di ROBERTO ORMANNI DIRETTORE DE IL PARLAMENTARE
Antonio Palazzo è un assistente di polizia penitenziaria in servizio alla casa circondariale di Lodi. È nato a Milano da genitori meridionali della provincia di Caserta, ha trentotto anni. Il padre gestiva un bar a Casanova di Carinola. Ha una sorella disabile, la madre è bracciante agricola.
Da ragazzo è cresciuto sulla strada e conosce la legge della strada, com’era un tempo, imperniata sul concetto di lealtà.
Alla fina degli anni ’80 il padre muore a 42 anni d’infarto. Antonio è militare, torna a casa, la madre gli dice che il padre stava ancora dormendo e di andarlo a svegliare perché s’era fatto tardi e doveva scendere al bar per darle il cambio.
Succedeva che il padre, gran lavoratore, ogni tanto dormiva un po’ di più, per recuperare.
Antonio va in camera da letto, ma il padre non si sveglia, era morto e il decesso lo scopre il figlio, Antonio.
Il ragazzo conosce le regole di sopravvivenza nella strada, ma non sa come si gestisce un bar, la madre neppure e in breve tempo il bar deve essere venduto.
Antonio Palazzo si arruola nel corpo egli agenti di custodia. Dopo un periodo di ‘svezzamento’ in un carcere, viene assegnato a Pavia, nuova casa circondariale. Il direttore si chiama Luigi Morsello, non c’è: è stato sospeso dal servizio alla fine del 1993 e ci resta per oltre due anni, ha in corso ben tre procedimenti penali, collegati fra loro.
Alla fine del 1992 Morsello aveva tentato il suicidio, sparandosi un colpo di pistola al cuore, ma era miracolosamente sopravvissuto. I motivi di tale gesto non sono oggetto di questo racconto. Morsello li ha raccontati sul suo blog e sulla testata giornalistica IL PARLAMENTARE. Assieme ad altre avventure-disavventure, sono raccontati un libro di memorie di prossima pubblicazione.
Agli inizi del 1996 Morsello, riammesso in servizio (tutti i procedimenti penali si erano conclusi con la piena assoluzione nel terzo grado di giudizio) ha modo di conoscere questo giovane agente che prestava servizio a turno. L’impressione è ottima, ma dopo alcuni mesi Morsello viene trasferito nuovamente e approda alla casa circondariale di Lodi. Anche Antonio Palazzo presenta domanda di trasferimento a Lodi e viene trasferito. Il direttore Morsello lo prende come autista della direzione, in sostituzione di una unità trasferita a domanda.
Il Palazzo svolge il proprio compito con molta accortezza, rappresentando le esigenze dei colleghi presso il direttore, il quale alla fine di gennaio 2005 va in pensione. Palazzo conosce bene l’ambiente del carcere, è sveglio, intelligente e un mese prima del pensionamento di Morsello, chiede di essere rimesso al servizio a turno. Passano quattro direttori senza problemi, ma il quinto (è una donna), ha da togliersi qualche sassolino dalla scarpa nei confronti di Morsello, conosciuto a Pavia agli inizi del 1996, quando lasciava il carcere con un distacco a quello di Voghera.
Palazzo ha la schiena dritta, lo aveva dimostrato anche a Pavia col comandante di reparto e poi a Lodi con lo stesso Morsello. E sa fare bene il proprio lavoro.
La sua vita privata. E’ divorziato, risposato e separato, ha un figlio dalla prima moglie ed una figlia da una relazione con una collega, morta l’anno scorso dopo essere stata investita sulle strisce pedonali.
Non ha avuto buona sorte il Palazzo. La prima moglie, giovane, non riusciva a vivere a Pavia e se ne tornò nel casertano. La seconda compagna era ossessionata dalla gelosia. Non aveva tutti i torti. In ogni caso questo fu il motivo che spinse la collega a rompere un rapporto che stava approdando a un matrimonio.
Questa ‘intrusione’ nella sua vita privata può bastare.
Torniamo al lavoro in carcere, con quella direttrice che a Lodi ha fatto ridipingere le pareti dell’ufficio del direttore in rosso cardinale: lo aveva già fatto a Voghera. Che sa che Antonio Palazzo è stato autista del suo predecessore per sette anni.
Il racconto che segue è tutto confortato da documenti e dalla testimonianza dell’ex direttore Morsello.
Va ancora detto in via preliminare che l’ambiente del carcere in Italia ha subito un netto peggioramento, che non mette conto di chiarire in questa sede.
Mercoledì 3 giugno 2009 Antonio Palazzo era smontante (come si dice in gergo) dal turno di servizio notturno (dalla mezzanotte alle otto) dopo avere svolto nei giorni immediatamente precedenti: lunedì il turno 16,00/24,00; martedì 08,00/16,00 per poi svolgere l’ulteriore turno notturno, iniziato alla mezzanotte tra il 2 e il 3 giugno e terminato alle ore 8 del 3 giugno.
Certo il 3 giugno Palazzo non era “fresco” come lo sarebbe stato dopo tre giorni di ferie.
Palazzo abita a Dovera, un piccolo centro in provincia di Cremona, pagando regolare affitto per un alloggio riservato alle Forze di Polizia. Rientra a casa per riposarsi, ma riceve una telefonata dell’assistente Cristian Iselle, addetto al servizio agenti, che gli propone di partecipare alla traduzione a Napoli di un detenuto il sabato successivo 6 giugno 2009. Palazzo accetta e poi chiede al collega di pregare l’infermiere professionale Santo Ferrari – quella mattina in servizio al carcere di Lodi - di telefonargli. Il Palazzo spiega che vuole accordarsi per andare in pizzeria una delle sere successive, proposito del quale s’era parlato nei giorni precedenti.
Il Palazzo ha la voce un po’ impastata: riferisce di una prescrizione medica di due anni addietro e di una confezione di Tavor da 2,5 mg acquistata in quella circostanza. Tale dichiarazione verrà poi rilasciata alla psichiatra della Commissione medica ospedaliera di prima istanza. Riferisce ancora che per vincere l’insonnia dovuta ad accumulo di stanchezza, aveva ingerito una, si ripete, una compressa da quella confezione e aveva bevuto circa mezza bottiglietta piccola di birra, ossia meno di un bicchiere.
Ferrari telefona dopo un po’, quando Palazzo stava già dormendo, evidentemente in una fase di sonno leggero visto che risponde al telefono.
Ferrari è un vecchio infermiere professionale, in pensione, convenzionato dall’Amministrazione Penitenziaria e, come tutti i vecchi infermieri professionali, si sente un po’ medico. Ecco perché indaga circa la ‘stranezza’ della voce di Palazzo, al quale chiede come sta. E Palazzo replica con una battuta: guarda, sono a pezzi (per il lavoro dei giorni precedenti, ndr). E aggiunge: “adesso predo 10 compresse di Tavor, bevo 10 bottiglie di birra e me ne torno a dormire”.
Frasi scherzose ma incaute, che mettono in allarme Ferrari il quale anziché informare dei suoi dubbi il comandante di reparto del carcere, prende una iniziativa del tutto inusuale: allerta il 118!
Dalla scheda rilasciata dal 118 si deduce che la chiamata è delle 12.03 del 3 giugno 2009.
La ricostruzione dei fatti è basata sulla relazione del Comandante della Stazione Carabinieri di Pandino.
Quando il 118 si presenta a casa di Palazzo (“… una persona segnalata per avere assunto alcool e farmaci e verosimilmente in pericolo di vita”), questa persona, cioè Palazzo, era così “verosimilmente in pericolo di vita” da andare alla porta d’ingresso di casa sua, aprire e vedere con somma sorpresa il 118, dire ai sanitari: “chi vi ha chiamato?” mandandoli via.
Ma questo basta, ai sanitari, per “constatare che il Palazzo appare barcollante”, e così riferiscono ai carabinieri.
Non sanno i sanitari del 118 nulla del presunto paziente, non sanno che viene da una notte di lavoro quel signore a casa del quale si presentano chiamati da un estraneo giudicato attendibile solo perché infermiere professionale (in pensione).
Non sapendo che fare, fanno peggio, chiamano la centrale operativa del comando compagnia dei Carabinieri di Crema, che rimbalza la chiamata al comando stazione carabinieri di Pandino, i quali contattano l’infermiere Ferrari per chiedere lumi e questi dice che prima di chiamare il 118 aveva comunicato la decisione all’infermeria del carcere e in particolare al dottor Guglielmo Drago che “ne avallava l’operato”. Ma il dottor Guglielmo Drago, un medico notoriamente laureatosi all’età di 54 anni, non era il SANITARIO del carcere, (l’unico che può e deve valutare, con certificazioni aventi valore medico-legale, il personale di Polizia penitenziaria e che non è stato chiamato ad intervenire), è un medico di guardia, che ha competenza solo sulla salute dei detenuti; sul personale in servizio deve intervenire solo quando il non intervento si qualifica come omissione di soccorso e quindi in presenza del soggetto da soccorrere. In ogni caso non esiste agli atti del registro malattie del personale di polizia penitenziaria alcuna certificazione del dottor Drago, che confermi quanto riferito dall’infermiere Ferrari.
Sia come sia, i carabinieri della stazione locale tornano alla “carica” convinti di dover salvare da se stesso un pazzo aspirante suicida.
Intanto però il Palazzo, convinto di avere liquidato il 118, che non aveva chiamato e del quale non aveva bisogno, se ne torna a dormire e si addormenta profondamente.
È questo il motivo per il quale non sente più alcun richiamo, né il bussare alla porta né il telefono, anche per l’effetto di una sola compressa di Tavor e del modesto quantitativo di birra (alcool a 4,5°) bevuto.
A questo punto vanno in tilt tutti.
Il comandante della stazione carabinieri di Pandino fa chiudere l’erogazione del gas e dell’energia elettrica dell’abitazione di Palazzo, chiama i Vigili del Fuoco di Crema, fa chiedere al comandante di reparto del carcere se la pistola d’ordinanza del Palazzo è in armeria mentre la Centrale operativa di Crema fa convergere sotto casa di Palazzo personale del Nucleo operativo e del Radiomobile.
In tutto otto militari equipaggiati anche con la mitraglietta M12.
I vigili del fuoco approntano una scala meccanica, attraverso la quale si riversano all’interno dell’appartamento: a) il comandante di stazione dei carabinieri di Pandino, b) il comandante del Nucleo operativo di Crema, c) altro personale vario e variegato. La “task force” può così accertare che Palazzo è in camera da letto e sta dormendo della grossa. Ma niente paura, la task force ha un asso nella manica: recuperate le chiavi della porta d’ingresso, fa entrare il personale del 118 che “somministra ossigeno al paziente aiutandolo nella respirazione” (così specifica il verbale). Quindi i carabinieri eseguono una “ispezione” (strano modo di definire una perquisizione domiciliare) “nei comodini della camera da letto”, accertamento che non consente di rinvenire l’arma”: la pistola d’ordinanza infatti non c’era e lo stesso Palazzo, ormai sufficientemente “ossigenato”, spiega che non la porta mai quando non è in servizio e la lascia all’armeria del carcere. I carabinieri intanto trovano “una confezione di Tavor, mancante di alcune pasticche (ma non si dice quante e comunque la confezione non era stata acquistata quello stesso giorno, ndr) e una bottiglia di birra da cl. 33 quasi vuota”.
Mentre accade tutto questo, gli stessi carabinieri annotano che “Palazzo appariva evidentemente disorientato e irritato della presenza sia del personale medico che dei carabinieri”. Ma guarda un po’: chiunque sarebbe stato disorientato ma in questo caso il “disorientamento” costituisce una “prova” del fatto che non ci sta con la testa. Finalmente arriva dal carcere la conferma che la pistola è in armeria.
A questo punto appare inspiegabile l’invito, reiterato, al Palazzo di sottoporsi a visita presso l’ospedale di Crema, invito rifiutato; in un primo momento l’assistente di polizia rifiuta anche di firmare il referto medico stilato dal personale del 118 ma dopo l’arrivo, e le insistenze, del comandante di reparto del carcere, il referto viene firmato.
In ogni caso quel referto indica che i parametri vitali del Palazzo sono nella norma ed incompatibili con l’assunzione massiccia di psicofarmaci.
Ciò che però appare inspiegabile è l’insistenza con la quale il Palazzo viene invitato a recarsi in ospedale, circostanza riferita non solo dal solo comandante di stazione ma anche dal comandante di reparto del carcere.
Il comandante di reparto è venuto per comunicare ufficialmente a Palazzo che è stato collocato d’ufficio in congedo ordinario dal giorno seguente, il 4 giugno, e per invitarlo a recarsi in carcere a ritirare l’arma d’ordinanza. In realtà Palazzo, dal momento che era in congedo, non avrebbe dovuto ritirare l’arma e firmare il verbale di ritiro perché la firma sul verbale presuppone che l’agente sia in servizio attivo. Comunque, Palazzo in buona fede fa ciò che gli viene detto.
In realtà però non sta bene.
La notte fra il 3 e il 4 giugno telefona al cellulare del suo precedente direttore, Luigi Morsello, che non risponde perché non sente la chiamata ma la nota un’ora più tardi. Morsello richiama e Palazzo gli dice di essere stato malmenato. Dice, in particolare, di essere stato picchiato al momento dell’irruzione in casa sua. Morsello non gli crede e lui insiste: spiega che quando si è svegliato accerchiato da carabinieri armati, ha reagito male e da qui la reazione.
In ogni caso, il giorno dopo questa telefonata, il 4 giugno, Palazzo va in carcere per ritirare la pistola e il comandante di reparto, Ciaramella, riferisce alla direttrice, Stefania Musso. Quest’ultima, in calce alla relazione del comandante, così annota: “Il gesto, le modalità, e le conseguenze che ne sarebbero potute derivare impongono cautela e attenta valutazione della salute dell’Ass. capo e della sua tenuta psichica”.
Ma dove ha trovato la direttrice gli elementi che le consentono di affermare con tanta disinvoltura, pur non essendo un medico, né uno psicologo o criminologo: “…valutazione … della sua tenuta psichica”?
Analogo interrogativo si pone con riferimento alla decisione del provveditore regionale che autorizza l’invio di Palazzo dinanzi alla Commissione medica ospedaliera di Milano.
A tal proposito va osservato che in presenza di una sospetta patologia psichiatrica le disposizioni vigenti impongono l’immediato invio del paziente in Ospedale Militare, a cura della direzione del carcere, senza chiedere ed attendere alcuna autorizzazione.
Le stesse disposizioni impongono il contestuale ritiro dell’armamento individuale, solo se un sanitario (medico di base o del carcere) certifica una sospetta patologia psichiatrica: agli atti però non esistono certificazioni di tal genere. Anzi: Palazzo, che aveva lasciato la pistola in istituto, è obbligato a riprendersela.
Con la sua pistola ormai ritirata, Palazzo si reca al Pronto Soccorso dell’Ospedale Civile di Lodi, dove viene radiograficamente accertata una frattura scomposta dell’ottava costola destra.
Il Palazzo dichiara al Pronto Soccorso di essere caduto accidentalmente in casa, evidentemente considera poco opportuno riferire quanto aveva detto invece al suo ex direttore.
Alla fine di settembre scorso la commissione medica, in prima istanza, ha dichiarato l’assistente della polizia penitenziaria Antonio Palazzo “inadeguato” al servizio per almeno 120 giorni. Tra gli atti c’è una relazione psichiatrica nella quale tra l’altro è riportato: “il Palazzo nega di avere tentato il suicidio e anche di avere assunto incongrua quantità di alcool e lorazepam (Tavor 2,5 mg). Sostiene di essere vittima di soprusi da parte delle forze dell’ordine e dei Vigili del Fuoco. Ammette di avere bevuto una birra (in realtà solo una parte della bottiglietta, come recita la relazione dei Carabinieri di Pandino) e assunto 1 Tavor da 2,5 mg per riposare dopo una settimana “massacrante” . E poi: “Attualmente è irritato per l’accaduto e in ansia per le conseguenze…”. Certo che è in ansia per le conseguenze. Sono 5 mesi che tra una visita e l’altra resta fuori servizio con uno stipendio dimezzato.
Ora Antonio Palazzo è in attesa del giudizio della commissione medica di seconda istanza. In pratica, della valutazione del ricorso che ha presentato contro la prima decisione. Nell’istanza di revisione è chiaramente detto che quel pomeriggio qualcuno gli ha rotto l’ottava costola destra.
Il 18 novembre prossimo la commissione medica di secondo grado dovrà stabilire se è fondata la conclusione alla quale sono giunti i primi esperti: “sospetto disturbo di personalità N.A.S. da indagare”. In questo caso NAS non indica i carabinieri che combattono le frodi alimentari, ma significa “Non Altrimenti Specificato”. Come dire: sospetto disturbo di personalità che non rientra in nessun caso clinico conosciuto. E infatti: un caso come quello dell’assistente della polizia penitenziaria Antonio Palazzo non si è mai visto.