spendermi per le cose in cui ho creduto e credo».

Ma c'era la candidatura Buttiglione...
«Già. E preferisco pensare che, come mi ha detto Berlusconi, siano state le difficoltà interne a suggerirgli quella scelta e non, come è stato detto da qualcuno, che furono il presidente della Repubblica francese e il cancelliere tedesco a chiedergli espressamente di non riconfermarmi».

Adesso è pronto per incarichi nazionali. Si parla di lei ad ogni sospetto cambio di guardia: ministro dell'Economia, premier, governatore della Banca d'Italia, persino presidente della Repubblica. Ne è gratificato?
«Non sono mica delle offese. Né sono cose da prendere sul serio».

Vuol dire che non le andrebbe?
«Molti mi dicono: "Perché non si candida? La situazione è difficile. Lei sarebbe di aiuto". Io rispondo con due considerazioni. Prima: pur rispettando molto chi fa questa scelta, non entro in politica perché non mi sento di conferire la mia capacità di valutazione - se ne ho - ad altri. Preferisco esercitarla di volta in volta, anche pubblicamente, con il giudizio e la proposta».

Seconda?
«Riguarda il fatto che la merce veramente rara oggi in Italia non è quella di bravi e volenterosi politici, ma quella di persone nei confronti delle quali nessuno possa avere l'alibi di dire: "Non prendo in considerazione quello che dice perché appartiene alla parte X"».

Nell'insieme un bel peccato di narcisismo.
«Può darsi che non manchi questa componente caratteriale, ma le ragioni di fondo sono di principio. Del resto se ho rifiutato degli incarichi è stato perché rifiutavo di far mie decisioni altrui. E' andata così anche ultimamente, quando Berlusconi mi ha offerto il posto lasciato libero da Tremonti».

Racconti.
«Siamo nel luglio 2004 e vengo invitato a cena a Macherio per discutere la proposta. In una conversazione molto approfondita emerge che io considero prioritario non ridurre l'Irpef mentre il presidente del Consiglio ritiene il contrario. Con molta serenità arriviamo alla conclusione che, per fare un contratto con me, lui non può rompere il suo contratto con gli italiani. Sono convinto che sia necessario essere molto esigenti sulle condizioni in modo che poi, ove capiti, si possano fare le cose bene e con forza».

E a quel punto non piacerà più a tutti.
«E' evidente. Lei lo chiama narcisismo, ma nella situazione particolarmente difficile dell'Italia di oggi può governare bene solo chi non faccia del governo la propria ambizione».

Incarichi a parte, com'è il suo rapporto personale con Berlusconi?
«Di simpatia. Non abbiamo mai avuto difficoltà di dialogo nelle non numerose occasioni in cui ci siamo incontrati. E' una persona di prorompente cordialità».

Non è facile immaginarla mentre, a tavola, ride alle barzellette del premier.
«Ma si sbaglia. Anche se sono incapace di ricordarle e di raccontarle, le barzellette mi piacciono. E Berlusconi ha una vera arte in questo genere. Se poi la mette in mostra con altri capi di governo, non so. Non è il mio girone».

Monti, lei ha fama di impassibilità, ma non risparmia sottotesti. L'ha imparato alla scuola dei gesuiti?
«Al Leone XIII di Milano, dove ho studiato per dieci anni, ho appreso semmai altre capacità. Se ne accorse una volta anche il cancelliere Schroeder che alla fine di un'estenuante trattativa in cui io non potevo concedere ciò che voleva, mi chiese: "Lei ha studiato dai gesuiti? Sì? Ah, ecco perché argomenta, argomenta, argomenta e non concede mai niente"».

Qui invece dovrà concederci un po' di vita privata.
«Proviamo, ma non prometto niente».

Lei è sposato da quasi quarant'anni con la stessa donna. E' stato anche il suo primo amore?
«Sì, e non intendo parlarne».

Perché no? In fondo lei è persona dalle molte monogamie.
«Questa è una definizione che mi piace. E' vero: la Bocconi, l'Europa, il "Corriere della Sera", sento il valore della continuità. Neanche Gianni Agnelli riuscì a convincermi a scrivere per "La Stampa". Gli dissi: "Vedrà che verrà prima lei al "Corriere". E poco dopo infatti lo comprò».

Che figlio è stato, professore?
«Del tutto normale, cresciuto nel rispetto verso un padre direttore di banca con una schizzinosa distanza dalla politica e una madre che aveva la dote dell'allegria. Non ho ripreso da lei, purtroppo».

Non sembra triste.
«Ma non sono neanche allegro. Non ho il dono della convivialità splendente. Può immaginare quanti 'dinner speech' ho dovuto fare in tutti questi anni e in tutti i Paesi del mondo. Ogni volta è stata una piccola fatica».

Ha intenzione di raccontare sessant'anni di sobrietà? Rintracci almeno un attimo di irrequietezza. Anche lei sarà stato adolescente.
«Un po' tardivo, per la verità. Non ero precoce da nessun punto di vista. Studiavo, ero appassionato di ciclismo e passavo molte notti ad ascoltare la radio ad onde corte. L'ho fatto per anni».

Le serviva per evadere?
«No. E' stato utile un po' per conoscere le lingue e molto per capire il mondo. Ascoltavo trasmissioni dall'Australia, dai Paesi dell'Est e dall'Africa. Nel 1958 ho capito da parole in codice che era scoppiata la ribellione in Algeria. Nel 1960 ho sentito in diretta il discorso di insediamento di John Kennedy».

E' nata lì la sua vocazione sovranazionale?
«In parte. Quando ho avuto 16 e 17 anni mio padre mi ha anche portato qualche settimana in Urss e poi negli Usa. Voleva che mia sorella ed io ci facessimo un'idea personale delle due potenze».

Funzionò?
«Sì, anche se mi procurò un piccolo infortunio con i gesuiti del mio liceo. Avevo apprezzato il sistema scolastico russo e lo avevo onestamente raccontato in un articolo per il giornalino "Giovinezza nostra". Poco dopo mi arrivò una lettera del padre rettore: mi spiegava che aveva cestinato lo scritto perché avevo avuto un approccio ingenuo verso un sistema pericoloso sul piano etico. Lui aveva ragione, ma avevo ragione anch'io e strappai la lettera in un impeto di rabbia».

Ha visto che abbiamo scovato un piccolo gesto di ribellione. Continuiamo?
«Non credo che troverà altro».

Il suo primo incarico universitario è stato alla facoltà di Sociologia di Trento. Era il 1969 e molti suoi coetanei erano nel movimento. Lei partecipò?
«Ero un docente e mi comportavo come tale. Capo del movimento era Marco Boato e ricordo che il primo giorno lui e altri leader studenteschi, che davano del tu ai docenti, dissero quasi incidentalmente: "Ah, naturalmente faremo l'esame politico a ognuno di voi". Quella notte non ho mica dormito».

Come andò l'esame?
«Non lo feci. E in fondo anche Trento è stata un'esperienza interessante. L'anno dopo mi spostai a Torino e in seguito alla mia amata Bocconi, che è stata la cosa più importante della mia vita professionale».

Professor Monti, lei crede in Dio?
«Sì, ma lo considero un fatto importante per me, non un elemento di identità pubblica».

Con i tempi che corrono questa è una grande risposta. Come si è schierato nel dibattito intorno alle radici cristiane dell'Europa?
«Non l'ho considerata una questione decisiva. Nelle Costituzioni le parti declaratorie sono importanti, ma il fatto che l'Italia sia una Repubblica fondata sul lavoro garantisce forse la piena occupazione? Nell'Europa dei Trattati c'è già valore etico, non solo mercato. Lo ha capito anche la Conferenza episcopale polacca».

A cosa si riferisce?
«Alla visita che una delegazione presieduta dal cardinale Glemp fece a Bruxelles nel 1996. Volevano decidere quale posizione prendere per orientare il governo polacco sull'ingresso o meno nell'Unione. Pensavano che l'Europa fosse solo roba di mercato, monete e banche».

Non è così?
«E' anche così, ma dietro quella moneta e quel mercato c'è la possibilità di ristabilire un rapporto eticamente corretto tra le generazioni successive. Io spiegavo il caso Italia dei decenni scorsi, Paese che si proclamava guidato da istanze etiche, cattoliche, marxiste o un misto di entrambe, ma che primeggiava nell'imbroglio sistematico verso i propri figli caricandoli di debiti prima ancora che nascessero».

A proposito di figli, lei ne ha due ormai adulti. Che padre ricorda di essere stato nella loro infanzia?
«Un padre non abbastanza presente, persino a sentir loro che, come tutti i ragazzi, potevano essere più infastiditi dall'eccesso di attenzioni che dall'assenza».

Siamo alla fine, professore, e mi viene in mente che un suo collaboratore avrebbe detto: «Sono di quelli che l'hanno visto ridere». Non mi spiego più la battuta: lei oggi ha riso parecchie volte.
«Un po' troppe in realtà, forse mi sono distratto. Ma vuole sapere una cosa veramente ridicola sul mio conto?».

Certo.
«Ho paura dei gatti neri che attraversano la strada. Specie se provengono da sinistra. Non me ne chieda la ragione, ma è così».

E quando accade che cosa fa?
«Mi fermo e aspetto che qualcuno, passando prima di me, si prenda il carico di irrazionale sfortuna di quel povero gatto».

11 commenti:

Francy274 ha detto...

Quest'uomo mi fa paura! Non mi piace! E' spietato.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Questa è una intervista del 2005. Quest'uomo, che a te fa paura (a me no, anzi, desta in me tanta ammirazione) è quello che ci farà risorgere. L'alternativa? Preferisco non pensarci! Leggi qui: http://ilgiornalieri.blogspot.com/2011/11/lo-scenario-fuga-di-capitali-e-blocco.html

Francy274 ha detto...

Alternativa non ce n'è, Luigi. Lo so bene. Siamo arrivati a questo punto grazie agli idioti che hanno insistito, in tutti questi anni, a votare i tre partiti della sciagura, PD-PDL-Lega, come montoni impazziti.
Però Monti non mi piace, sono obbligata a sorbirmelo in un momento storico che non offre altre vie di uscita!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Pazienza, i tuoi soldini non obbietteranno.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Con lo spread a quota 456 gli italiani hanno avuto oggi un risparmio teorico di tre miliardi euro e Mario Monti non ha ancora avuto l'incarico formale. Adesso se ti dico il nome Mario Draghi tu cos'hai da dire?

Francy274 ha detto...

Idem con patate! Ti avevo già presagito che i banchieri avrebbero fatto fuori il governo b., mi desti torto.
Ora Ti dico che Monti, Draghi e Letta sono gli impiegati della Goldman Sachs, una delle banche responsabili della crisi mondiale, che ha urgente bisogno di risanare i sui conti. Questa banca compra patrimoni statali, interessante no? Infatti ieri Obama, mostrando i suoi bianchissimi 64 denti, diceva che "l'Italia è ricca", di cosa? Di berlusconiani, non penso si riferiva a quello, magari al patrimonio, forse.
Che coincidenza miracolosa trovarci in questo frangente tre validi economisti pronti a salvarci dalla bancarotta,che sempre per coincidenza sono impiegati di suddetta banca. Siamo davvero fortunati!
Ho imparato che un uomo troppo osannato ha come segni particolari "la fregatura"!
L'unico barlume che vedo in questo momento triste per il mondo intero, arriva da Harward, dove gli studenti della più esclusiva e impenetrabile facoltà di economia del pianeta, vale a dire la Harvard Business School, si sono rivoltati contro il sistema. Si sono rifiutati di seguire la lezione di un famoso economista, Gregori Mankiw, dichiarando che l'attuale sistema economico perpetua diseguaglianza con risvolti sempre più problematici nella nostra società. La stessa economia che professano Monti, Draghi e Letta. Quest'ultimo, vicino a b., ci ha portati dritti, dritti, nelle fauci della Sachs.
Ora c'è da chiedersi, se dovessimo vendere la nostra casa ci rivolgeremmo a un notaio amico dell'acquirente? Io no! Ma forse gli italiani si, lo fanno da sempre.
Ripeto, qui siamo e qui dobbiamo subire senza battere ciglio.
Harward è un lumicino, fra l'altro troppo lontano dall'Italia!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Accidenti! Ho come l’impressione che tu sia la Presidente delle banche che hanno fatto fuori Berlusconi, confessa!
Ma dove le leggi, chi te le dice ste’ cose!
Sei innamorata dello sport, nazionale e no, che si chiama ‘complottismo’.
Rispondi a qualche domanda. Perché e chi avrebbero dovuto far fuori B.? Cui prodest? Chi ne trae vantaggio? E come?
Anche gli investitori e gli speculatori stranieri non avevano interesse a toglierlo di mezzo, salvo quando (per fortuna non è accaduto) i BTP italiani avessero cessato di essere appetibili, in quanto lo Stato non sarebbe stato in grado alla scadenza di rimborsarli.
La UE (Francia e Germania) e la BCE sono intervenute quando era divenuto chiaro che l’Italia di Berlusconi avrebbe affossato l’euro e destabilizzato l’intero sistema finanziario ed economico. Solo allora sono intervenuti i diktat, o fai come diciamo noi o non acquistiamo più i BTP italiani, segnatamente la BCE.
Ma quello e il suo compare sordo ad ogni sollecitazione. Sai quanti miliardi di euro di interessi in più dovrà pagare lo Stato, cioè noi, per ogni 100 punti base dello SPREAD.
Premesso che non so a quale Letta ti riferisci, non crederai che è una novità che Monti e Draghi abbiano lavorato per la banca d’affari che hai citato e che oggi è la numero uno nel mondo. E allora? Puoi forse sostenere che Mario Draghi Governatore della Banca d’Italia abbia operato disonestamente o anche solo scorrettamente? Era uno dei due pezzi pregiati di cui disponevamo e l’è preso la BCE.
Ho buttato l’occhio su questa Harvard Business School, non ne conoscevo l’esistenza. D’altra parte ho appena una laurea in giurisprudenza, molto arrugginita. Rilascia master, lauree di secondo livello.
Adesso so anche chi è Nicholas Gregory "Greg" Mankiw. Guarda caso insegna alla Harvard Business School. Dunque suoi studenti si sono rifiutati di seguire una (?) sua lezione? E l’anno fatto perché “l'attuale sistema economico perpetua diseguaglianza con risvolti sempre più problematici nella nostra società”? S ai che noovità! E cosa propongono in alternativa?
“La stessa economia che professano Monti, Draghi e Letta. Quest'ultimo, vicino a b., ci ha portati dritti, dritti, nelle fauci della Sachs.”? Dove hai preso queste notizie?
Non sapevo che Gianni Letta (ho capito a chi ti riferisci) fosse un avvocato prestato all’Economia. Chissà perché Silvio non lo ha fatto ministro dell’Economia, sarebbe stato certamente più docile di Tremonti.
Io penso che le persone non ci debbano piacere per i loro modi ma per quello che fanno. Se ci si abbandona alle sensazioni ‘a pelle’ si fanno solo disastri. Io nel mio lavoro mi sono subito liberato di tali spunti caratteriali.
Concludo.
Se il Nostro fa il caimano fino in fondo mettendosi di traverso, come pare voglia fare, basandosi oggi su una maggioranza alla Camera superiore ai 308 deputati, cifra che raggiunse nell’approvazione del Rendiconto Generale dello Stato, non so davvero come Napolitano riuscirà a neutralizzare il colpo di coda.
E allora sono cavoletti di Bruxelles!

Francy274 ha detto...

Mi hai scoperta... confesso...sono stata io... :DD
Vedi Luigi, quanto dici è la procedura inevitabile. Non ce ne sono alternative. Mi sento però di dover smorzare tutto questo entusiasmo che si è sollevato intorno a Monti, come fosse il tanto atteso "robin hood". Non illudiamoci che le cose per noi andranno meglio, tutto ciò viene fatto è per salvare i potenti. Di Pietro ne sa qualcosa più di me, non è il classico bastina contrario, o politico fesso che non vorrebbe questo Governo tecnico giusto per fare cagnara.
Berlusconi non è finito, scordatevelo, perderà solo il titolo statale, ma sarà vivo e vegeto dietro le quinte.
Riguardo ad Harward... non so dove Tu lo abbia letto ma... è Harward, prima nella classifica mondiale delle università proprio con la facoltà della Harward Bussines School... e Greg Mankiw non è un docente per lauree di secondo grado.
Comunque... che la sorte ci assista, e speriamo che il nano si dimetta... unica nota positiva in tutta la faccenda :)

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Non hai risposto alle mie domande! Te ne ho fatte tre.
Personalmente non si tratta di entusiasmo immotivato, Monti non è il ‘quivis de populo’, Napolitano non è uno afflitto da demenza senile (ha 86 anni!), entrambi sono l’ultima spiaggia per l’Italia e mi spiace che tu non apprezzi. Te l’ho detto e lo ripeto, non si devono emettere giudizi su base umorale o, peggio viscerale, è in questo modo che abbiamo subito un secondo ventennio, altrettanto devastante del primo. Ti pare che io sia uno che si innamora fideisticamente di qualcuno o di qualcosa?
Condivido ovviamente il giudizio su Di Pietro, che ha fatto una lieve retromarcia tattica, com’era tattico il suo giudizio di esclusione: darà la fiducia al governo Monti ma a patti e condizioni, che ciò che non piace all’IdV non sarà votato. È il minimo! Ce lo vedevi tu a braccetto con Silvio e la sua corte dei miracoli?
So bene quanto te il valore e il prestigio di questa università americana, mi auguro che il vivaio di studenti riesca ad elaborare una teoria economica meno brutale dell’odierna egemonia dei mercati.
Per quanto riguarda Greg Mankiw basta vedere cosa dice Wikipedia.
Post scriptum. Alle ore 20.30 Berlusconi salirà al Quirinale e si dimetterà.

Francy274 ha detto...

Bene, almeno su un punto siamo d'accordo, Di Pietro ;)
Comunque alle domande ho risposto implicitamente e a lungo da qualche giorno ... Allora ripeto:
le banche hanno fatto fuori Berlusconi. Ne trarranno loro stesse il giovamento. Comprando il patrimonio dello Stato a basso costo.
Comunque ho sentito che Monti intende introdurre la patrimoniale nella manovra, vedremo come e in quale misura, c'è Letta che lo affianca... quindi gli averi di b. saranno ben tutelati... Ma vedremo. Ormai non ci resta che aspettare e in base a come reagirà Di Pietro mi reglolerò :)
In bocca a lupo a noi tutti ... e speriamo che dalle 17,30, alle 20,30... non si slitti di ora in ora, con questo c'è da aspettarsi di tutto.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Silvio ha tardato solo 15 minuti, alle 20,45 era a colloquio col Capo dello Stato. Com’era prevedibile. Ciò che non era prevedibile, prima del voto alla Camera sulla legge di Stabilità, con quale stato d’animo sarebbe andato al Quirinale. Infatti, B. coltivava la segreta speranza di avere alla Camera ieri un voto più significativo dei 308 voti ottenuti qualche giorno addietro durante l’approvazione del rendiconto dello Stato per l’anno 2010.
Qui sono stati bravi gli strateghi dell’opposizione, adottando una strategia d’aula per la quale i voti favorevoli alla fine sono stati 380, compresa l’UdC, mentre l’IdV ha votato contro e il PD non ha votato. In questo modo non è stato possibile certificare quanti di quei 380 voti erano un recupero di parlamentari del PdL e B. si è trovato senza armi tattiche, è salito al Quirinale e ha rassegnato le dimissioni.
Come avrai letto, Marco Travaglio attribuisce alla UE, all’asse franco-tedesco, alla BCE, ai mercati e alla (benedetta) stampa estera, la manovra a tenaglia che ha posto B. fuori dai giochi. Di più non si poteva fare e B. nonostante il formidabile uno-due incassato (linguaggio sportivo, della boxe) non si considera e non è ancora uscito definitivamente di scena, è stato sentito affermare che poteva far cadere il governo Monti quanto voleva, e purtroppo è vero. Ogni tesi complottista, com’è giusto, non trovava udienza nella spiegazione di quanto accaduto. Il Caimano stava destabilizzando la struttura economico- finanziaria dell’Europa e, di riflesso, quella mondiale: UN DISASTRO TOTALE! Per ora è stato fermato, ma è ancora abbastanza forte (la forza dei numeri) per imporre a Monti di non istituire la patrimoniale e di non modificare la legge elettorale. Meno male che c’è Di Pietro, diversamente non avremmo una proposta di referendum abrogativo dell’attuale legge elettorale, per cui l’attuale ricatto di B. su questo versante non funziona del tutto. Infatti, per non far tenere il voto referendario, dovrebbe far cadere il governo e i tempi sono troppo stretti; infatti la legge prevede che il Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, indice con decreto il referendum, fissando la data di convocazione degli elettori in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. E poi, non avrebbe nessuna speranza di recuperare in quanto, facendo cadere subito il governo Monti, non avrebbe più alcun alibi