di Wanda Marra
Ci vuole la cabina di regia tra i leader dei
partiti, si deve chiamare coalizione quella che una coalizione effettivamente
lo è”. Enrico Letta, vicesegretario del Pd, a chiama sulla fiducia “mattutina”
ancora in corso qualche preoccupazione sulla tenuta del governo Monti
effettivamente ce l’ha. Lui, uno dei più convinti artefici dell’operazione che
ha portato alla guida dell’esecutivo il Professore, sembra l’espressione
plastica del fantasma-logoramento che già aleggia intorno all’esecutivo. È
evidente ieri nei tempi che slittano, negli ordini del giorno che sembrano uno
sfogatoio. Ma soprattutto nelle scelte: il Pd vota compatto la fiducia, ma
Bersani sceglie di “ricordare” a tutti che l’orizzonte dei Democratici sono le
elezioni. Di Pietro dice di no (alla fiducia e alla manovra), affrontando e
sfidando i malumori nel suo partito.
Di
Pietro impone la linea
“È una manovra iniqua, condizionata dalle
lobby. Siamo costretti al no”. Così parla Antonio Di Pietro in Aula e conduce
un partito diviso su questa linea. Tant’è vero che per lunedì c’è già un
esecutivo convocato: qualche resa dei conti ci sarà. Cambursano
si smarca e vota sì. Massimo Donadi e Nello Formisano non nascondono il loro disappunto.
“Voterò per mera disciplina di partito”, spiega Formisano. Si intrattiene col
piddino Maurizio Migliavacca. “Non sono d’accordo con la linea del partito.
L’operazione che abbiamo fatto a Napoli non è replicabile”. Tradotto: non si
vincono le elezioni senza il Pd. Quindi, bisogna trovare il modo di ricomporre
la famosa foto di Vasto. Ma con molti tra i Democratici pronti a saltare verso
il centro, non sembra un progetto a portata di mano. Sarà stato l’effetto di
vedere la deputata della Lega, Munerato intervenire vestita da operaia (e
parlare all’elettorato tradizionalmente democratico) ma Dario Franceschini annunciando la fiducia del Pd in Aula è molto duro. Con Di
Pietro, che definisce “opportunista”. Musica per le orecchie di chi l’alleanza
la vuole sepolta. Veltroniani in testa. Twitta Gentiloni: “Uragano di
applausi seppellisce Vasto, quando Franceschini critica l’opportunismo di Di
Pietro". Chiosa Merlo: “La foto di Vasto è già ingiallita”. Franceschini è
duro anche nei confronti del governo: “Se volete essere chiari chiamate per
nome e cognome le forze politiche, e riconoscete che la frenata su autostrade,
taxi e farmacie è avvenuta contro il Pd”. Ma va oltre e a Monti dice: “Basta
dire noi e voi”. Quasi di un colpo di mano sulle liberalizzazioni racconta
Baretta, relatore Pd in Commissione Bilancio.
Lo
spettro della conta
E ancora prima della fiducia sulla manovra,
arriva la dichiarazione di Bersani che, accanto al leader dell’Spd Hollande,
parla al Tempio di Adriano: “Sosteniamo Monti, ma l’orizzonte Pd sono le
elezioni”. E ancora: “Andando manovra su manovra si va contro un muro”. Suona
come un avvertimento. D’altra parte, Bersani l’altroieri ha blindato il
partito, impegnandosi per le liberalizzazioni e fissando un’asticella:
l’articolo 18 non si tocca. Giocando il ruolo di grande sostenitore del governo
Monti, il segretario Pd prova a mettere sul tavolo il suo peso, a dire al
Professore che è di lui che deve tenere conto (e il suo intervento in Aula
in serata è tutto su cosa serve e cosa vuole). Nel suo staff precisano che si
riferiva al 2013. Ma quel che è certo è che “si cambia musica” (copyright Stefano Fassina, responsabile Economia). “Se andiamo avanti così con chi vuole
spostare il partito sulle posizioni di Ichino all’assemblea del 20 gennaio
presento l’ordine del giorno sull’articolo 18. Così ci contiamo”. Matteo Orfini lo dice a Monti e ai montiani del suo partito (Letta e
Veltroni, ma anche Franceschini e Fioroni). “Dobbiamo salvare il paese - ripete
tipo ritornello quest’ultimo - ci hanno spiegato che Bersani si riferiva al
2013. Non ci voglio nemmeno pensare che non sia così”. A proposito di strappi
annunciati.
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