sabato 17 dicembre 2011

Bersani: “Ma così si va a sbattere” E divorzia dall’Idv




di Wanda Marra
   Ci vuole la cabina di regia tra i leader dei partiti, si deve chiamare coalizione quella che una coalizione effettivamente lo è”. Enrico Letta, vicesegretario del Pd, a chiama sulla fiducia “mattutina” ancora in corso qualche preoccupazione sulla tenuta del governo Monti effettivamente ce l’ha. Lui, uno dei più convinti artefici dell’operazione che ha portato alla guida dell’esecutivo il Professore, sembra l’espressione plastica del fantasma-logoramento che già aleggia intorno all’esecutivo. È evidente ieri nei tempi che slittano, negli ordini del giorno che sembrano uno sfogatoio. Ma soprattutto nelle scelte: il Pd vota compatto la fiducia, ma Bersani sceglie di “ricordare” a tutti che l’orizzonte dei Democratici sono le elezioni. Di Pietro dice di no (alla fiducia e alla manovra), affrontando e sfidando i malumori nel suo partito.
   Di Pietro impone la linea
   “È una manovra iniqua, condizionata dalle lobby. Siamo costretti al no”. Così parla Antonio Di Pietro in Aula e conduce un partito diviso su questa linea. Tant’è vero che per lunedì c’è già un esecutivo convocato: qualche resa dei conti ci sarà. Cambursano si smarca e vota sì. Massimo Donadi e Nello Formisano non nascondono il loro disappunto. “Voterò per mera disciplina di partito”, spiega Formisano. Si intrattiene col piddino Maurizio Migliavacca. “Non sono d’accordo con la linea del partito. L’operazione che abbiamo fatto a Napoli non è replicabile”. Tradotto: non si vincono le elezioni senza il Pd. Quindi, bisogna trovare il modo di ricomporre la famosa foto di Vasto. Ma con molti tra i Democratici pronti a saltare verso il centro, non sembra un progetto a portata di mano. Sarà stato l’effetto di vedere la deputata della Lega, Munerato intervenire vestita da operaia (e parlare all’elettorato tradizionalmente democratico) ma Dario Franceschini annunciando la fiducia del Pd in Aula è molto duro. Con Di Pietro, che definisce “opportunista”. Musica per le orecchie di chi l’alleanza la vuole sepolta. Veltroniani in testa. Twitta Gentiloni: “Uragano di applausi seppellisce Vasto, quando Franceschini critica l’opportunismo di Di Pietro". Chiosa Merlo: “La foto di Vasto è già ingiallita”. Franceschini è duro anche nei confronti del governo: “Se volete essere chiari chiamate per nome e cognome le forze politiche, e riconoscete che la frenata su autostrade, taxi e farmacie è avvenuta contro il Pd”. Ma va oltre e a Monti dice: “Basta dire noi e voi”. Quasi di un colpo di mano sulle liberalizzazioni racconta Baretta, relatore Pd in Commissione Bilancio.
   Lo spettro della conta
   E ancora prima della fiducia sulla manovra, arriva la dichiarazione di Bersani che, accanto al leader dell’Spd Hollande, parla al Tempio di Adriano: “Sosteniamo Monti, ma l’orizzonte Pd sono le elezioni”. E ancora: “Andando manovra su manovra si va contro un muro”. Suona come un avvertimento. D’altra parte, Bersani l’altroieri ha blindato il partito, impegnandosi per le liberalizzazioni e fissando un’asticella: l’articolo 18 non si tocca. Giocando il ruolo di grande sostenitore del governo Monti, il segretario Pd prova a mettere sul tavolo il suo peso, a dire al Professore che è di lui che deve tenere conto (e il suo intervento in Aula in serata è tutto su cosa serve e cosa vuole). Nel suo staff precisano che si riferiva al 2013. Ma quel che è certo è che “si cambia musica” (copyright Stefano Fassina, responsabile Economia). “Se andiamo avanti così con chi vuole spostare il partito sulle posizioni di Ichino all’assemblea del 20 gennaio presento l’ordine del giorno sull’articolo 18. Così ci contiamo”. Matteo Orfini lo dice a Monti e ai montiani del suo partito (Letta e Veltroni, ma anche Franceschini e Fioroni). “Dobbiamo salvare il paese - ripete tipo ritornello quest’ultimo - ci hanno spiegato che Bersani si riferiva al 2013. Non ci voglio nemmeno pensare che non sia così”. A proposito di strappi annunciati.

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