giovedì 5 gennaio 2012

Referendum, rischio bocciatura incerti 4 giudici della Consulta




Di LIANA MILELLA

Il commento più esplicito: "Questa volta è un casino...". Quello più elegante: "Ammettiamolo, non è una passeggiata". Quello più problematico: "Ci troviamo di fronte a una questione che tutto è, fuorché banale". Il più realistico: "La decisione non è affatto scontata". Proprio così. A una settimana dalla seduta della Consulta sui due quesiti che chiedono di abrogare la legge elettorale Calderoli del 2005 - meglio nota come Porcellum - la partita è apertissima. Sei giudici per il sì, cinque per il no, ben quattro incerti.

Ma si deve pur dar conto dello scetticismo generalizzato su un possibile esito positivo. Per le ragioni che un'alta toga sintetizza così: "Tutta la giurisprudenza della Corte è sempre andata in un'unica direzione: non decidere in modo da lasciarsi alle spalle un vuoto normativo. In materia elettorale poi, la questione già di per sé delicata, diventa delicatissima. In Italia le leggi elettorali sono costituzionalmente protette, il Paese non può restarne senza. Si potrebbe votare domani, e una legge dev'esserci".

Questa è la paura che si respira alla Corte, aggravata da un'ulteriore riflessione: "Mai come adesso, con un governo tecnico a palazzo Chigi e in un quadro d'incertezza politica, bisogna essere attenti a rivoluzionare i paletti giuridici". È questo che rischia di sconfiggere chi sostiene il referendum. Il comitato promotore con a capo il costituzionalista Andrea Morrone, chi ha raccolto1.210.466 firme, da Di Pietro a Vendola, a Segni, a una consistente parte del Pd, agli oltre cento giuristi che hanno sottoscritto la piena ammissibilità.

Per dirla con un'altra fonte della Corte: "Sentiamo la pressione della gente, schierata contro norme che tagliano fuori la scelta popolare. Ma la Corte dev'essere molto attenta a stabilire un principio che varrà per tutte le decisioni future".

Tra le 15 alte toghe che hanno ricevuto via mail la ricca documentazione del relatore Sabino Cassese, c'è anche Sergio Mattarella, un passato di spicco nella Dc e poi nel centrosinistra, padre del Mattarellum, la legge del '93 che i referendari vorrebbero resuscitare. Una coincidenza, visto che solo il 5 ottobre il Parlamento lo ha mandato alla Corte.

Lui, riservato come sempre, non parla. Ma i boatos dicono che non si farà da parte, come pure qualcuno, tra i nemici del referendum, aveva sussurrato. L'astensione alla Consulta è solo un savoir faire, stavolta negativa perché l'ex ministro potrà mettere la sua decennale esperienza parlamentare al servizio della decisione.

Che ruota intorno a un interrogativo:
se una legge, cancellata da una successiva, può tornare a "rivivere" e ridiventare operativa. Alla Corte, e tra i più insigni giuristi, la parola usata è "riviviscenza". Come scrive Alessandro Pace - il costituzionalista che l'11 gennaio difenderà le ragioni del secondo quesito referendario - la questione è se la Mattarella possa "riespandersi". Lui è convinto di sì, e lo ha argomentato nella memoria di 19 cartelle che ieri ha depositato alla Corte.

Due giorni prima, in 38 pagine, altrettanto ha fatto un altro costituzionalista di grido, Federico Sorrentino, per sostenere le ragioni del primo referendum. Il primo cancella d'un colpo tutta la legge, il secondo elimina i cosiddetti "alinea", le frasi che servivano per abrogare il Mattarellum e che, se soppresse, lo farebbero rivivere.

Ma bisogna prestare orecchio ai tam tam della Corte per rendersi conto che mai decisione fu più tormentata di questa. Ecco i dubbi nelle parole di un giudice: "La Corte non sta decidendo se il Porcellum è, o non è, una buona legge, e molti di noi sono convinti che non lo sia.

Qui la questione è se i quesiti sono ammissibili o no. Se dovessimo ipotizzare che uno dei due lo è, faremmo fare alla Corte una virata di 360 gradi rispetto alla sua precedente giurisprudenza, che esclude la riviviscenza delle norme abrogate. Appena l'anno scorso, con la sentenza 24 sui servizi pubblici locali, lo abbiamo ribadito. Se decidessimo l'opposto, dovremmo fare lo stesso per qualsiasi caso futuro".

Senza una legge c'è un "buco" normativo. Questo fa dire all'ex presidente della Consulta Valerio Onida l'opposto di quello che molti pensano: "Proprio per non lasciare un vuoto la Corte fa rivivere la legge precedente". Per evitare che il Paese resti senza norme elettorali. Buone o cattive che siano. C'è però una terza via, ipotizzata dal costituzionalista Alessandro Pizzorusso:
la Corte solleva davanti a se stessa l'incostituzionalità del Porcellum visto che i rilievi critici non sono mancati. E tutto sarebbe rinviato al futuro.
 
(05 gennaio 2012)