I cambiamenti climatici non esistono. E se esistessero farebbero un gran bene. Parola di Pdl. Non è una barzelletta. E' una mozione che porta, tra le varie firme di esponenti della maggioranza, anche quelle di Dell'Utri, Nania e Poli Bortone. In polemica con la Commissione europea che dà "per scontata l'attribuzione della responsabilità del riscaldamento globale in atto da circa un secolo nell'atmosfera terrestre all'emissione dei gas serra antropogenici", i parlamentari del centrodestra professano senza esitazione la loro fede scettica. Sostengono che "una parte consistente e sempre più crescente di scienziati studiosi del clima non crede che la causa principale del peraltro modesto riscaldamento dell'atmosfera terrestre al suolo finora osservato (compreso fra 0,7 e 0,8 gradi centigradi) sia da attribuire prioritariamente ed esclusivamente all'anidride carbonica di emissione antropica".
E se invece il mutamento climatico fosse veramente in atto? Niente paura - si legge nella mozione che verrà discussa giovedì in Senato - sarebbe una gran bella cosa: "Se pure vi fosse a seguito dell'aumento della concentrazione dell'anidride carbonica nell'atmosfera un aumento della temperatura terrestre al suolo, i conseguenti danni all'ambiente, all'economia e all'incolumità degli abitanti del pianeta sarebbero molto inferiori a quelli previsti nel citato Rapporto Stern e addirittura al contrario maggiori potrebbero essere i benefici".
Non è puro amore del paradosso. Nel mirino ci sono, ancora una volta, gli accordi di Kyoto e l'impegno dell'Unione europea ad arrivare agli obiettivi del 20 - 20 -20, cioè a far correre la macchina dell'industria europea per renderla in tempi rapidi più competitiva sul mercato internazionale aumentando l'efficienza e diminuendo la dipendenza dai combustibili fossili: "Gli obiettivi intermedi e le relative sanzioni introdotte dal cosiddetto Protocollo di Kyoto e dal cosiddetto Accordo 20-20-20 si muovono in antitesi alla dinamica degli investimenti in ricerca".
Al testo presentato dalla maggioranza verrà contrapposta una mozione dell'opposizione. "Quelle della maggioranza sono affermazioni che fanno a pugni con il consenso scientifico e politico maturato in tutta Europa sui mutamenti climatici e danno la misura della marginalità del governo italiano rispetto al modo in cui i principali paesi industrializzati stanno organizzandosi per rispondere alle due crisi che si intrecciano: la crisi economica e la crisi climatica", commenta Roberto Della Seta, capogruppo pd in commissione Ambiente.
L'adagio per archi è una composizione per orchestra d'archi di Samuel Barber. Eseguito per la prima volta nel 1938, è il brano più famoso di Barber.
Si tratta di un arrangiamento dello stesso Barber di un movimento del suo Quartetto per archi n. 1 (op. 11), composto nel 1936; nella sua versione originale, esso segue e fa da contrasto ad un primo movimento decisamente violento, ed è a sua volta immediatamente seguito da una breve ripresa del materiale nel primo movimento.Il pezzo, nella sua versione trascritta per orchestra, è stato eseguito per la prima volta da Arturo Toscanini con l'orchestra sinfonica della NBC il 5 novembre1938 a New York. Il pezzo è stato usato anche nel film Platoon di Oliver Stone, con la funzione di sottolineare i momenti più forti della pellicola.
Parco delle Madonie (Sicilia), Dolomiti, Monte Livata (Lazio), Olevano Romano (Monti Simbruini Lazio)Pistoia (Toscana) e altro... dedicato agli alunni e alla Prof.ssa A.M.Pansini della S.M.S. G.B.Piranesi di Roma (Italia) e agli alunni del 4o Gymnasio Peristeriou di Atene (Grecia).
Inizia lo spettacolo "PROMEMORIA "di Marco Travaglio:
La prima Repubblica muore affogata nelle tangenti, la seconda esce dal sangue delle stragi, ma nessuno ricorda più nulla.
Si dice che la storia è maestra, ma nessuno impara mai niente.
Promemoria è la novità editoriale di Marco Travaglio.
Un libro in formato inedito per il giornalista torinese che per la prima volta propone un suo testo accompagnato da un Dvd con le riprese dello spettacolo omonimo, vero e proprio fenomeno della stagione teatrale in corso, accolto ovunque con il tutto esaurito.
RICHARD Tinney, l'inglese che ha inguaiato la moglie - e che moglie, la ministro degli interni Jacqui Smith - per due film porno, ha commesso un errore da dilettanti. Ovvero, si suppone per tirchieria, ha consumato film pornografici su un percorso tracciabile, lasciando che ne uscisse fuori una ricevuta di pagamento che poi per errore la sua consorte ha allegato ai rimborsi spese ministeriali. E dire che ormai anche l'ultimo appassionato rinserrato nella sua stanzetta nella villetta a schiera in provincia sa benissimo che l'hard per immagini lo si celebra nell'anonimato assoluto. E il porno così è diventato sempre più quotidiano e a disposizione di tutti.
Ad esempio, basta collegarsi a un certo sito Internet simboleggiato da due cifre, intuibili e che combaciano l'una con l'altra, e acquisti film hard al minuto: costa 0,07 centesimi per sessanta secondi. Con una schedina prepagata e quindi molto anonima. Il vantaggio è evidente: a un certo punto della sessione, fatalmente, il porno via video perde bruscamente di interesse. Lì, interrompi la connessione e paghi solo quello che hai consumato. Se i gestori rendessero noti i tempi di collegamento medio, avremmo delle statistiche interessanti su certe abitudini.
Benvenuti nel mondo sempre più esteso del porno consumato via schermo, sia quello tv che, soprattutto, quello via computer. Secondo una ricerca Eurispes di qualche anno fa un movimento complessivo che gira sui 900 milioni di euro all'anno. È una cifra da intendere totalmente per difetto. Dentro bisogna farci stare anche il porno tecnicamente più ufficiale a disposizione, quello delle notti hard di Sky (ogni sera più di 200 mila italiani acquistano un film vietato ai minori sui canali "hot" del bouquet), secondo una ricerca del Sole 24 Ore valutabile con introiti sui due milioni a settimana, con percentuali che fanno arrossire se si va sulla cifra spesa in pay-per-view anche per i film normali.
Il vantaggio del porno rispetto a questi ultimi sarebbe almeno di dieci a uno, ma c'è chi dice che bisogna quasi raddoppiare la distanza. E in quei rilevamenti semi-ufficiali al massimo si fanno rientrare anche i dvd, ormai pressoché in disuso, in favore della visione streaming su Internet, il ricavato dei sexy shop e poco altro. Il porno su carta, giornali, riviste, stellare trent'anni fa, è ormai un vago ricordo. I cinema ufficiali sono un decimo rispetto al passato, con qualche sporadico episodio che passa nelle cronache locali mettendo pena e tenerezza: l'altra sera a Savona hanno trovato un pensionato passato a miglior vita nella poltrona laterale del cinemino, sembrava un ritaglio di un quarto di secolo fa.
Quello che dilaga davvero (anzi, in termini prettamente internettiani: spopola) è il video sesso via web. Ovvero la forma più veloce, economica, sicura. Quello che consumato a milioni di unità frutta cifre che nessuno riesce nemmeno a immaginare, a furia di minuti pagati 0,07 centesimi o di noleggio film a sei euro ciascuno, 48 ore di tempo per visionarselo con calma e quante volte si vuole (anche qui le statistiche sarebbero interessanti). Quasi sempre robaccia girata in digitale e per gusti un po' così, ma quello che conta è la sostanza. A dirla tutta, a controllare quali risultano essere i titoli più visionati, vengono ovviamente premiati i generi peggiori e più oltranzisti.
E qui siamo solo nel ramo "pagamento diretto", nei siti cosiddetti commerciali e che mantengono una parvenza di ufficialità, per i quali la ricerca Eurispes di cui sopra assegnava un fatturato annuo di trecento milioni: cifra che i più valutano del tutto insufficiente rispetto alla realtà effettiva. Ma per il colpo d'occhio sull'ampiezza del fenomeno non si può prescindere dai famosi siti peer-to-peer: dove si scarica illegalmente e si condivide il materiale piratandolo gratis, la quantità di porno è soverchiante rispetto al resto. Siccome nessun piatto di minestra è gratuito, qui ci guadagnano solo i gestori.
È l'esplosione irreversibile del consumo di questo tipo che sta facendo ammattire il governo di casa nostra quando deve occuparsi di una misura come la pornotax. Inserita nel pacchetto anticrisi di fine 2008 e anche rinsaldata da pochi giorni dal decreto attuativo: nel quale sarebbe preso di mira anche il consumo su Internet, sì, come se qualcuno ci avesse mai capito qualcosa. In teoria sarebbero tassabili (la tax prevede il 25 per cento in più di introiti per il fisco) i prodotti video messi a disposizione sul web, ma risalire a chi fa cosa, come e perché è autentica follia. E anche per i film trasmessi dalle tv sorgono questioni che, se non girassero su una realtà così borderline, sarebbero irresistibili.
La perla è la seguente: la pornotax definisce tassabili quei contenuti video in cui vengono girate scene di sesso "non simulato". Dal mondo delle tv e produttori interessati è partita la controffensiva teorica: scusate, quelli che girano queste scene sono attori, stanno quindi recitando, come si può dire che non simulino? Cambierebbe mestiere anche Perry Mason se dovesse mettersi a cavillare su una simile questione, per non parlare del giudice che deve dirimere. E magari tra i produttori prevalesse l'approccio teorico: quello che si dice con assoluta chiarezza è che appena il governo farà davvero sul serio, magari tirando nel mucchio e alla cieca, magari iniziando a esigere, come da norma, anche il dovuto retroattivo sul 2008, si avvierebbe semplicemente la trasmigrazione totale all'estero (Europa dell'Est) o a San Marino della sede delle società di riferimento. Il porno così tassato chiude, e se chiude come si divertono poi i milioni di adepti?
Per intanto si manda avanti Tinto Brass ("Un provvedimento devastante, disastroso, che mette tristezza"), che fornisce appoggio solidale e disinteressato - non sono i suoi film nel mirino - ma quello che appare ormai su una china senza ritorno è l'appoggio esplicito dei media ufficiali, segnatamente la tv di confine serale-notturno. Con Sky che si appresta a celebrare in una fiction l'icona di Moana Pozzi, e chissà con quanti riferimenti alle parti sordide della sua triste storia.
Con Piero Chiambretti che quasi ogni sera-notte su Italia 1 consacra spazi al porno, celebrando Moana e invitando le sue colleghe e colleghi (e deve avere, Chiambretti, autentici esperti nel suo staff a giudicare dalla puntualità ed efficacia dei riferimenti storici). Per non dire del Rocco Siffredi che spiega come si fa sesso alle "Iene", dove a ogni stagione non può mancare il reportage clandestino, molto clandestino, direttamente dal set di un film hard girato sempre in Ungheria. E ancora il pornoattore di vaglia Franco Trentalance diventato star dei reality di Mediaset, con una voglia evidente di passare a un lavoro qualsiasi da esercitare con addosso i pantaloni, ma sempre richiamato all'ordine del perché è famoso, mica penserai, caro mio, di avere doti recitative così, all'improvviso.
E con sempre più spettatori che lo vedono lì, al reality, e si incuriosiscono, ma davvero questo girava quei film, e dove lo possiamo vedere, e come. E lo schermo del computer che si accende quasi da solo, per magia. 0,07 centesimi, grazie.
Non illudiamoci, il porno che ci assedia non è una manipolazione del potere affaristico e dei papponi di Stato, non è un bisogno indotto dalla bieca speculazione, ma è l'immondizia che abbiamo in testa noi.
Ed è, a paragone di noi sporcaccioni e viziosi italiani, un nostro fratellino ingenuo questo Richard Timney, marito della ministra laburista inglese, famosa per le sue battaglie antiporno. Nei pomeriggi di domenica, quand'era solo in casa, Richard si metteva al computer di Stato della moglie e scaricava per scaricarsi. Del resto, se non fossimo una maggioranza di viziosi solitari, i 32 canali di Sky non sarebbero diventati, durante le notti italiane, il carnevale delle fruste e delle borchie, il rodeo delle acrobazie dissociate. EYouporn, Fetishtube, Clip4sale... non sarebbero i siti più visitati dagli italiani, le farmacie del sesso malato, i venditori dei più malinconici e più strambi surrogati, i complementi necessari alla masturbazione, i domatori momentanei di turbe psichiche diffuse e inguaribili, ma sino a qualche anno fa impensabili nel paese della malafemmina di Totò e della crapula di Tognazzi, nel paese dei tradimenti e dei cornuti, dei cicisbei e del maschio latino.
Insomma, se oggi in Italia il porno è un fiume, noi ne siamo la sorgente e la foce, l'origine e la fine. E però questo porno liberato non è il sesso liberato che aveva in mente Wilhelm Reich. Non è questo il sesso che volevamo liberare noi che siamo cresciuti nel mondo sessuofobico delle fantasie erotiche scombinate e dei peccati repressi (e perdonati) in nome di Dio. Noi volevamo un mondo più giusto e più ricco senza divisioni di classe e di sessi e abbiamo un mondo di fantasmi invincibili. Non più peccati di provincia ma vizi immondi e tutte le bizzarrie che una volta almeno erano nascoste, gestite da personalià aberrate.
Oggi, al contrario, nessuno sa dove sono ricoverate la sobrietà, la compostezza e il pudore. L'aberrazione è diventata normalità da consumare nei momenti di relax: c'è un clic per ciascun sapore forte; ogni brivido ha il suo sito; non c'è porcheria senza canale satellitare. Viene quasi da rimpiangerlo quel tempo nel quale andava di moda avere un bel problema sessuale: complessi, evasione, frigidità. E poi: ghiandole, ormoni, subcosciente... Tutto un armamentario scientifico fu dispiegato per derubricare a peccati veniali l'adulterio, l'abbandono del tetto coniugale, la poligamia.
Certo, era triste il sesso ai tempi delle mammane e del delitto d'onore, quando la chiesa metteva il peccato sul décolleté delle signore e una commissione di paffuti peccatori democristiani censurava le canzoni e i programmi radiotelevisivi, mentre i sottosegretari coprivano gli organi genitali delle statue. Era l'epoca della gelosia e degli amori violenti, delle donne frustrate e del bovarismo, dei giovanotti aggressivi e prepotenti carichi di brillantina e di alterigia. E si capisce perché mettemmo sottosopra quel mondo che ci pareva lugubre. Sognavamo l'allegria del sesso, pensavamo che i porci avessero le ali...
Invece eccoci qui con la pedofilia, con gli stupri, con gli orrori registrati dalla cronaca anche negli ambienti apparentemente insospettabili. E con i sexy shop che sono i negozi delle assurdità normalizzate, dove la trasgressione è sempre incredibilmente ridicola tranne in quei pochi minuti quando scopri il cielo in una stanza. Falli, falloni e fallacci di plastica, catene, cinture di castità per uomini... e poi di corsa a casa per rinchiudersi nella propria gabbia mentale, dieci minuti al giorno dentro i quali ciascuno ritrova il proprio particolarissimo fantasma in una clip, in un programma televisivo, in un fumetto. Non abbiamo liberato il sesso, ma la sua patologia. Ma cosa potevamo aspettarci liberando un cane che viveva in sofferenza, se non che diventasse feroce? E come puoi chiedere a una società di zoppi di mettersi a correre truffando la zoppia?
È davvero un viziosetto innocente quel marito inglese. Venga qui e scoprirà che nell'Italia che di notte consuma il porno, di giorno va in onda l'oltranza della volgarità, sulla Rai e su Mediaset. Dai quiz alle notizie, tutto nella televisione italiana è un pretesto per ammiccare agli attributi femminili. C'è insomma in Italia un'oscenità diffusa, e non solo televisiva che si attacca come un'edera alle donne, è la smorfia del sesso, è una raffica di rimandi allusivi, un trafficare pubico e una pornolalia spesso mascherata da moralismo che è molto più sordida - apertamente più sordida - dell'universo della pornografia esplicita. Ecco perché quasi ci commuove il povero Richard con il suo scandaletto all'inglese. A noi il porno ci ha ridotto al punto da farci rimpiangere le dogane etiche, i pregiudizi e pure le pudicizie.
Del resto a capire che il bacchettonismo aveva un costo e che, al contrario, il porno fa cassa è stato il governo Berlusconi introducendo la pornotax. La legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e il ministro Tremonti, che non è il marchese De Sade, tutto contento sta mettendo a punto i decreti attuativi. Presto sapremo quanti soldi arriveranno nella casse dello Stato. "Pizzo" sulla masturbazione degli italiani, questo balzello si accanisce sul porno ma al tempo stesso lo riconosce e lo sdogana per sempre come vizio nazionale. E infatti ci dicono che al ministero fanno la fila per visionare il porno da tassare, che c'è una ressa per far parte di questa nuova commissione pornofiscale. Siamo partiti dal funzionario censore e siamo arrivati al funzionario guardone.
Venite, adoremus: e dopo tre giorni ancora una volta il presidentissimo Berlusconi si conferma all'altezza della sua fama.
Il ruggito e lo sberleffo, il maxi-schermo e lo stacchetto musicale, la gloria e il merchandising, le salmodie dei ministri e il più sonante dispendio di quattrini, tre milioni e rotti di euro, in tempi di crisi, per fare bella figura, alberghi a quattro stelle, bianche tovaglie e delizie di catering per i delegati. Programma minimo scandito alla platea: "Non accontentarsi mai".
Chissà se è davvero "la fine della lunghissima transizione italiana". Quando ieri mattina il Cavaliere ha annunciato questo passaggio di ordine storico e politico, per sincronica assonanza veniva da pensare a quanto il professor Aldo Schiavoneha scritto in un libro uscito da pochi giorni, L'Italia contesa (Laterza), e che a proposito della pretesa tempestività berlusconiana dice esattamente il contrario: "Il leader della transizione italiana è diventato oggi il solo ostacolo al suo definitivo compimento. La normalizzazione della nostra politica non aspetta che la sua uscita di scena per potersi concludere".
Ecco, si vedrà. Ma intanto mai come in questo congresso è apparsa più evidente la fine di una certa idea della destra. Ed è proprio nell'evoluta potenza tecnica del berlusconismo, nelle sue forme e nei suoi linguaggi che si coglie il senso dello stravolgimento terminale di un antico decoro. E attenzione. Una volta Massimo Cacciari ha qualificato Berlusconi: "Una catastrofe estetica prima ancora che politica". Ma qui non si tratta di interpretare la novità secondo i codici del consueto (e vano) anti-berlusconismo di sinistra, filosofico o snob che sia, comunque spocchiosetto nei suoi stilemi di pretesa superiorità morale e di buongusto.
No. Il dubbio è come avrebbero reagito un Indro Montanelli o una Oriana Fallaci di fronte alla scena del Cavaliere che fa mettere "le nostre dame" in primo piano, si mette a cantare Fratelli d'Italia e al momento di "siam pronti alla morte" strizza l'occhio alle telecamere e fa così così con la mano. La curiosità è di indovinare come Spadolini avrebbe giudicato le tante invocazioni auto-messianiche, la rivendicatissima "lucida follia" del Cavaliere o la promozione a ministro di una ex starlette come Mara Carfagna.
L'interrogativo è come il grande Giovanni Ansaldo, l'autore de "Il vero signore", avrebbe descritto l'invasione della cosmetica nella vita pubblica o la dislocazione delle giovani e sospette figuranti interinali sotto le volte posticce della Nuova Fiera di Roma.
Detta altrimenti: il sospetto è che con il proverbiale colpo di spada Berlusconi abbia definitivamente tagliato i legami che da anni e anni in Italia tenevano assieme il potere con i canoni stilistici e comportamentali cosiddetti "borghesi": misura, riserbo, ipocrisia, rispetto delle regole, pudore dei propri sentimenti, diffidenza per tutto ciò che fa rumore e spettacolo. L'ipotesi è che si tratti di un leader ormai compiutamente extra-borghese o forse addirittura anti-borghese.
E dunque: bisognava vederlo, ieri mattina, annunciare alla platea il suo personale e prezioso dono ai delegati, una "carineria", come dice lui, una "speciale edizione in carta pergamena", proclamava radioso, un incredibile codice miniato che riproduceva il discorso audiovisivo della discesa in campo - e che poi il Cavaliere ha puntualmente declamato al congresso auto-ri-citandosi per quattro buoni minuti. Ecco, fa un certo effetto anche solo immaginarsi cosa avrebbe scritto a proposito della finta pergamena il fondatore del Borghese, Leo Longanesi. Nel 1953 questi pubblicò un libro dall'interrogativo titolo: "Ci salveranno le vecchie zie?", intese queste ultime come l'emblema e le custodi di un mondo fatto di compostezza, parsimonia, fedeltà alle cose solide, ben fatte, per nulla appariscenti. E se la faccenda può sembrare estranea al dibattito politico e ai destini del Pdl, beh, non lo è tanto perché le vecchie zie accompagnano la vita del potere, e Andreotti per dire ne aveva una, la celebre zia Mariannina, che da bimba aveva vissuto addirittura la presa di Roma da parte dei piemontesi traendone il seguente e andreottianissimo insegnamento: "Tutto si aggiusta". Bene: neanche a farlo apposta, pure il Berlusconi aveva diverse vecchie zie, alcune anche suore, altre, sembra di ricordare, formidabili pasticcere. Ma soprattutto ce n'era una, di nome Marina, appunto anziana e non molto avvenente, che un giorno imprecisato il futuro presidente sorprese con un abito a fiori davanti a uno specchio che si accarezzava dicendo: "Come sei bella! Come sei bella!". Al che: "Ma, zia, che fai?". E lei, di rimando: "Ora che nessuno me lo dice più, me lo dico da sola".
Ebbene, il turbo-narcisismo ottimistico-consolatorio della zia berlusconiana a suo modo dice parecchio sulla rottura con i costumi e gli atteggiamenti tradizionali della destra, ma forse altrettanto sulla fondazione del primo partito carismatico dell'era repubblicana.
Un'autocrazia che si riconosce nei "tanti nostri meriti", nell'"altissima qualità della nostra classe dirigente" per cui "io vi nomino tutti missionari di libertà", e adesso venite qui con me a cantare, e mi raccomando, "le nostre dame in primo piano!". Sovrano acclamato con tanto di ratifica notarile visibile in led e pixel sui mega schermi della conclusa transizione italiana. Un re rivoluzionario populista e plebiscitario, l'ennesimo scherzetto della storia, che sempre insegna d'altra parte a diffidare degli slogan risonanti nelle piazze: "Fascisti, borghesi, ancora pochi mesi!". Ecco, ci volevano in realtà diversi anni, ma visto dal congresso del Popolo della libertà l'esito, più o meno, è proprio quello lì.
BOLOGNA - Prima ha dipinto il suo possibile successore come incapace di organizzare una campagna elettorale. Ieri ha accusato il segretario regionale Pd di arrivismo personale. A Bologna Sergio Cofferati, mentre continua l'incertezza sulla sua candidatura alle europee, si scatena. Ma è tutta l'ex regione rossa che sussulta di imprevisti terremoti: a Reggio Emilia ritorna "la Zarina", l'ex sindaco dell'era Pci-Ds Antonella Spaggiari, e si candida alla guida di una lista civica appoggiata dall'Udc sfidando il sindaco uscente Pd, Graziano Delrio. A Forlì le primarie Pd sfiduciano il sindaco uscente Nadia Masini, ex-Ds, e incoronano l'outsider Roberto Balzani, di area repubblicana.
L'impressione di un "liberi tutti" là dove il Pd si supponeva mantenesse una coesione da partito di massa è difficile da scacciare. A Bologna esplode un "caso Cofferati" che sembrava risolto con la scelta del sindaco di rinunciare al secondo mandato per stare vicino a suo figlio, a Genova. Quanto vicino? Le voci di una candidatura Cofferati alle europee sono circolate, debolmente smentite dall'interessato, contrastate da esponenti nazionali del partito. Sabato, forse per allontanare una polemica minacciosa per la campagna elettorale bolognese, il coordinatore Pd Salvatore Caronna (anche lui in odor di Bruxelles) ha scaricato sul Pd di Genova la competenza sulla questione.
Durissima, ieri, la rimbeccata di Cofferati. Novità sulle europee? "Chiedete a Caronna, è l'unico che se ne sta occupando intensamente da settimane". Nel senso che lavora per lei? "No, per se stesso". Sconcerto, tensione. L'accusa di carrierismo è pesante anche in un partito post-comunista. Silenzio dall'accusato. Si pronuncia invece Pierluigi Bersani: "Una candidatura Cofferati sarebbe utile alla nostra battaglia, non posso che caldeggiarla". Via libera dall'ala dalemiana, tentativo di placare il sindaco furioso?
A Reggio Emilia, invece, la spaccatura sembra insanabile. Antonella Spaggiari, per tutti "la Zarina", è stata sindaco per ben tredici anni, eletta in quel duro '91 che fu l'anno delle polemiche sui delitti del dopoguerra. Nel 2004 lasciò il posto a Graziano Delrio, provenienza Margherita, per riapparire alla presidenza della potente fondazione bancaria Manodori: paradosso curioso, un sindaco cattolico nella città dal rosso più vivo dell'Emilia, un presidente ex Pci alla Fondazione che fu un feudo Dc. Ora il cerchio si chiude, e Spaggiari sfida il suo successore con una lista centrista. "Strada ingloriosa, poca lealtà e generosità, non si fa politica col risentimento", reagisce amareggiato il segretario Pd Giulio Fantuzzi, mentre Delrio preferisce già identificarla come avversario conclamato: "Parla come la destra". "Non è rancore", reagisce la sfidante, "ma spirito di servizio, Reggio ha perso tempo in questi cinque anni", e chiede il voto di "riformisti, cattolici e liberali".
In confronto, a Forlì la botta è stata digerita meglio. Sonia Masini, area ex-Ds, sembrava avere la strada in discesa quando ha accettato di sottoporsi alle primarie Pd per succedere a se stessa: in fondo, la graduatoria del Sole-24 Ore l'aveva classificata decima in Italia per popolarità. Ma in una notte di scrutini al cardiopalmo, per soli 45 voti su ottomila, un outsider l'ha scavalcata: Roberto Balzani, docente di Storia nella sede romagnola dell'Università di Bologna, cultura mazziniana, allievo prediletto di Giovanni Spadolini. "Lo sosterrò, purché riconosca il mio lavoro" è stato il commento non entusiasta della sfiduciata Masini.
Craxi, questo sconosciuto L'altro padrino fondatore Le riunioni ad Arcore La mafia e la nuova Repubblica Gli incontri tra Mangano e Dell'Utri Bettino, Silvio e Marcello
Testo: "Buongiorno a tutti. Non per guastare la festa a questa bella incoronazione imperiale del leader del popolo delle libertà che, come avete visto, a sorpresa è stato eletto primo, unico, ultimo imperatore del partito che aveva fondato sul predellino di una macchina e che quando l'aveva fondato Gianfranco Fini l'aveva subito fulminato dicendo: “siamo alla comica finale, noi non entreremo mai nel Popolo della Libertà e Berlusconi non tornerà mai più a Palazzo Chigi con i voti di Alleanza Nazionale”. E quando qualcuno gli aveva chiesto “Possibilità che AN rientri all'ovile?”, risposta di Fini: “Noi non dobbiamo tornare all'ovile perché non siamo pecore”. Poi come avete visto sono tornati all'ovile quindi ne dobbiamo concludere che sono pecore o pecoroni. Ecco, non è per guastare il clima idilliaco anche perché avete visto che sono talmente uniti che su 6000 delegati non se n'è trovato uno che votasse per un altro candidato; potevano pagarne uno almeno per votare per un altro candidato almeno facevano finta di averne due, invece no. E' stata proprio una cosa unanime che ha molto commosso il Cavaliere che non se l'aspettava: avete visto l'emozione con cui ha scoperto di essere stato eletto leader in quei congressi che proprio all'ultimo momento ti riservano questo colpo di scena finale. Chi l'avrebbe mai detto. Ma diciamo che questo stava nelle cose. La cosa interessante è che a poco a poco si cominciano, con quindici anni di ritardo, a vedere i nomi e i cognomi dei veri padri fondatori di quest'avventura che adesso si chiama Popolo della Libertà, che prima si chiamava Casa della Libertà , che prima ancora si chiamava Polo della Libertà e che in realtà ha un unico padrone che si chiama sempre Forza Italia. Quante volte abbiamo sentito rievocare la storia di Forza Italia, le origini... adesso c'è anche quel libro scritto in caratteri gotici, molto grosso per i non vedenti, probabilmente è la versione braille quella che Berlusconi ha mostrato in televisione, che invece della fiaba di cappuccetto rosso, di Cenerentola racconta la fiaba di uno dei sette nani: l'ottavo nano, anzi, come l'avevano ribattezzato i fratelli Guzzanti e la Dandini.
Craxi, questo sconosciuto L'ottavo nano che nel 1993 cominciò a macinare idee, progetti che poi si tradussero in Forza Italia. All'inizio ci dicevano che fu lui ad avere questa intuizione meravigliosa, anzi quando qualcuno insinuava che ci potessero essere dei rapporti, dei suggerimenti di Bettino Craxi, di alcuni strani personaggi siciliani che poi vedremo, veniva tutto negato: “non sia mai, noi non c'entriamo niente”. Anzi Berlusconi Craxi faceva proprio finta di non conoscerlo. Per la precisione, il 21 febbraio del 1994, ad un mese ed una settimana delle prime elezioni che Berlusconi vinse, tre settimane dopo il famoso discorso televisivo a reti unificate spedito in videocassetta ai telegiornali, quello della discesa in campo, Berlusconi era a Mixer, ospite di Giovanni Minoli che, conoscendo anche lui molto bene Craxi gli chiese quale fosse il suo rapporto con Craxi. All'epoca Craxi era un nome impronunciabile, era il numero uno dei tangentari, stava facendo di gran fretta le valige perché di li a poco con l'insediamento del nuovo Parlamento i vecchi parlamentari avrebbero perso ipso facto l'immunità e sarebbe finito dentro. Allora stava apprestandosi alla fuga, alla latitanza verso Hammamet. Era un nome pericoloso, e Berlusconi, fedele alle amicizie e coerente come sempre, rispose a Minoli: “è una falsità, una cosa senza senso dire che dietro il signor Berlusconi ci sia Craxi. Non devo nulla a Craxi e al cosiddetto CAF”. Un anno dopo, lui aveva già fatto il suo primo governo, era già cascato, c'era il governo tecnico Dini, alla Repubblica gli chiesero notizie di Craxi perché era venuto fuori da un vecchio consulente di Publitalia che aveva partecipato alla progettazione, addirittura pare fin dall'estate del 1992, Ezio Cartotto, alla nascita di Forza Italia, aveva raccontato che in queste riunioni, in quella decisiva ai primi di aprile del 1993, mente lui era li ad Arcore con Berlusconi si aprì una porta ed entrò Craxi e diede alcune indicazioni. Per esempio che bisognava mettere insieme le truppe berlusconiane con i leghisti, ma Craxi disse “mai con i fascisti”. Craxi aveva tanti difetti ma essendo un socialista i fascisti non li voleva vedere mentre, come abbiamo visto, Berlusconi si è portato dentro i fascisti e anche qualche nazistello per non disperdere i voti. In ogni caso i giornali pubblicarono le dichiarazioni di Cartotto, che chi di voi vuole vedere nel completo trova nel libro “L'odore dei soldi”, lì c'è proprio il racconto di questa riunione nella quale Craxi spalancò una porta. Berlusconi replicò negando. Io mi ricordo che in una conferenza stampa in quei giorni a Torino, al Lingotto, io gli chiesi se era vero che Craxi avesse partecipato a queste riunioni e lui, invece di rispondermi, mi disse “si vergogni di farmi questa domanda”. Era una conferenza stampa: in un altro paese immagino che tutti i giornalisti avrebbero rifatto la stessa domanda fino a ottenere la risposta, invece i colleghi, che sono quelli che fanno parte del codazzo, che sono ormai quasi di famiglia per lui, mi guardarono come dire: “ce lo disturbi, così ci rimane male, ci rimane storto per tutta la giornata”. Io mi ritirai in buon ordine, non conoscendo queste usanze altamente democratiche. Berlusconi disse di nuovo: “Forza Italia e Craxi sono politicamente lontani anni luce. Posso assicurare che politicamente non abbiamo a che fare con Craxi e siamo stati molto attenti anche alla formazione delle liste elettorali”. Come dire, quello è un pregiudicato e noi i pregiudicati non li vogliamo. Non vogliamo neanche gli indagati, infatti Forza Italia nel 1994 faceva firmare una dichiarazione ai suoi candidati nella quale dichiaravano non solo di avere condanne ma nemmeno di avere mai ricevuto un avviso di garanzia, che è addirittura eccessivo come dicevamo la settimana scorsa. Per essere indagati basta essere denunciati da qualcuno, che magari si inventa le accuse. “Non rinnego l'amicizia con Craxi ma è assolutamente escluso che Forza Italia possa aver avuto o avere alcun rapporto con Craxi”. 2 ottobre 1995. Craxi è rimasto latitante dal 1994 al 2000 ad Hammamet. Nel gennaio del 2000 è morto. Stefania Craxi ha aspettato per sei anni che l'amico Silvio, che doveva molto se non tutto a Craxi, andasse a trovare suo padre e Berlusconi non c'è mai andato, è andato a trovarlo da morto al funerale. Infatti, parlando al Corriere della Sera nell'agosto del 2004, Stefania Craxi dichiarava: “A Berlusconi non perdono di non essere mai stato a trovare mio padre neppure una volta.”. L'avete vista, l'altro giorno piangeva felice durante la standing ovation riservata a Craxi su invito di Berlusconi dall'assemblea dei congressisti; evidentemente si è dimenticata o forse ha perdonato, o forse il fatto che l'abbiano portata in Parlamento l'ha aiutata a perdonare. Sta di fatto che Craxi era un appestato, non si poteva dire che Craxi era uno dei padri fondatori di Forza Italia e poi dei suggeritori, visto che da Hammamet non faceva mai mancare i suoi amorevoli consigli, come emerse dalle famose intercettazioni depositate nel processo sulle tangenti della metropolitana di Milano, quelle che il giovane PM Paolo Ielo tirò fuori in aula per dimostrare la personalità criminale di Craxi che anche dalla latitanza continuava a raccogliere dossier a distribuire suggerimenti, ed era in contatto con il gruppo parlamentare di Forza Italia. Tant'è che il portavoce del gruppo parlamentare si dovette dimettere perché era solito sottoporre a Craxi le interrogazioni e le interpellanze parlamentari, e Craxi dava ordini su come orchestrare le campagne contro i magistrati... anche questo lo trovate mi pare in “Mani Pulite” se non ricordo male.
L'altro padrino fondatore Ma, andando avanti, l'altro giorno finalmente c'è stato lo sdoganamento postumo di Craxi: quindici anni esatti dopo la prima vittoria elettorale di Forza Italia Berlusconi ci ha fatto sapere pubblicamente, durante la standing ovation, che uno dei padri fondatori era Bettino. Non è male un partito che ha fra i suoi padri fondatori un latitante, no? Ecco, per chi pensasse che non è bello un partito co-fondato da un latitante, fermi la propria indignazione o la propria riprovazione perché tra i padri fondatori Craxi probabilmente è il più pulito. Nel senso che, magari ci arriviamo al prossimo congresso, prima o poi sentiremo il Cavaliere ammettere anche il nome di altri padri fondatori di Forza Italia, che per il momento restano ancora abbastanza nell'ombra. Quando voi vedrete a un prossimo congresso, non so... quando gli metteranno la corona o gli poseranno la spada sulla spalla o si metterà lo scolapasta in testa e il mestolo in mano e comincerà a declamare in lingue strane, se solleciterà una standing ovation per Vittorio Mangano sappiate che quello è il momento: finalmente un altro padre, o padrino, fondatore di Forza Italia verrà allo scoperto. Per il momento ci dobbiamo accontentare di quello che siamo riusciti a scrivere nei nostri libri, perché noi scriviamo nei nostri libri delle cose e poi dieci anni dopo Berlusconi arriva e le dice, e tutti i giornali le annotano dicendo “Berlusconi rivela...”. No, Berlusconi non rivela niente: confessa tardivamente, di solito quando le cose sono andate in prescrizione. Allora, per essere precisi perché molto spesso si fa letteratura, Mangano, non Mangano, sarà vero o non sarà vero. Io vi cito semplicemente quello che noi sappiamo per certo sul ruolo che ebbe Vittorio Mangano in tandem con Marcello Dell'Utri nella nascita di Forza Italia. Un po' di date: il 23 maggio del 1992, strage di Capaci. Qualche giorno dopo Ezio Cartotto, che è un vecchio democristiano della sinistra DC milanese che teneva delle lezioni e delle consulenze ai manager e ai venditori di Publitalia e che quindi lavorava per Dell'Utri, viene chiamato da Dell'Utri. Siamo nell'estate del 1992, tangentopoli è appena esplosa, non c'è ancora nessun politico nazionale indagato dal pool di Mani Pulite: hanno preso Mario Chiesa, hanno preso i due ex sindaci di Milano Tognoli e Pillitteri, hanno preso un po' di amministratori locali democristiani, comunisti, socialisti. Eppure Dell'Utri, evidentemente con le buone fonti che ha a Palermo, ha già deciso che la classe politica della prima Repubblica è già alla frutta e non si salverà e quindi a scanso di equivoci chiama Cartotto e, in segreto, senza nemmeno parlarne con Berlusconi, gli commissiona – dice Cartotto - “di studiare un'iniziativa politica legata alla Fininvest”. Poi c'è la strage di Via D'Amelio, preceduta dalla famosa intervista dove Paolo Borsellino ha detto che a Palermo ci sono ancora indagini in corso sui rapporti fra Berlusconi, Dell'Utri, Mangano e il riciclaggio del denaro sporco. Dopo avere dato quell'intervista, passano nemmeno due mesi e Borsellino viene eliminato a sua volta. Intanto Cartotto lavora come una talpa: lo sa solo Dell'Utri. Berlusconi, questo lo trovate negli atti del processo Dell'Utri e noi in Onorevoli Wanted e anche nel libro arancione “L'amico degli amici” abbiamo raccontato dilungandoci questa vicenda che ha semplicemente dell'incredibile. O almeno, avrebbe dell'incredibile se qualcuno la conoscesse, se qualcuno l'avesse raccontata in questi giorni in cui tutti facevano i retroscena della nascita di Forza Italia. Si sono dimenticati questi popò di retroscena. Nell'autunno del 1992 Berlusconi viene informato del fatto che farà un partito, perché i primi a saperlo sono Dell'Utri e Cartotto. Da' il suo via libera al progetto, che prosegue tramite le strutture di Publitalia all'ottavo piano di Palazzo Cellini a Milano 2, dove ha gli uffici Dell'Utri. Il progetto viene chiamato “Progetto Botticelli”, viene camuffato da progetto aziendale, in realtà è un progetto politico che sfocerà in Forza Italia, e poi ci sono tutte le riunioni di quando Berlusconi comincia a consultarsi con i suoi uomini. Ovviamente, non solo i manager del gruppo ma anche i direttori dei giornali e dei telegiornali, che sono sempre i vari Costanzo, Mentana, Fede, Liguori e ovviamente Confalonieri, Dell'Utri, Previti, Ferrara. Montanelli non ci andava, ma ci andava Federico Orlando che poi ha scritto un libro, anche quello molto interessante: “Il sabato andavamo ad Arcore” pubblicato dalla Larus di Bergamo. Poi ha scritto un altro libro “Fucilate Montanelli”, nel quale si raccontano, per gli Editori Riuniti, questi fatti.
Le riunioni ad Arcore In queste riunioni ci sono discussioni, perché Berlusconi è preoccupatissimo. C'è il referendum elettorale che ha portato l'Italia alla preferenza unica e si va verso l'uninominale, c'è la scomparsa nella primavera del 1993 dei vecchi partiti che gli avevano garantito protezione per vent'anni, c'è la necessità di sostituirli con qualcosa che sia talmente forte da sconfiggere la sinistra che sembra approfittare del degrado morale che sta emergendo soprattutto, ma non solo, per i partiti del centrodestra – poi il PCI era coinvolto anche nella sua ala milanese ma non a livello nazionale nello scandalo di tangentopoli. E soprattutto c'è tutto il problema delle concessioni televisive e di chi andrà a governare il Paese e quindi a regolare la materia delle concessioni televisive che Berlusconi aveva appena sistemato con la famosa legge Mammì e quei famosi 23 miliardi finiti sui conti esteri della All Iberian di Craxi subito dopo la legge Mammì. Allora c'è grande allarme, c'è grande preoccupazione: sarà meglio entrare o sarà meglio non entrare? C'è tutta la manfrina “facciamo un partito di centrodestra e poi lo consegniamo chiavi in mano a Segni e Martinazzoli perché vadano avanti loro, oppure lo facciamo noi?”. Questo era il dibattito, che nell'aprile del 1993 segna la benedizione ufficiale di Craxi con quella riunione che vi dicevo prima ad Arcore con Ezio Cartotto.
La mafia e la nuova Repubblica Poi ci sono altre discussioni, ci sono ancora i frenatori come Confalonieri, Gianni Letta, Maurizio Costanzo che sono piuttosto ostili al progetto, o meglio temono che per Berlusconi sia un autogol. Sarà un caso, ma proprio il 14 maggio del 1993 la mafia fa un attentato a Roma, il primo attentato a Roma nella storia della mafia, il primo attentato fuori dalla Sicilia nella storia della mafia viene fatto a Roma nel quartiere dei Parioli. Contro chi? Ma guarda un po': Maurizio Costanzo che sfugge poi, fortunatamente, per un centesimo di secondo. Quel Costanzo che stava nella P2: evidentemente qualche ambientino non si aspettava che fosse ostile alla discesa in campo. Perché lo dico? Perché in quello stesso periodo in Sicilia e in tutto il sud ovest, anche Calabria, si muovevano delle strane leghe meridionali che, in sintonia con la Lega Nord – c'era stato addirittura a Lamezia Terme un incontro con un rappresentante della Lega Nord – si proponevano di secedere, di staccare Sicilia, Calabra... infatti si chiamavano “Sicilia libera”, “Calabria libera”. Era tutto un fronte di leghe molto strano: invece di esserci i padani inferociti lì c'erano strani personaggi legati un po' alla mafia, un po' alla 'ndragheta e un po' alla P2 e uno di questi, il principe Orsini che aveva legami con questi personaggi, aveva legami anche con Marcello Dell'Utri. Quindi noi sappiamo che Dell'Utri – lo ha dimostrato Gioacchino Genchi, ma guarda un po', andando a incrociare i telefoni e i tabulati di questi personaggi – aveva contatti diretti con questo Principe Orsini. Dell'Utri inizialmente tiene d'occhio questi ambienti, perché sono le organizzazioni mafiose, legate a personaggi della P2 e dell'eversione nera, che si stanno mettendo insieme perché sentono odore di colpo di Stato, sentono odore di nuova Repubblica e vogliono far pesare, ancora una volta, la loro ipoteca con un partito o una serie di partiti nuovi. Come Sicilia Libera, della quale si interessano direttamente boss come Tullio Cannella, Leoluca Bagarella, i fratelli Graviano e Giovanni Brusca. Dopodiché succede qualcosa, succede che dopo l'attentato a Costanzo e dopo gli attentati che seguono – alla fine di maggio c'è l'attentato a Firenze, ci sono addirittura cinque morti e diversi feriti; poi alla fine di luglio ci sono gli attentati di Milano e Roma con altri cinque morti e diversi feriti – questa strategia terroristica ad ampio raggio, della mafia, sortisce i risultati sperati: Riina non stava sparando all'impazzata, stava facendo la guerra per fare la pace con lo Stato, così disse ai suoi uomini. Una nuova pace con nuovi soggetti e referenti politici che però, a differenza di quelli vecchi che ormai erano agonizzanti, fossero vivi, vegeti, reattivi e in grado, fatto un accordo, di rispettarlo. E' l'estate del 1993 quando Forza Italia è ormai decisa: Berlusconi nell'aprile-maggio ha comunicato a Montanelli che entrerà in politica e che quindi il Giornale dovrà seguirlo nella battaglia politica. Montanelli gli ha detto che se lo può scordare: tra l'estate e l'autunno sono mesi in cui si consuma la rottura tra Montanelli e Berlusconi perché Montanelli continua a scrivere che Berlusconi non deve entrare in politica perché c'è un conflitto di interessi, perché non si può fare due mestieri insieme. Dall'altra parte, ci sono le reti Fininvest che bombardano Montanelli per indurlo alle dimissioni, perché era diventato un inciampo: il giornalista più famoso dell'ambito conservatore che si scatenava contro quello che doveva diventare, secondo i desideri di Berlusconi, un partito moderato, liberale, insomma il partito che avrebbe dovuto incarnare gli ideali di cui Montanelli era sempre stato l'alfiere e che invece Montanelli sapeva benissimo non avrebbe potuto incarnare perché Berlusconi è tutto fuorché un moderato e un liberale: è un estremista autoritario. In quei mesi la mafia decide di abbandonare il progetto di Sicilia Libera che essa stessa aveva patrocinato e fondato e tutto ciò avviene in seguito a una serie di riunioni, nell'ultima delle quali Bernardo Provenzano – ce lo racconta il suo braccio destro, Nino Giuffré che ora collabora con la giustizia e che è stato ritenuto attendibile in decine e decine di processi compreso quello Dell'Utri – convoca le famiglie mafiose, la cupola, per sapere che cosa scelgono: se preferiscono andare avanti col progetto del partitino regionale Sicilia Libera o se invece non preferiscano una soluzione più tradizionale come quella che sta affacciandosi a Milano grazie all'opera di un loro vecchio amico: Marcello Dell'Utri che conoscevano fin dai primi anni Settanta come minimo, cioè da quando Dell'Utri, in rapporto con un mafioso come Cinà e un mafioso come Mangano, aveva portato quest'ultimo dentro la casa di Berlusconi. Si potrà discutere se l'ha fatto consapevolmente o inconsapevolmente, ma il fatto c'è: ha dato a Cosa Nostra la possibilità di entrare dentro la casa privata e di stazionare con un proprio rappresentante dentro la casa privata di uno dei più importanti e promettenti finanzieri e imprenditori dell'epoca. Berlusconi era costruttore, in quel periodo, poi sarebbe diventato editore e poi politico.
Gli incontri tra Mangano e Dell'Utri E' strano che non si trovi più nessuno, ma nemmeno all'estrema sinistra, che ricordi questi fatti documentati. Ancora nel novembre del 1993 quando ormai per Forza Italia si tratta proprio di stabilire i colori delle coccarde e delle bandierine, c'erano i kit del candidato, stavano facendo i provini nel parco della villa di Arcore per vedere i candidati più telegenici; in quel periodo, a tre mesi dalle elezioni del marzo del 1994, Mangano incontra due volte Dell'Utri a Milano. E questa non è una diceria, c'è nelle agende della segretaria di Dell'Utri: Palazzo Cellini, sede di Publitalia, Milano 2, i magistrati arrivano e prendono le agende e nell'agenda del mese di novembre del 1993 si trovano due appuntamenti fra Dell'Utri e Mangano, il 2 novembre e il 30 novembre. E Mangano chi era, in quel periodo? Non era più il giovane disinvolto del '73-'74 quando fu ingaggiato e portato ad Arcore come stalliere: qui siamo vent'anni dopo. Mangano era stato in galera undici anni a scontare una parte della pena complessiva di 13 anni che aveva subito al processo Spatola per mafia e al maxiprocesso per droga, due processi istruiti da Falcone e Borsellino insieme. E' stato definitivamente condannato per mafia e droga a 13 anni, ne aveva scontati 11, uscito dal carcere nel 1991 era diventato il capo reggente della famiglia mafiosa di Portanuova e grazie al suo silenzio in quella lunga carcerazione aveva fatto carriera e partecipato alle decisioni del vertice della mafia di fare le stragi. E poche settimane dopo le ultime stragi di Milano e Roma, Dell'Utri incontra un soggetto del genere a Milano negli uffici dove sta lavorando alla nascita di Forza Italia. Io non so se tutto questo sia penalmente rilevante, lo decideranno i magistrati: penso che sia politicamente e storicamente fondamentale saperlo, mentre si vede Gianfranco Fini che cita Paolo Borsellino al congresso che sta incoronando il responsabile di tutto questo, cioè Berlusconi. Verrebbe da dire “pulisciti la bocca”. Possibile che invece di abboccare a tutti i suoi doppi giochi, quelli del centrosinistra non – ma dico uno, non dico tutti, li conosciamo, fanno inciuci dalla mattina alla sera e sono pronti a ricominciare con la Costituente come se non gli fosse bastata la bicamerale – uno, di quelli anche più informati, che dica “ma come ti permetti di parlare di Borsellino? Leggiti quello che diceva, Borsellino, di questi signori in quella famosa intervista prima di morire”. Leggiti quello che c'è scritto nella sentenza Dell'Utri e poi vergognati, perché quel partito lì non l'ha fondato lo Spirito Santo, l'hanno fondato Berlusconi, Dell'Utri, Craxi con l'aiuto di Mangano che faceva la spola fra Palermo e Milano, infatti le famiglie mafiose decidono di votare per Forza Italia e di abbandonare Sicilia Libera – che viene sciolta nell'acido probabilmente – quando Mangano arriva giù a portare le garanzie.
Bettino, Silvio e Marcello Io concludo questo mio intervento, che racconta l'altra faccia della nascita e delle origini di Forza Italia e quindi della Seconda Repubblica, semplicemente leggendovi quello che hanno scritto e detto prima Ezio Cartotto, piccolo brano, e i giudici di Palermo. Cartotto dice: “Craxi ci disse – in quella famosa riunione in cui si aprì la porta – che bisogna trovare un'etichetta, un nome nuovo, un simbolo, qualcosa che possa unire gli elettori moderati che un tempo votavano per il pentapartito. Con l'arma che hai tu, Silvio, in mano delle televisioni, attraverso le quali puoi fare una propaganda martellante”. Mh... “Ti basterà organizzare un'etichetta, un contenitore – una volta è Forza Italia, una volta la CdL, una volta il PdL -, hai uomini sul territorio in tutta Italia, puoi riuscire a recuperare quella parte di elettorato che è sconvolto, confuso ma anche deciso a non farsi governare dai comunisti e salvare il salvabile”. Vedete che Berlusconi continua a ripetere le stesse cose che gli aveva detto Craxi, quindici anni dopo non ha ancora avuto un'idea originale. Berlusconi invece era ancora disorientato, in quel momento, tant'è che dice: “mi ricordo che mi diceva: 'sono esausto, mi avete fatto venire il mal di testa. Confalonieri e Letta mi dicono che è una pazzia entrare in politica e mi distruggeranno, che faranno di tutto, andranno a frugare tutte le carte e diranno che sono un mafioso”. Questo diceva Berlusconi nella primavera del 1993. Domanda: ma come può venire in mente a un imprenditore della Brianza di pensare che se entra in politica gli diranno che è un mafioso? E' mai venuto in mente a qualche imprenditore della Brianza che qualcuno potrà insinuare che è un mafioso? Ma uno potrà insinuare che è uno svizzero, piuttosto, ma che è un mafioso no! Cosa c'entra? Strano che lui avesse questa ossessione, no? “Andranno a frugare le carte e diranno che sono un mafioso” già, perché evidentemente in certe carte si potrebbe anche trarre quella conclusione lì. “Che cosa devo fare? A volte mi capita perfino di mettermi a piangere sotto la doccia”. Queste erano le condizioni psicologiche, umane del personaggio, disperato perché sapeva che Mani Pulite sarebbe arrivata a lui ben presto, e non solo mani pulite visto che temeva addirittura di finire dentro per mafia. I giudici di Palermo, nella sentenza Dell'Utri, nove anni di reclusione e interdizione dai pubblici uffici in primo grado, scrivono: i rapporti tra Dell'Utri e Cosa Nostra “sopravvivono alle stragi del 1992 e 1993, quando i tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla vendetta di Cosa Nostra – i vecchi politici: Lima, Salvo... - e ciononostante il mutare della coscienza sociale di fronte al fenomeno mafioso nel suo complesso”. Cioè Dell'Utri nonostante la gente cominci veramente ad appassionarsi all'antimafia dopo la morte di Falcone e Borsellino, rimane sempre lo stesso. Esistono “prove certe della compromissione mafiosa dell'imputato Dell'Utri anche relativamente alla sua stagione politica – quella di cui abbiamo parlato -. Forza Italia nasce nel 1993 da un'idea di Dell'Utri il quale non ha potuto negare che ancora nel novembre del 1993 incontrava Mangano a Milano mentre era in corso l'organizzazione del partito Forza Italia e Cosa Nostra preparava il cambio di rotta verso la nascente forza politica”. Dell'Utri incontrava Mangano nel 1993 e poi anche nel 1994 “promettendo alla mafia precisi vantaggi politici e la mafia si era vieppiù orientata a votare Forza Italia”. Tutto questo è scritto in una sentenza di primo grado, che naturalmente aspetta conferme o smentite in appello e in Cassazione. Però è strano che non si sia trovato nessuno che la citasse in questi giorni tra un retroscena e l'altro. Io penso che sia fatta giustizia, spero che prima o poi, invece di usarlo soltanto per raccattare qualche voto sporco in campagna elettorale, tributino finalmente nel prossimo congresso i giusti onori anche al padre fondatore, anzi al padrino co-fondatore, Vittorio Mangano. Passate parola."
Giochi di luci ed ombre Parole e suoni Si rincorrono Ancora e ancora Note sublimi Potenza creativa Dolcezza infinita E afferri quell’attimo Prima che rapido Corra via lontano Da te che per sbaglio L’hai fatto tuo Senza neanche Sapere come Ma è successo
Le riforme istituzionali, la necessità di dare più poteri al premier, le ottimistiche previsioni sull'uscita dalla crisi, le elezioni europee. La terza e ultima giornata del congresso fondativo del Pdl, come la prima, è tutta di Berlusconi, che ha pronunciato un lungo discorso conclusivo (71 minuti), dopo l'acclamazione all’unanimità a presidente del Pdl. Assente Fini, ma l'entourage del premier assicura che la sua assenza era prevista e non va caricata di significati politici. Dal Cavaliere non una parola sul bio-testamento e sul referendum elettorale di giugno, argomenti centrali dell'intervento pronunciato sabato dal presidente della Camera.
BERLUSCONI - «Grazie per la vostra fiducia e amicizia, per l'affetto - attacca Berlusconi dal palco -. Mi avete affidato una entusiasmante responsabilità, quella di guidare il Pdl. Mi auguro di essere all'altezza, cercherò di non deludervi mai». Il premier ringrazia Fini per avergli riconosciuto «una lucida follia» («Un po' matto lo sono davvero») e attacca l'opposizione citando le parole di Tremonti: «Questa sinistra è arretrata e faziosa, fa opposizione al paese».
RIFORME ISTITUZIONALI - L'intervento del premier entra nel vivo e il tema principale è quello delle riforme istituzionali: «La Costituzione va rivitalizzata e arricchita. Una delle missioni della nostra maggioranza è ammodernare l'architettura istituzionale dello Stato». Parlando delle riforme, il neopresidente del Pdl lancia strali contro l'opposizione: «Le riforme andrebbero fatte in due, ma dopo le esperienze di questi anni c'è molto da dubitare sulla serietà della nostra controparte. Se ci sarà un atteggiamento di confronto, sarò il primo a rallegrarmene e a darne atto ai leader della minoranza; ma nel frattempo la nostra maggioranza e il Pdl non possono sottrarsi al dovere di fare la loro parte». Berlusconi ribadisce l'urgenza di modificare la seconda parte della Costituzione, «senza stravolgerla».
«PREMIER? POTERI FINTI» - «Noi la riforma istituzionale l’avevamo già fatta, completata nel 2005, ma la sinistra, la stessa che oggi plaude alla richiesta di riforme, impedì di raggiungere la maggioranza dei due terzi del Parlamento e promosse il referendum che abolì quella riforma. La conclamata volontà costituente degenerò in una campagna di insulti, in ridicole accuse di regime. Ora le riforme per la modernizzazione delle istituzioni le stiamo facendo con la nostra maggioranza». «La Costituzione - continua Berlusconi - assegna al presidente del Consiglio dei poteri quasi inesistenti. In altri Paesi, invece, il premier ha poteri veri: in Italia ahimè ha solo poteri finti e così il governo non può intervenire con prontezza e lo Stato non può funzionare. Il Paese ha bisogno di governabilità».
«FUORI DALLA CRISI» - Altro argomento, la crisi economica. «La prima, indefettibile missione del governo è portare l'Italia fuori dalla crisi», senza lasciare indietro nessuno, e ci sarà «un prestito d'onore per tutti i giovani che vorranno aprire un'impresa». Berlusconi parla del federalismo («Una riforma importante, non un tributo alla Lega di Bossi»), sottolineando che «ci sarà una riduzione delle spese inutili e tutto ciò che sarà risparmiato verrà utilizzato per diminuire le tasse». Sul contestato piano-casa: «Sarà dedicato anche e soprattutto ai giovani». Sull'istruzione: «La scuola non sarà più un ammortizzatore sociale. Il titolo di studio non sarà più un pezzo di carta, ma garanzia di lavoro e le famiglie meno fortunate dovranno poter scegliere tra istruzione statale e privata. Saranno premiate le università con gli standard migliori, la selezione del corpo docente non deve essere più una riserva privata per parenti e amici». Sulle donne: «C'è una disparità occupazionale e salariale a danno delle donne, in Italia c'è una questione femminile da risolvere». Sull'ambiente, dopo aver ribadito il via libera alla proposta di Obama di ospitare il forum mondiale e luglio alla Maddalena: «Bisogna far rispettare il divieto di lordare le strade con mozziconi e cartacce, di imbrattare i muri. Dobbiamo riportare le nostre città al decoro».
ELEZIONI EUROPEE - Berlusconi cita l'«ultimissimo sondaggio: siamo al 44% e non ci possiamo accontentare. La società che abbiamo costruito sopravviverà ai nostri fondatori». Il Pdl - sottolinea - «dovrà essere una fucina di idee e di programmi. Tutto questo se non diviene correntismo è lievito della democrazia». Rivendica un merito: «Abbiamo introdotto in politica la vera moralità del fare. Che un eletto non rubi è il minimo, ciò che bisogna pretendere è che onori il programma assunto con i cittadini». Infine, guardando avanti alle elezioni europee e annunciando la propria candidatura a capolista del Pdl, lancia il guanto della sfida a Dario Franceschini: «La mia candidatura è una candidatura di bandiera, una bandiera dietro la quale un vero leader chiama a raccolta il suo popolo. Sarebbe bello che anche il leader dell'opposizione, se è lui stesso un leader, facesse altrettanto». «Le prossime elezioni europee sono molto importanti - conclude -. Puntiamo a diventare il primo gruppo nel Ppe». Un discorso di 71 minuti, interrotto da una sessantina di applausi. Alla fine il premier invita i ministri e i dirigenti del partito a salire sul palco per rivolgere un saluto ai seimila delegati e oltre tremila ospiti. Con la promessa di «portare il Paese fuori dalla crisi economica» e di «cambiare l’Italia difendendo la democrazia e la libertà».
COORDINATORI - Prima di Berlusconi hanno parlato i tre nuovi coordinatori del Pdl, Sandro Bondi, Ignazio La Russa e Denis Verdini. Durante l'intervento del ministro della Difesa sullo schermo vengono proiettate le immagini del video «Grazie ragazzi», dedicato ai militari italiani in occasione della festa del 4 novembre. La Russa parla «agli amici della Lega»: «Sono convinto che si possa trovare un percorso, ma devono sapere che vanno rinnovate le formule di intesa per una più vicina e forte assimilazione. La competizione non è un male ma non può non essere ad armi tra pari tra alleati. Non può dunque essere quella in cui tocchi sempre al Pdl di farsi da parte, perché noi dobbiamo dare delle risposte ai nostri elettori». Un pensiero è rivolto a Casini: «Il percorso verso il bipolarismo per noi è irrinunciabile, lo dico all'Udc». Nel suo intervento Verdini ha parlato della forma dello Stato, preannunciando le parole del Cavaliere: «Penso che non sia un fatto eversivo parlare della seconda parte della Costituzione e puntare al presidenzialismo».
STATUTO - In apertura dei lavori è stato approvato lo statuto del Pdl, 4 i voti contrari e 5 gli astenuti sui 5.820 delegati. Per effettuare la votazione, avvenuta per alzata di cartellino giallo, è stato fatto salire sul palco il notaio Antonio Patella, che ha verificato la correttezza delle procedure e l'assenza di ricorsi. Con tre voti contrari e 2 astenuti è stato eletto il collegio dei probiviri, composto da nove membri. La sala piena di bandiere tricolore e bandiere bianche con lo stemma azzurro del Popolo della Libertà, assenti i giorni scorsi.
Il governo non si sta occupando dei problemi reali del Paese. In un momento di grande difficoltà si prodiga ad inutili auto celebrazioni senza mai perdere di vista l'unico reale obiettivo: il potere.
I cittadini italiani assistono in una sorta di torpore ipnotico alimentato da giornali e televisioni nelle mani di un piduista. L'opposizione del PD non deve tentennare attratta da banchetti dell'inciucio che si sono già dimostrati fallimentari in passato. L'Italia dei Valori non cederà al diritto di poter rivendicare un futuro diverso e di sviluppo credibile per questo Paese.
Riporto una mia intervista apparsa oggi su La Repubblica.
La Repubblica: Ha visto Berlusconi? È tornato a suonare la carica contro i “comunisti”... Antonio Di Pietro: «Il muro di Berlino è caduto nell’89 e non mi pare che in Europa si ripropongano regimi comunisti. Berlusconi cerca di spostare l’attenzione dalla crisi con un uso strumentale della storia».
La Repubblica: Al congresso del Pdl Gianfranco Fini invita maggioranza e opposizione ad aprire una “grande stagione costituente”. Lei ci sta? Antonio Di Pietro: «Fini predica bene e razzola male. Io sarei anche d’accordo con quello che dice, ma perché da presidente della Camera, con il potere che ha di fissare l’ordine del giorno, ci tiene impegnati da un anno su provvedimenti la cui urgenza è tutta da dimostrare? E’ la solita furbata, il Parlamento si occupi piuttosto della crisi economica e del lavoro».
La Repubblica: Non c’è bisogno di riformare la Costituzione? Antonio Di Pietro: «Berlusconi ci ha inchiodato in Parlamento a parlare di lodo Alfano, di intercettazioni, di legge bavaglio, spostando sempre l’attenzione dalle vere emergenze che interessano gli italiani. Adesso pensa di tenere bloccato il Parlamento su una riforma a suo uso e consumo, mentre la Costituzione andrebbe soltanto applicata».
La Repubblica: Berlusconi si lamenta del fatto che può solo fissare l’ordine del giorno del Consiglio dei ministri e vorrebbe aumentare i poteri del premier. Che ne pensa? Antonio Di Pietro: «Quel che ha proposto Berlusconi era già scritto nel piano Rinascita di Licio Gelli. Dopo il controllo dell’informazione, l’attacco all’indipendenza della magistratura, l’indebolimento del sindacato, ecco il potere assoluto, ultimo tassello per il compimento del piano della P2, a cui Berlusconi era affiliato. Ci sono tutti i motivi per provare a liberarci di lui finché siamo in tempo».
La Repubblica: Liberarsi di Berlusconi? Che intende? Antonio Di Pietro: «In politica ci sono soltanto due modi. Uno è con la Bastiglia, ma è un modo inaccettabile. L’unica soluzione che resta è quella dell’informazione continua all’opinione pubblica per non lasciarsi trarre in inganno».
La Repubblica: Il Pd non dovrebbe sedersi al tavolo della riforma costituzionale? Antonio Di Pietro: «Non bisogna cadere nel trabocchetto del ritorno agli inciuci, alle bicamerali. Qualsiasi riforma, finché c’è Berlusconi al potere, verrà usata per raggiungere fini illeciti. Al Pd ricordo che con il serpente non si gioca, perché prima o poi quello ti morde e ti uccide».
It is in six movements. Each movement is dedicated to the memory of friends of the composer who had died fighting in World War I. Ravel himself served in the war as an ambulance driver and was wounded in the process.While the word-for-word meaning of the title invites the assumption that the suite is a programmatic work, describing what is seen and felt in a visit to the tomb of Couperin, tombeau is actually a musical term popular in an earlier century and meaning a piece written as a memorial. The specific Couperin (among a family noted as musicians for about two centuries) that Ravel intended to be evoked, along with the friends, would presumably be François Couperin "the Great" (1668-1733). However, Ravel stated that his intention was never to imitate or tribute Couperin himself, but rather was to pay homage to the sensibilities of the Baroque French keyboard suite. This is reflected in the structure which imitates a Baroque dance suite. As a preparatory exercise, Ravel had transcribed a Forlane from the fourth suite of Couperin's Concerts Royaux, and this piece informs Ravel's Forlane structurally. However, Ravel's neoclassicism shines through with his pointedly twentieth-century chromatic melody and piquant harmonies.
«Conobbi Ellenica una sera. Al termine di una violenta dimostrazione per le vie del paese, in cui avevo potuto calmare gli animi con poche e semplici parole. Mi apparve come una rondine ferita dalle ali infrante». Lei, invece, rimase affascinata da tanta forza e bellezza, in cuor suo lo chiamò subito Baiardo, il focoso cavallo dell’Orlando furioso e dopo qualche giorno gli scrisse: «Caro amico, se i vostri impegni politici e i vostri svaghi della domenica ve ne danno la possibilità, vorrete essere così cortese di venirmi a fare una visitina?». Non è un romanzo, ma una storia d’amore vera, una passione struggente tra due persone che non ti saresti mai aspettato di vedere insieme: Edda Ciano (Ellenica), figlia del Duce al confino nell’isola di Lipari dal settembre 1945 al giugno dell’anno successivo, e Leonida Bongiorno (nel lessico della corrispondenza amorosa, Baiardo, o Lecret dal nome del generale che combatté per la liberazione di Cuba nel 1898), capo dei comunisti liparoti, figlio dell’antifascista Eduardu, che ricalcando le carte nautiche ottenute da un amico aveva reso possibile nel 1929 la fuga degli antifascisti Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Fausto Nitti.
Il padre di Leonida-Baiardo era uno di quegli uomini tutto d’un pezzo, primo trombone nella banda del paese che riponeva lo strumento quando bisognava intonare «Giovinezza». Un socialista da sempre che teneva a un suo orgoglio anticonformista: quando gli americani gli chiesero di fare i nomi dei fascisti locali per vendicarsi, lui declinò l’invito. La soddisfazione se l’era presa da solo, tenendo la schiena dritta. Così il figlio, laureato in economia a Bologna, arruolato come tenente degli alpini, una rarità per un isolano, partigiano in Francia con il nome falso di Paul Zanetti dopo essere fuggito dalla prigionia dei nazisti. Un uomo intelligente ed energico che non aveva esitato a prendersi cura della «rondine dalle ali infrante», anche se era la figlia del Duce. A raccontarci questa storia, dopo una tenace ricerca dei documenti — le lettere di Edda, il memoriale e i commenti di Leonida — è Marcello Sorgi, ex direttore della Stampa, nel libro Edda Ciano e il comunista. L’inconfessabile passione della figlia del Duce (in uscita da Rizzoli il 1˚aprile, pagine 150, e 18). Sorgi aveva anticipato la notizia sulle pagine culturali del quotidiano torinese il 1˚ottobre dell’anno scorso.
Il racconto si basava sulla lettura delle trascrizioni delle lettere, a volte in francese o in inglese, che, come in un romanzo di Alexandre Dumas, erano sepolte in un vecchio armadio nella casa di Edoardo, il figlio di Leonida, assieme a ciocche di capelli, biglietti, fotografie, annotazioni. Un materiale che Sorgi ha potuto esaminare per primo e ha elaborato in un racconto romantico e avvincente pur rispettando la verità fattuale. L’autore si è avvalso a tal fine della consulenza storica di Giovanni Sabbatucci. I primi contatti fra Edda e Leonida sono interessati ma cauti. Lei, dopo essere stata scaricata in una stamberga nel centro dell’isola dal commissario Polito, lo stesso che aveva preso in consegna Benito Mussolini dopo il 25 luglio 1943, chiede al nuovo amico se può andare ad abitare nella casa di famiglia del Timparozzo, ribattezzata da Edda la «Petite Malmaison», secondo il nome che Josephine de Beauharnais aveva dato alla sua dimora dopo essere stata abbandonata da Napoleone. Leonida, con l’approvazione del padre, acconsente, e una notte di primavera, sulla terrazza di quella casa incantevole, avviene l’incontro d’amore. Lui la prende appoggiato al muro accarezzandole le gambe, secondo Edda la parte più bella del suo corpo di trentacinquenne.
Il coetaneo Leonida-Baiardo si innamora, Edda-Ellenica sulle prime non si lascia andare: Ellenica partecipa al gioco erotico, scandalizza tutti esibendo sulle spiagge di Lipari e Vulcano un audace due pezzi, ma Edda è guardinga, ancora ferita dalla tragedia famigliare. Quando lui si dichiara, «voi per me potreste essere la donna ideale», quasi lo irride: «È possibile che io lo sia per tutti gli uomini?». Lui la ama e la teme, si sente un Ulisse con la sua Circe e le recita a memoria il passo dell’Odissea in cui la maga indica all’eroe omerico due rotte impossibili per far ritorno a Itaca. Lei gli risponde con i versi di Byron: «When we two parted...», «quando noi ci dividemmo, in silenzio e lacrime, i nostri cuori si spaccarono a metà». La passione cresce e con l’amore la confidenza. Edda, al confino con l’accusa di aver spinto il padre a entrare in guerra, scrive un memoriale, probabilmente aiutata da Leonida, negando ogni responsabilità pubblica: «Nel partito non ebbi mai nessun incarico... Come moglie del ministro degli Esteri non potevo che seguire le direttive che mi venivano date». Più che per questo memoriale, ma grazie all’amnistia Togliatti, a fine giugno 1946, arriva la comunicazione della libertà anticipata.
In una cronaca maliziosa, un corrispondente del Corriere della Sera scrive che «l’elegante signora» pare poco interessata a lasciare l’isola, anche perché «non ha disdegnato l’assidua compagnia di un aitante giovane del luogo, il sig. Leonida Bongiorno». Edda, in realtà, ha interesse a ritornare a Roma, per riabbracciare i figli. Con sé porterà un ricordo: il suo ritratto nudo eseguito a matita dal bel Leonida. Comincia così la seconda parte della corrispondenza: lei lo vezzeggia, «caro amico e fidanzato », «Baiardo mi manca molto», abbandona i toni ironici degli inizi quando lo chiamava «adorabile allievo di sieur Palmiro». Ma aumentano i silenzi di Leonida, che intanto ha incontrato Angela, la futura moglie, detta la «Chevelue» per via della folta chioma. Ellenica e Baiardo si rivedono, il primo incontro in un hotel di Messina dove lei si presenta con una carta d’identità falsa. Poi il nuovo distacco. E la sempre più appassionata e dolorosa corrispondenza. Edda si lascia andare a confidenze: «Perché è toccato a me scegliere tra le due persone più care?», alludendo al marito giustiziato e al padre cui non aveva perdonato di non essere intervenuto. Alla fine il grido: «Venite dunque con me. Non abbandonate questa felicità che gli Dei vi offrono». Siamo alla fine. Le risposte di Leonida si faranno sempre più rare, sposerà Angela. «Ellenica» e «Baiardo» si ritroveranno sessantenni nel 1971, ancora a Lipari, davanti a una parete su cui lui aveva fatto incidere i versi omerici con le parole di Circe: «Tu da solo col tuo cuore consigliati: io ti dirò le due rotte». La passione non si era mai spenta.
Qualcuno lo chiama il "YouTube dei libri": un sito Internet che pubblica migliaia di titoli di ogni genere e offre la possibilità di scaricarli gratuitamente. Qualcun altro preferisce definirlo l'equivalente dei "pirati" della musica, ossia dei siti su cui è possibile scaricare i successi della hit parade mondiale senza pagare un soldo, alla faccia del copyright. A decidere quale delle due etichette si adatta meglio a Scribd.com, il sito creato in California da due giovani ex studenti di Harvard, sarà un tribunale, a cui si sono rivolti scrittori come J. K. Rowling e Ken Follett, insieme ai loro agenti ed editori, per ottenere giustizia.
La "pirateria" musicale, dicono gli esperti del settore, ha ucciso l'industria discografica: se il sito dei "pirati dei libri" lanciasse un trend analogo, il timore è che l'editoria possa fare prima o poi la stessa fine, anche se scaricare un libro non è esattamente la stessa cosa che scaricare una canzone. Il "pirata" in questione afferma di essere il sito letterario più popolare del mondo, e le cifre sembrano confermarlo: viene visitato da 55 milioni di persone al mese. Non si paga niente per accedervi, poiché Scribd, nato due anni or sono, vive solo di inserzioni pubblicitarie.
A sua volta, il sito non paga alcun diritto d'autore alle opere che offre in visione. E sono tante: ogni giorno la lista dei libri e documenti consultabili aumenta di 50 mila titoli. Il Times di Londra, che stamane dedica un articolo al fenomeno, ci ha dato un'occhiata, scoprendo un po' di tutto, dai romanzi di "Harry Potter" della Rowling, appunto, a "Mondo senza fine" di Follett, da Nick Hornby a John Grisham, dalla narrativa alla saggistica.
Accusa Peter Cox, un agente letterario londinese: "Questi sono pirati. Non dobbiamo arrenderci ai loro soprusi. Non possiamo permetterci di rifare gli stessi errori commessi dall'industria discografica". Ma Trip Adkins e Jared Friedman, i due neo-laureati di Harvard fondatori del progetto, non si riconoscono nel ruolo di corsari del web e negano di compiere alcunché di illegale. Il loro sito è stato usato perfino dalla campagna elettorale di Barack Obama, per pubblicare documenti e dichiarazioni a cui la gente potesse accedere direttamente, bypassando i media.
Consapevoli dei problemi di copyright, un portavoce della società afferma che Scribd agisce sulla base di un semplice precetto: se un editore protesta perché un suo libro è stato messo senza permesso sul sito, loro lo rimuovono entro 24 ore. Ciò risponde a quanto stabilito dallo U.S. Digital Millennium Copyright Act, l'aggiornamento a Internet della legge americana sui diritti d'autore, che afferma che un sito non può essere citato in giudizio per azioni compiute da coloro che lo usano senza che il sito ne sia a conoscenza.
Ovviamente, Scribd.com non sa se un suo visitatore, dopo avere scaricato un libro, se lo stampa e se lo legge, in barba al copyright, gratis e senza la fatica di andare fino in libreria per comprarlo. E per di più molti editori non sanno che i loro titoli sono sul catalogo di Scribd.com, per cui non chiedono al sito di toglierli. E' il caso, verificato dal Times, di Macmillan, casa editrice di Ken Follett, che ignorava che il suo ultimo romanzo best-seller fosse apparso sul sito californiano qualche giorno or sono, dove lo hanno già letto 500 persone.
"Grazie dell'informazione, ci occuperemo della cosa", hanno detto i responsabili della casa editrice al giornalista del Times che li ha avvertiti. Una situazione che, se questo è il futuro, si ripeterà spesso.