domenica 25 ottobre 2009

La giudice ricusata dai pm: non capisce Calciopoli


«È inutile che perdiamo tempo». Le utopie finiscono sempre male. Il calcio giudicato dalle donne era un’idea che piaceva. Siccome, per bieca definizione, non è uno sport per signorine, l’unica notizia che lo scor­so gennaio scosse il torpore intorno all’avvio del processo a Luciano Mog­gi e ad altri 23 imputati fu questa. Un collegio tutto al femminile. Di più: tre magistrati che di pallone non sanno nulla, ma proprio nulla. Il presidente del Tribunale di Napoli Carlo Alemi non stava nella pelle per l’entusia­smo. «Come e più di ogni altra volta, difesa e accusa partono dallo 0-0. Il giudizio sarà sereno, senza sospetti di simpatie o antipatie sportive». Invece: «Inutile che perdiamo tem­po ». La frase, pronunciata in aula lo scorso 10 luglio dalla presidente Tere­sa Casoria dovrà essere valutata dalla Corte d’Appello come eventuale pro­va della sua parzialità e del suo disin­teresse per quella che venne chiamata Calciopoli. Dieci mesi e molto silenzio dopo, l’unica altra notizia emersa dal dibattimento che deve decidere sul­l’esistenza di una cupola in grado di condizionare i campionati è infatti una specie di Gronchi rosa del proces­so penale. Pochi giorni fa i magistrati dell’accusa hanno chiesto la ricusazio­ne della dottoressa Casoria. In genere, queste sono cose da avvocati. Che lo faccia un pubblico ministero è cosa davvero rara. Anche perché il discono­scimento del valore fondante dell’imparzialità del tribunale non appartiene al Dna del magistrato. A Napoli, per dire, è accaduto solo due volte negli ultimi 40 anni. Leggendo le 8 pagine che compon­gono la richiesta fatta dai pm Giusep­pe Narducci e Stefano Capuano pare di capire che il disinteresse per il cal­cio della presidente giochi un ruolo non secondario. «Ha manifestato in­debitamente un orientamento che ap­pare preconcetto e possiede inoltre il carattere del giudizio formatosi 'per partito preso', in assenza di verifiche serene ed obiettive». La faccenda può sembrare amena ma invece è terribil­mente seria.

Si tratta del processo sul­lo scandalo che ha cambiato il mondo del calcio. Nella primavera del 2006 non si parlò d’altro, le sentenze sporti­ve che decretarono la retrocessione della Juventus vennero seguite prati­camente in diretta. L’episodio principale sarebbe acca­duto durante l’udienza del 19 maggio 2009. Una specie di disvelamento, a parere dei pm. Teresa Casoria sta par­lando con difesa e accusa per fissare le date del dibattimento. Ad un certo punto afferma: «Lo sapete che questo processo reca un intralcio alla sezione enorme. In effetti, ci sono anche delle cause serie che devono essere rinvia­te per dare spazio... più serie, dove ci sono gli imputati detenuti». Narducci e Capuano non hanno dubbi sul sen­so della frase. «Il Presidente del colle­gio ritiene che il cosiddetto calciopoli sia processo non 'serio' o comunque meno 'serio' di altri processi». E lo stesso, sostengono, vale per i reati og­getto dei dibattimento, ritenuti «po­co seri o meno seri» di altri. Il 19 mag­gio l’accusa chiama a testimoniare Ar­mando Carbone. Napoletano, 45 an­ni, già protagonista dello scandalo sul Totonero del 1986, è stato uno dei primi a indicare in Luciano Moggi il deus ex machina del calcio contempo­raneo. Nel corso della sua deposizio­ne, la dottoressa Casoria dice: «Più o meno abbiamo già inquadrato il per­sonaggio». Secondo i pm, la frase «dal tenore letterale quasi dispregiati­vo », è un modo per sottolineare co­me il teste non sia ritenuto una perso­na «seria» e le sue dichiarazioni riferi­scano «circostanze false, o non veri­tiere o non credibili». L’ultima nota dolente dei magistra­ti riguarda la querelle sulle parti civili. Lo scorso 24 marzo Casoria le esclude­va dal processo. Il 10 luglio venivano riammesse dalla Cassazione. Quando Narducci esibisce il dispositivo della sentenza, il presidente del collegio ta­glia corto. «Va bene pubblico ministe­ro, senza che ci dilunghiamo troppo... È inutile che perdiamo tempo».

L’ulti­ma frase pare sia un intercalare fre­quente. E nell’udienza del 13 ottobre, mentre discute con il difensore di una parte civile, si sentono que­ste parole: «Non possiamo non rispettare, obtorto collo, la sentenza della Cassazio­ne ». La locuzione latina fa tra­boccare il vaso. Per i magi­strati quell’obtorto collo è ulteriore e definitivo se­gno del pregiudizio che il giudice nutre nei confronti dell’accusa. «Non appare più imparziale». Narducci e Ca­puano si convincono che non vi sia più margine. Ricusano. Se la Corte d’Appello darà loro ragione, si riparte da zero con un nuovo collegio ma la prescrizione che incombe per molti re­ati. In caso contrario, le prossime udienze si terranno in un clima surre­ale, dove magistrati convinti dell’inu­tilità dei loro sforzi stenteranno a salu­tare i giudici. Uomini contro donne. Così muore Calciopoli.

Marco Imarisio
25 ottobre 2009

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

SARA' VERO CHE CIO' ACCADE PERCHE' NON NE CAPISCE DI CALCIO?