Devo anche ringraziare il dr. Roberto Ormanni che spesso mi invia suoi articoli, dopo averli pubblicati sulla sua testata giornalistica online www.ilparlamentare.it ed il collega dr. avv. Aldo Maturo, oggi in pensione come me, che invia suoi preziosi e graditi contributi avvaledosi della sua specifica preparazione giuridica.
lunedì 30 novembre 2009
RINGRAZIAMENTO AI SOSTENITORI DI QUESTO BLOG
Devo anche ringraziare il dr. Roberto Ormanni che spesso mi invia suoi articoli, dopo averli pubblicati sulla sua testata giornalistica online www.ilparlamentare.it ed il collega dr. avv. Aldo Maturo, oggi in pensione come me, che invia suoi preziosi e graditi contributi avvaledosi della sua specifica preparazione giuridica.
Lapsus, scorciatoie e strade maestre..
Enrico Letta ha scoperto, e ne siamo venuti a conoscenza tramite le sue ambigue dichiarazioni, che Berlusconi non è uno statista. A questa presa di coscienza io arrivai durante gli anni di tangentopoli. Ora sono alla fase due: Berlusconi non solo non è uno statista, ma è anche un poco di buono. Ci troviamo di fronte ad una persona coinvolta in diversi reati, dalla corruzione all’evasione fiscale, al falso in bilancio e, forse, anche qualcosa di più.
Se l’incipit del discorso di Letta è ambiguo, il resto è imbarazzante e merita una rettifica per sgombrare il campo da messaggi ambigui e lapsus freudiani.
Letta, nella sua intervista pubblicata oggi dal Corriere della sera, afferma che “il Pd non cercherà scorciatoie" per far cadere il governo, ma seguirà “la strada maestra delle urne” e - aggiunge - “il Pd considera legittimo che, come ogni imputato, Berlusconi si difenda nel processo”, e fin qui lo seguo, e “dal processo”, e qui mi perdo. E si perdono anche gli elettori. Difendersi “dai processi”, infatti, è quello che sta facendo senza tregua dal primo giorno di legislatura questo presidente del Consiglio, e lo sta facendo a spese degli italiani. Il fatto che il 5 dicembre migliaia e migliaia di cittadini manifestino in tutta Italia e in molte città del mondo contro Berlusconi, ad esempio, cos’è, una “scorciatoia?”.
Chiedere a questo premier di andare a testimoniare nei processi che lo vedono coinvolto o chiedergli di riferire in Parlamento piuttosto che a ‘Porta a Porta’, è una scorciatoia?
Se dovesse arrivare a Berlusconi un avviso di garanzia per le stragi del ’93 dovrebbe difendersi “dal processo”, depenalizzando i reati ascrittigli, come ha già fatto in altri processi?
Urlare per difendere l’uso delle intercettazioni, o sussurrare che non passerà una sola legge ad personam, significa “non percorrere la strada maestra?”.
Battersi, notte e giorno, contro Berlusconi in Parlamento e nelle piazze, non significa tentare “scorciatoie” per disarcionare un presidente del Consiglio, ma evitare che l’Italia scivoli in un modello di repubblica sovietica che piace a pochi e umilia molti.
La strada “maestra” non può essere quella della solitudine dettata da complessi di primogenitura o da logiche separatiste, poiché sarebbe una strada senza sbocco.
Caro Enrico, se soltanto quest’uomo si facesse processare, secondo la legge, tu ed io non saremmo neanche qui a parlare di lui, se non con un pallottoliere per contare gli anni che dovrebbe scontare prima di tornarsene ad Arcore.
Questa maggioranza non è una maggioranza “di governo”, ma una maggioranza ricattata o complice. O quantomeno pilatesca, ridotta all’esecuzione dei voleri di una persona. La nostra democrazia ha trovato il suo punto debole nella XVI legislatura con questa maggioranza, andata al governo con certe promesse elettorali, salvo poi rimangiarsele mettendo in scacco il Paese. Ma quale strada maestra? Quale maggioranza?
Qui siamo trattati a “Pravda e manganello”, caro Enrico.
Spero di vederti il 5 dicembre, a Roma, al No B Day. Io e l’Italia dei valori ci saremo, anche con la pioggia, per ascoltare dal palco i lavoratori in cassa integrazione e i precari senza futuro. Così come saremo alla vostra manifestazione dell’11 e 12 dicembre. E’ il contatto con la gente che non bisogna mai perdere per non diventare dei “berluscones”: questa è la sola, ed unica, strada maestra, il resto è politichese da quattro soldi. Il 5 dicembre, a Roma, vedremo chi dei tuoi colleghi sta con la gente e chi si chiude nel bunker. Spero tu sia tra i primi.
INCUBO “PIOVRA”
di Giuseppe Lo Bianco
Mentre il procuratore di Firenze Giuseppe Quattrocchi smentisce l’esistenza di una nuova indagine sulle stragi del ‘93 nei confronti di Berlusconi, la Procura di Palermo sta valutando molto attentamente la richiesta di riapertura dell’indagine per mafia nei confronti del premier nell’ambito del fascicolo aperto sulla trattativa mafia-Stato. '”Stiamo esaminando un materiale probatorio molto ampio e molto complesso – dice una fonte della procura siciliana – che ci porta a ritenere l’esistenza di un rapporto di interlocuzione tra i boss mafiosi e ambienti imprenditoriali milanesi nella stagione delle stragi, tra il ‘92 e il ‘93”. Smentite a Firenze, dunque, quelle che Berlusconi ha definito ieri voci “infondate e infamanti”, ma messe in giro come certezze dai giornali di famiglia, Libero e il Giornale, riprendono quota a Palermo, dove le accuse contro il premier, da Spatuzza a Massimo Ciancimino, sono oggetto da giorni di indagini approfondite che puntano a delineare il contesto in cui sono maturate le stragi.
Così, mentre Berlusconi a Olbia si scaglia contro le fiction tv sulla mafia e contro chi scrive libri sull’argomento (“se trovo chi ha fatto le nove serie de La Piovra e chi scrive libri sulla mafia che ci fanno fare una bella figura lo strozzo”), la sensazione – nonostante il premier provi pure qualche burla lamentando che inviterebbe anche qualche ospite “a cena, ma dopo i soldi che mi ha chiesto la mia signora per il divorzio credo che il menu sia scarso” – è che il momento della svolta sia ormai imminente: del resto il fascicolo 6031 del ‘94, che contiene le posizioni archiviate di Berlusconi e di Dell’Utri per concorso in associazione mafiosa è già stato recuperato dalla polvere degli archivi ed è tornato sui tavoli dei magistrati della procura che hanno chiesto la riapertura dell’inchiesta per un terzo indagato, Francesco Paolo Alamia, impegnato con don Vito Ciancimino alla fine degli anni Settanta in una serie di investimenti nel nord Italia. Una storia di riciclaggio recentemente arricchita dalle dichiarazioni del figlio di don Vito, Massimo Ciancimino, che ai pm di Palermo ha raccontato i dettagli di quelle operazioni finanziarie che avrebbero lambito gli ambienti della Fininvest. E le voci su un’iscrizione del nome del premier nel registro degli indagati circolano da giorni a Palermo, anche se finora sono state sempre smentite in procura, dove si tiene a precisare che un’eventuale iscrizione non riguarderebbe Dell’Utri, sotto processo per concorso in associazione mafiosa in un aula della Corte d’appello, perché condannato a nove anni in primo grado.
Nuove sorprese potrebbero infatti arrivare da questo processo a Torino il 4 dicembre prossimo, quando verrà sentito in aula Spatuzza, autore delle nuove accuse trasmesse a Palermo dalla Procura di Firenze, dove ieri i pm si sono affrettati a precisare che gli indagati (o l’indagato) nuovi non sono i mandanti, e cioè l’ipotesi 'Berlusconi-Dell’Utri' lanciata da Libero, ma solo un esecutore materiale: “C’è un modello 21 – ha detto il procuratore Quattrocchi – che riguarda residui di possibili soggetti che, secondo noi, non sono stati raggiunti a suo tempo da quanto giovava per la pronuncia della sentenza” sulle stragi del 1993. Ed ha aggiunto che questo nuovo elemento “non cambia granché nel panorama delle condanne: verosimilmente si tratta di qualcuno già sistemato in altro modo”, lasciando intendere che si parlerebbe di un personaggio già noto, se non già condannato, per la sua partecipazione alla criminalità organizzata. Il procuratore ha poi aggiunto che si tratta “di fatti passati in giudicato ma che non precludono la rivisitazione di altre responsabilità”.
Un’ipotesi “minimalista” commentata amaramente dai familiari delle vittime di via dei Georgofili, che considerano il nuovo eventuale processo un’inutile passerella. E verità, infine, invoca anche Rita Borsellino, secondo cui a Berlusconi '”dà fastidio che questo passato torni alla ribalta. Forse ci si era acquietati nella consapevolezza che c’erano state delle sentenze che avevano chiuso un capitolo. E nel momento in cui questo capitolo si riapre ci sono reazioni scomposte”.
Bersaglio Mussolini, obiettivo Fini
La guerra senza quartiere tra Fini e Berlusconi ormai prende forme e rivoli impazziti e imprevedibili. Venerdì in prima pagina Il Giornale annuncia l’esistenza di un video hard con protagonisti Alessandra Mussolini e Roberto Fiore, registrato dal circuito interno di videocamere della sede romana di Forza Nuova. La notizia segue uno strano canale: spunta su Indymedia, la rete network dell’informazione no global e rimbalza sul quotidiano di Vittorio Feltri (secondo la stessa Indymedia il video sarebbe stato visionato dal giornale di casa Berlusconi per valutare un eventuale acquisto). “Vedi che a innescare il ventilatore gli schizzi giungono dappertutto e senza fine?”, scrive il Giornale. Un commento in veste di domanda che sembra tanto una minaccia. E infatti, è uno strano obiettivo Alessandra Mussolini. Che si colpisca lei per colpire ancora una volta il Presidente della Camera in quanto persona a lui vicina è un’ipotesi, per quanto azzardata (la Mussolini non è da annoverarsi tra i finiani). Da segnalare, però, in questo senso, la solidarietà di Fini, ex Segretario della deputata. Ma un passo avanti lo fanno le due pagine dedicate ieri alla questione dal Secolo d’Italia, in prima linea nella guerriglia interna al Pdl. Il giornale diretto dalla Perina, con due articoli dal taglio molto chiaro (“Il Giornale fa un’altra vittima” e “Le deputate del Pdl: ignobile, non è politica né giornalismo ma demolizione delle persone”) fa notare che la Mussolini “non ha nascosto di simpatizzare per le posizioni finiane sull’immigrazione”. Ma va oltre: “Feltri - scrive - con le “veline ingrate” usa la mano pesante”, ricordando il caso che portò alle dimissioni di Boffo. E stavolta lo fa senza verifiche, denuncia. Mentre invece, sottolinea, il video di Marrazzo esisteva davvero, così come le registrazioni della D’Addario a Palazzo Grazioli, e come c’è stato il party di Noemi a Casoria. In questo senso, quello del Giornale, che aveva già avvertito Fini dell’esistenza di dossier che lo riguardavano, suona davvero come una minaccia per ricordare al presidente della Camera che tali dossier esistono e sono nel cassetto, pronti ad essere usati all’occorrenza. Nel frattempo, Alessandra Mussolini ha deciso di reagire e, negando tutto, ha dichiarato: “Siamo come negli anni Settanta. Prima gambizzavano. Ora fanno così: non lanciano pallottole, ma video hard”. Restano poi i dubbi sullo stesso video. Secondo quanto scrive il Riformista esisterebbe davvero e sarebbe transitato già da un mese sulla scrivania del direttore di Chi, Alfonso Signorini. A metterlo in circolazione, qualcuno talmente vicino a Forza Nuova da avere accesso al circuito chiuso della sede.
Guerra civile nel Pdl Feltri non fa prigionieri
Il Giornale scrive su di lui, e gli attribuisce parole di fuoco: “Berlusconi è morto. Morto. Lo capite? A maggio sarà questo, l’assetto politico”. Gianfranco Fini smentisce in maniera lapidaria: “Quelle frasi sul presidente del Consiglio non le ho mai dette e non corrispondono ai miei pensieri”. Certo, per ora è una guerra di carta, a mezzo stampa. Però è definitivamente guerra, tra Silvio Berlusconi e il presidente della Camera. Un conflitto che ogni giorno produce un vero e proprio bollettino di guerra, morti e feriti. Una guerra di posizione dove le trincee contrapposte si scambiano continue incursioni.
Ormai inizia ad essere storia: dapprima fu la fronda, alla maniera francese, fatta di distinguo e staccate. Poi è venuto il tempo della guerriglia, che ha forgiato i vietcong finiani, e ha collaudato le contraeree, i killeraggi e le rappresaglie dei pasdaràn del premier. Adesso è arrivato il tempo della battaglia in campo aperto. Fini è il nuovo nemico dichiarato del leader del Popolo, le buone maniere e le apparenze sono state archiviate, e dunque Fini è diventato l’oggetto primario delle attenzioni del Giornale di Vittorio Feltri che, anche quando da le notizie, lo fa in modo da mettere nell’angolo il presidente della Camera, entrando nel vivo del contenzioso. Da giorni il quotidiano di Feltri e di Alessandro Sallusti aveva cannoneggiato duro: prima un ritratto al vetriolo di Italo Bocchino, proconsole di Fini nel gruppo parlamentare. Poi una raffica di stoccate contro Fabio Granata, il centravanti della squadra presidenziale. Quindi un ritratto di carta vetrata per Flavia Perina, la direttrice del Secolo, punta di diamante del team. In mezzo, un vero e proprio avvertissment per via editoriale: attento Fini, perché potrebbe uscire fuori qualcosa che riguarda te o un dirigente a te vicino. Ieri un altro affondo, con un lungo ed informato retroscena del corsivista Roberto Scafuri che aveva un doppio effetto pratico: costringere Fini a smentire, o (nel caso contrario) uscire allo scoperto come antagonista dichiarato del premier. Basta un piccolo florilegio delle frasi riportate per capire il tenore dell’articolo. Secondo quanto riferisce Scafuri, Fini non avrebbe più nessuna cautela quando parla del suo (ex) alleato con i dirigenti che gli sono più vicini: “I rapporti tra noi sono inesistenti. In un momento del genere qualsiasi ostacolo è in grado di abbatterlo”. E poi, delineando una scenario di rottura: “Se si arriva al voto – sostiene Fini secondo il Giornale - vedrete quanti ci seguiranno. Quando Schifani ha minacciato le urne Berlusconi ha fatto una conta veloce. La retromarcia nasce dal fatto che non aveva i numeri”. Stoccata finale: “Io non mi metto a fare il servo, non sono mica uno Schifani o un Gasparri”.
Dato che il presidente della Camera ha già querelato Il Giornale per gli articoli precedenti, un retroscena così dirompente non poteva essere trascurato. Ed ecco che nel pomeriggio arriva la nota del portavoce. Come se non mancasse, sempre il quotidiano di via Negri dava amplificazione a qualche dissidente di An rispetto alla linea dell’ex leader della Destra italiana. Amedeo Laboccetta attacca dalle colonne del Giornale Italo Bocchino e Fabio Granata: “I veri amici di Fini - sono quelli che non cercano visibilità, quelli che quotidianamente si impegnano affinché l’accoppiata tra Berlusconi e il suo naturale successore non si sfasci”. Granata ribatte persino via sms, facendo arrivare la sua replica sul telefonino dei cronisti prima ancora che sulle agenzie: “Ho l’impressione che Laboccetta sia nervoso per lo stop a Cosentino. E comunque se parlare di legalità, trasparenza e buona politica per qualcuno significa ‘ricercare visibilità’ stiamo in una deriva pericolosa e allo stesso tempo significativa”. Sullo sfondo restano i nodi cruciali: il processo breve con il tira e molla tra i due leader. I dissensi sempre più radicali sulle questioni civili con le dichiarazioni di Fini sul caso Englaro (“Avrei fatto come lui”) che contraddicono in tutto e per tutto la linea seguita dal governo, e la linea di rottura sull’immigrazione. Proprio sulla cittadinanza, ieri Fini ha ribadito le sue posizioni: “La grande sfida dell’integrazione deve essere vinta attraverso un programma di estensione della cittadinanza sociale e di quella politica”. Scelta evidentemente non casuale, mentre dall’altra parte si affrettava a smentire il Giornale. E anche Umberto Bossi, da Vicenza è tornato ad attaccare il presidente della Camera: “Fini dice le sue idee ma che sono bocciate dal suo partito... ha detto che non darà mai il voto agli immigrati. E penso che in nessun paese si darà il voto agli immigrati: chi non e' cittadino non può votare, punto”.
È difficile capire per quanto tempo la trincea dei finiani potrà resiste a questa impressionante successione di attacchi concentrici.
“Custer” e “Cleo” vanno in carcere: una festa per i cuccioli dei detenuti
"Figlio mio, lascia questo Paese"
Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.
Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.
Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.
Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.
Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi.
Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.
Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.
Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.
Preparati comunque a soffrire.
Con affetto,
tuo padre
L'autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli.
(30 novembre 2009)
La mafia non esiste, Berlusconi e Dell'Utri invece si
Sommario della puntata:
Chi sono i "pentiti"
Tante balle, poche risposte
Berlusconi, Dell'Utri, Spatuzza e i Graviano
Cosa spaventa davvero Berlusconi
Testo:
Buongiorno a tutti. Sembra di essere ritornati a dieci o quindici anni fa, quando partirono le prime indagini sui rapporti mafia /politica a proposito degli ambienti berlusconiani. La caratteristica che accomuna quei tempi ai tempi di oggi, ai giorni di oggi, è che nessuno risponde mai sul merito delle questioni e si alzano sempre dei grandi polveroni, delle grandi parole d’ordine.
Chi sono i "pentiti"
Vi faccio qualche esempio: in questi giorni si sta cercando di rispondere alle nuove rivelazioni che, tra un attimo, vi riassumerò, con argomenti del tipo “ ma questi pentiti sono gente che ha sciolto i bambini nell’acido, sono gente con venti ergastoli, sono gente che ha ammazzato per tutta la vita, sono dei mafiosi: come facciamo a fidarci di loro?”, in realtà non c’è nessun rapporto tra il fatto che uno abbia commesso dei gravissimi delitti e il fatto che racconti bugie. Possono esserci persone che raccontano bugie e non hanno commesso mai alcun delitto e persone che dicono la verità e che hanno passato la vita a delinquere: del resto, il fatto che il pentito dica la verità lo si verifica quando parla dei propri delitti, prima di fare i nomi dei suoi complici e dei suoi mandanti; di solito il pentito è uno che ha confessato i delitti di cui stiamo parlando e quindi sappiamo che ha commesso i delitti di cui stiamo parlando proprio perché l’ha detto lui e, grazie a quelle confessioni, è stato poi condannato a più ergastoli, anche se la legge consente ormai dei modici, prima erano molto più abbondanti, quando la legge la ispirò Falcone erano molto più abbondanti, sconti di pena e benefici carcerari.
Naturalmente a qualcuno potrà anche ripugnare il fatto che si vadano a sentire dei pentiti di mafia per sapere le cose di mafia: purtroppo non si è mai trovato nessun altro, se non i mafiosi, che fosse in grado di raccontare che cosa succede nella mafia, perché? Perché la mafia è una società segreta, gli affiliati hanno il vincolo della riservatezza assoluta, non possono neanche dire, ovviamente, in giro di essere mafiosi, non possono dirselo neanche tra loro, salvo alcune circostanze molto normate dalle regole mafiose e conseguentemente, per sapere qualcosa della mafia, bisogna sentire i mafiosi. Poi, naturalmente, bisogna verificare che dicano la verità, ma non è che uno, perché è mafioso, sia di per sé bugiardo e dopodiché in questi anni abbiamo visto centinaia, centinaia e centinaia di pentiti: di pentiti che hanno raccontato bugie ce ne sono pochissimi, quando leggete sui giornali “ non dimentichiamo che i pentiti sono quelli che avevano detto che Andreotti aveva baciato Riina”, intanto è una truffa, perché Balduccio Di Maggio non disse che Andreotti aveva baciato Riina, aveva detto un’altra cosa, ossia che quando Andreotti entrò nella casa di Nino Salvo e incontro Riina, quest’ultimo gli si fece incontro e lo baciò sulla guancia, per cui è Riina che saluta con il bacio rituale Andreotti e non viceversa, ma in ogni caso non c’è scritto da nessuna parte che quella sia una bugia, non c’è nessuna delle sentenze Andreotti che dica che Balduccio Di Maggio mentiva, c’è semplicemente scritto che non sono stati trovati riscontri sufficienti per ritenere che quell’incontro, raccontato da Di Maggio, ci sia stato, ma non c’è scritto che ci sono le prove che non c’è stato, tant’è che nessuno, neanche uno dei 38 pentiti che accusavano Andreotti è mai stato incriminato per calunnia, cosa che sarebbe stata obbligatoria nel caso in cui i giudici avessero riscontrato che anche solo uno di quei 38 aveva mentito e del resto, come sapete e come purtroppo non sa Eugenio Scalfari, il quale ieri ha parlato di un processo che è finito in assoluzione in parte con formula piena e in parte con formula dubitativa. Non c’è nessuna assoluzione con formula piena nel processo Andreotti, Andreotti fu assolto con la vecchia insufficienza di prove in primo grado, in appello gli fu peggiorata la sentenza di primo grado, ribaltandone la parte del periodo fino al 1980 e lì fu dichiarato colpevole, ma prescritto per il reato commesso di associazione a delinquere con la mafia fino alla primavera del 1980. Dopo il 1980 fu confermata l’assoluzione per insufficienza di prove, che era stata data in primo grado. La Cassazione confermò la sentenza d’appello, per cui so che è suggestivo dire “ beh, ma quelli sono dei mafiosi che hanno sciolto i bambini nell’acido”: è vero, infatti è proprio per quello che sono dei testimoni privilegiati per raccontare quello che succede dentro la mafia, perché loro ne hanno fatto parte; certo, sarebbe bellissimo poter avere dei testimoni di mafia che hanno sempre fatto, nella loro vita, i frati francescani o le suore clarisse, ma purtroppo i frati francescani e le suore clarisse della mafia non sanno una mazza, perché non ne hanno mai fatto parte e conseguentemente è ovvio che, per sapere quello che succede in un’organizzazione criminale, bisogna sperare che qualcuno all’interno di quell’organizzazione criminale ce lo racconti. Del resto lo vedete, per qualunque delitto venga a essere commesso si vanno a cercare le persone più vicine alla vittima e, quando si scopre che c’è un’organizzazione criminale, si vanno a cercare tutte le persone che fanno parte di quell’organizzazione criminale, nella speranza che una di queste collabori con la giustizia. Se ci state attenti, la figura del pentito in realtà non esiste: chi è il pentito? Il pentito è un delinquente che, quando viene preso, ha due possibile strade, quando viene scoperto: la prima è negare tutto e tenere per sé i suoi segreti e coprire i suoi complici, i suoi capi e i suoi mandanti; l’altra è quella di rispondere alle domande dei magistrati e dire la verità, in tutti i Paesi del mondo chi risponde ai magistrati e dice la verità, ma non soltanto mafioso, anche membro di un’organizzazione dedita alle rapine, ai furti, all’immigrazione clandestina, al terrorismo etc., chi risponde e dice la verità ha delle attenuanti, dei premi, perché? Perché tutti gli Stati seri hanno tutto l’interesse a fare in modo che sempre più gente collabori con i giudici e con le forze dell’ordine, aiutando a scoprire anche gli altri personaggi o a scoprire gli altri reati che hai commesso, ma che i magistrati non sanno ancora che tu hai commesso. Per cui il pentito di mafia, come di terrorismo, non è una figura particolare: esiste in tutti i tipi di reati e in tutti i Paesi, c’è semplicemente, quando ti prendono, la possibilità o di mentire, di tacere e tenerti tutto dentro coprendo i tuoi complici, oppure collaborare. Se collabori è ovvio che lo Stato ti tratta meglio, dopo aver verificato che la tua collaborazione, ovviamente, è genuina: genuina non perché sei diventato buono, ma genuina perché hai detto la verità, poi se sei sempre stronzo come prima, oppure se sei diventato buono, quello allo Stato non deve interessare, allo Stato deve interessare se quello che hai detto è vero e per questo si vanno a fare i controlli.
Tante balle, poche risposte
Sentite dire tante stupidate in questi giorni: sentite dire, per esempio, che questa storia del concorso esterno in associazione mafiosa ce l’abbiamo solo noi etc., intanto abbiamo la mafia, abbiamo Cosa Nostra e gli altri Paesi non ce l’hanno, abbiamo la camorra e gli altri Paesi non ce l’hanno, abbiamo la ‘ndrangheta e gli altri Paesi non ce l’hanno, per cui è ovvio che ciascuno si occupa dei reati tipici del suo Paese. Certo in Danimarca non c’è il concorso esterno in associazione mafiosa, perché non c’è l’associazione mafiosa e conseguentemente non c’è nessuno che può concorrere, ma il concorso esterno in associazione mafiosa è un reato che la Corte di Cassazione ha già definito molto precisamente come il reato che viene commesso da quelle persone che non fanno parte permanentemente degli organici della mafia, della camorra e della ‘ndrangheta ma che, pur facendo un altro mestiere, sono a disposizione non per fare una volta un favore, in quanto quello si chiama favoreggiamento, ma per essere sempre a disposizione dell’organizzazione per ogni evenienza e in qualunque momento. Questo è il concorso esterno in associazione mafiosa. E’ evidente che il buonsenso ci spiega e ci dice che è giusto che esista questo reato, perché altrimenti come viene punito il medico che, pur non essendo affiliato con il rito della punciuta, della santina, della scorza d’arancio etc., ogni volta che gli portano un latitante o un killer ferito lo cura, senza dire di averlo curato? Come definire il prete che celebra matrimoni, funerali, sacramenti vari alle famiglie dei latitanti? Come definire il poliziotto che avverte i mafiosi dei blitz, come faceva Bruno Contrada quando era a Palermo? Infatti è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Che dire del politico che, pur non essendo mafioso di suo, è al servizio della mafia, nel senso che ogni volta che la mafia ha bisogno di un appalto, di un favore, di un’agevolazione, di un certificato etc...? Pensate all’impiegato dell’anagrafe che fa i documenti e rilascia i certificati ai mafiosi latitanti, pensate all’imprenditore che dà i subappalti regolarmente: non sono mica organici alla mafia, stanno ciascuno a casa propria, fanno ciascuno il proprio lavoro e, quando Mamma Santissima chiama, picciotto risponde, ma non sono affiliati e quindi sarebbe assurdo condannarli per associazione, partecipazione all’associazione, questo è il concorso esterno: è una cosa normalissima. E’ ovvio che a nessuno verrebbe mai in mente di fare il processo a qualcuno perché ha incontrato un altro: adesso leggete sui giornali che per il concorso esterno, basta incontrare uno al bar, ma sono tutte stupidaggini; la Corte di Cassazione ha stabilito che il concorso esterno regge, fino alla Corte di Cassazione appunto, soltanto quando si dimostra che c’è un asservimento della persona che sta fuori dalla mafia della mafia, che c’è una serie di condotte protratte negli anni, non un solo episodio o due episodi, che sarebbero singoli favoreggiamenti e che c’è uno scambio, un do ut des: io politico, poliziotto, prete, magistrato colluso, imprenditore, impiegato etc., ti faccio quello che tu mi chiedi e tu, in cambio, mi dai quello che voglio io, come i voti nel caso del politico, dei soldi nel caso del medico a libro paga, o cose di questo genere. Questa è protezione dagli attentati che ti faccio io stesso, nel caso dell’impresario o dell’imprenditore, questo è il concorso esterno, che naturalmente era considerato fondamentale da Falcone e Borsellino, che infatti furono i padri del reato di concorso esterno, visto che ne definirono i contorni per la prima volta, a proposito della mafia, nella sentenza /ordinanza del processo Maxi Ter a Cosa Nostra nel luglio del 1987, per cui quando sentite che Falcone e Borsellino non avrebbero mai usato il concorso esterno, sono tutte stupidaggini, in quanto l’hanno teorizzato loro, anche se l’idea che una grande associazione criminale si serva di personaggi esterni a sua disposizione non è nuova, ci sono già sentenze della Corte di Cassazione addirittura nell’800, quando la Corte di Cassazione aveva sede a Palermo, che configurano il concorso esterno in brigantaggio, perché all’epoca c’era o lo chiamavano brigantaggio, anche se somigliava molto alla mafia.
Soprattutto in questi giorni sentite dire che c’è una giustizia a orologeria, cioè che ci sono questi pentiti e questi magistrati che, a un certo punto, si mettono d’accordo tutti nazionale per spodestare Berlusconi. Chi dice questo, oltre a essere totalmente in malafede - infatti chi è che lo dice? Berlusconi - non sa come avvengono gli interrogatori e come iniziano le collaborazioni con la giustizia dei mafiosi. Il mafioso, come tutti gli imputati di reati gravi, ovviamente all’inizio centellina le cose: perché? Perché sta iniziando a collaborare con quello che è stato il suo nemico storico, il mafioso viene allevato fin da piccolo a odiare lo Stato, essendo lui un affiliato all’Antistato e quindi, l’idea di collaborare con i cosiddetti sbirri anche psicologicamente è un trauma, per cui all’inizio è faticosissima la collaborazione, è faticosissimo confessare le proprie colpe, è superfaticosissimo fare i nomi dei propri capi, con i quali si è legati o da parentela di sangue, o da una sorta di osmosi, dopo aver fatto tutto ciò che si è fatto (omicidi, paura, terrore anche per sé, perché certamente chi fa la vita del latitante può essere scoperto da un momento all’altro) tutto in osmosi con la propria famiglia, cioè con il proprio clan mafioso. L’idea di dover fare i nomi di tutti i tuoi amici, di tutti i tuoi capi che ti hanno dato soldi, prestigio, uno status sociale etc. è molto traumatico, conseguentemente ci si arriva per gradi. A volte bisogna proprio cavargliele con le pinze, certe cose ai pentiti: perché? Perché comunque distaccarsi dal proprio ambiente è un po’ come per il pesce che, a un certo punto, esce dall’acqua: non è facile e, a un certo punto, si pone il problema dei livelli superiori, ossia delle coperture politiche. Ora immaginate quale pazzo suicida mafioso decide spontaneamente, mettendosi d’accordo con il magistrato, dice “ adesso facciamo il nome di Berlusconi di Dell’Utri, così li buttiamo giù”, ma pensare che le cose vadano così significa non capire niente; il mafioso, prima di fare il nome di un uomo potente della politica o dell’economia, ci pensa milioni di volte e infatti da sempre abbiamo questa reticenza a parlare dei politici: perché? Perché il passato è maestro, la storia è maestra, almeno per i mafiosi: Buscetta, quando Falcone gli chiede dei politici, dice “ non apriamo questa porta, perché altrimenti prenderanno per matto lei e ammazzeranno me, oppure prenderanno per matto me e ammazzeranno lei, perché finché faccio i nomi di tutti i miei pari grado e di tutti i miei sottoposti non fregherà niente a nessuno, arresterete qualche vecchio mafioso, qualche pecoraio, qualche killer, il giorno dopo verranno immediatamente sostituiti e nessuno ci farà caso, ma se mi metto a fare certi nomi cominceranno a dire che lei è politicizzato, che lei strumentalizza i pentiti, che lei fa giustizia a orologeria” e Falcone, con un concetto un po’ elastico dell’obbligatorietà dell’azione penale, accetta che Buscetta non faccia i nomi dei politici. Per altro, nello stesso periodo, interrogato da un giudice americano che non aveva l’obbligatorietà dell’azione penale, perché in America l’azione penale è discrezionale, Buscetta fece il nome di Andreotti già nell’83, cioè dieci anni prima che venisse fuori il nome di Andreotti nelle inchieste di Palermo, vivo Falcone. In ogni caso è sempre successo così: il pentito, prima di fare i nomi di politici ci pensa duemila volte, deve capire se il giudice è affidabile e deve capire, soprattutto, se il giudice è un pazzo scatenato che prende delle iniziative, o se ha un potere reale alle spalle, cioè lo Stato vuole veramente che io, mafioso, faccia quei nomi, oppure appena li faccio lo Stato mi viene addosso? Perché il mafioso i rapporti di potere li annusa molto bene e quindi, se di fronte a lui c’è un interlocutore forte, autorevole, prestigioso, anche mediaticamente importante come era Falcone quando interrogava Buscetta, Falcone era una star giustamente, per fortuna, Buscetta parlava e voleva parlare solo con Falcone e tutti volevano parlare solo con Falcone o con Borsellino poi, esattamente come a Milano i “ pentiti” della politica e dell’economia ai tempi di tangentopoli volevano parlare con Di Pietro. Perché? Perché il criminale, colletto bianco o mafioso, avverte la calamita del potere e quindi dice, “ se parlo con un giudice abbastanza intoccabile non mi succede niente, se parlo con un pivellino che viene qua, mi fa fare tutti i nomi e dopodiché il giorno dopo lo trasferiscono in Sardegna io cosa ci faccio? Rimango con il cerino in mano”.
Berlusconi, Dell'Utri, Spatuzza e i Graviano
Quindi figuratevi se Spatuzza o gli altri della cosca di Brancaccio, cioè del clan Graviano, sono andati così a cuor leggero davanti ai magistrati di Firenze, di Milano, di Palermo, di Caltanissetta a.. “ sapete che c’è oggi? Oggi parliamo di Dell’Utri e di Berlusconi”, cioè del capo del governo e del suo braccio destro, ma non avviene così, avviene per gradi. Ecco perché il mafioso che collabora con la giustizia ha bisogno di un congruo periodo di tempo, perché è una nuova vita, è un nuovo modo di pensare, di porsi, sta facendo una cosa che mai avrebbe pensato di fare prima e quindi la stessa memoria non è che ti venga di colpo, hai lavorato 40 /50 anni per la mafia e come fai a ricordarti tutto subito? E’ chiaro che da cosa nasce cosa, da domanda nasce risposta: basta un qualcosa per farti ricordare e riportare alla mente un episodio, per cui stiamo parlando di un lavorio che dura da qualche mese, dove i magistrati, come abbiamo visto, registrano gli interrogatori, non è che facciano le cose.. fanno le domande che tutti farebbero in quel momento, per sapere chi diavolo suggerì a Riina l’omicidio di Borsellino e chi diavolo indicò a Bagarella e ai Graviano gli obiettivi strani, eccentrici all’apparenza di Maurizio Costanzo in Via Fauro, del padiglione di arte moderna e contemporanea in Via Palestro a Milano, delle basiliche di San Giorgio al Velabro e San Giovanni Laterano a Roma e, prima, della Torre dei Pulci vicina agli Uffizi, in Via dei Georgofili a Firenze. Questi sono gli argomenti, dopodiché Spatuzza che cosa fa? Quest’estate parla inizialmente di entità politiche, poi a furia di insistere dice anche chi erano e poi, ancora, dettaglia meglio ciò che gli dicevano i Graviano, perché lui personalmente non ha mai visto Berlusconi e Dell’Utri incontrare i Graviano, mentre dice di aver visto Schifani incontrare Graviano in un capannone di una fabbrica dove lui lavorava, era un lavoro di copertura. Allora racconta quello che gli dicevano Filippo e Giuseppe Graviano nei mesi delle stragi: se Spatuzza fosse uno mandato dalla sinistra - figuratevi se la sinistra è in grado di mandare qualcuno, tra l’altro! La sinistra non è in grado neanche di esistere! Ma- se fosse mandato da qualche potere occulto per fulminare Dell’Utri e Berlusconi, certamente racconterebbe di averli visti o di aver visto uno dei due, o di aver accompagnato i Graviano a incontrare Dell’Utri e Berlusconi, insomma fornirebbe degli elementi robusti che paff, ti danno la prova di un qualche incontro, tanto inventare per inventare inventatele bene le cose, se vuoi complottare. Invece no, Spatuzza non racconta niente di cose viste da lui: Spatuzza si ferma a quello che ha sentito dire da Graviano e dopodiché che cosa fanno i giudici? Vanno da altre persone che frequentavano Spatuzza per dire loro “ ma a voi Spatuzza ha mai detto prima queste cose qua etc.?” e molte di queste dicono “ sì, certo”, è così che stanno andando avanti le indagini, non c’è nessuna ombra di complotto, proprio perché ci sono magistrati che stanno indagando da 16 anni, 17 anni sulle stragi che continuano imperterriti a indagare sulle stragi, ben sapendo che c’è un lato B delle stragi che non è mai stato esplorato, perché nessuno ha mai voluto inoltrarvisi, o perché quei pochi collaboratori di giustizia che ci si erano inoltrati non bastavano, in quanto parlavano tutti de relata refero, cioè avevano sentito parlare i loro capi o i loro colleghi di certi ambienti, ma non erano in grado di portare degli elementi probanti sufficienti a giustificare un giudizio, ma molto lavoro era già stato fatto prima. Chi di voi ha letto “ L’Odore dei Soldi” trova le requisitorie del giudice Tescaroli, ci sono le confessioni di Salvatore Cancemi, che tira in ballo per primo Berlusconi e Dell’Utri nelle stragi, ci sono molti altri collaboratori di giustizia che corroborano, c’è la sentenza Dell’Utri, dove si parla anche del suo ruolo nel periodo delle stragi; c’è Giovanni Brusca che racconta molte cose delle trattative delle stragi, anche se a mio avviso non ha detto tutto, c’è molto di più nella testa di Brusca e questo dimostra ancora una volta la paura con cui i pentiti affrontano gli argomenti della politica, altro che buttare lì il cuore oltre l’ostacolo per cacciare via un governo! Semmai mentono per difetto, perché dicono molto meno di quello che sanno, anche perché se dici una cosa che sai e poi non si trovano i riscontri magari qualcuno potrebbe anche pensare che sei un calunniatore, mentre semplicemente sei una persona che ha detto una cosa che poi, anni dopo, non si è riusciti a dimostrare. Uno ha visto un tizio e come fa a dimostrare di averlo visto anni dopo?
Tenete presente che molto spesso il pentito, che viene dipinto come un fanfarone, un chiacchierone etc., in realtà dice molto meno sul tema mafia e politica di quello che sa, non molto di più, molto di meno, perché ha paura, giustamente ha paura: già solo per il fatto che, se mente, gli sterminano l’intera famiglia fino al terzo grado e poi vedete le campagne di stampa che si fanno contro i pentiti, non appena fanno certi nomi e questi non sono mica scemi, se non capiscono proprio che lo Stato vuole fare sul serio in certe indagini, col cavolo che fanno certi nomi!
Spatuzza che cosa dice? Spatuzza, in estrema sintesi, dice questo: dice che nel gennaio del 1994 i fratelli Graviano - che sono quelli che vengono incaricati di fare, nella primavera /estate del 93.. scusate, che sono stati incaricati di fare le stragi della primavera /estate del 93, stragi che quindi c’erano state sei mesi prima, perché qui siamo nel gennaio del 94, ebbene i fratelli Graviano - in un bar di Roma vicino al Parlamento gli dissero “ tutto si è chiuso bene, abbiamo ottenuto quello che cercavamo, ci siamo messi l’Italia nelle nostre mani”, dice Spatuzza, “ mi fa il nome di Berlusconi, gli domando “ ma quello di Canale Cinque?” e lui mi dà conferma, poi mi dice che c’è anche un paesano nostro e mi fa il nome di Dell’Utri”. Quando poi - guardate, siamo nel gennaio del 1994- il 26 gennaio del 1994 Berlusconi va in onda con il messaggio videoregistrato, dove annuncia la sua discesa in campo, “ quando li vedo scendere in politica partecipando alle elezioni e vincendole, capisco che sono loro direttamente quelli su cui abbiamo puntato tutto” e allora Giuseppe Graviano gli dice “ l’accordo è definitivamente preso, ritengo di poter escludere - dice Spatuzza - categoricamente, conoscendoli assai bene, che i Graviano si siano mossi nei confronti di Berlusconi e Dell’Utri attraverso altre persone. Non prendo in considerazione la possibilità che Graviano abbia stretto un patto politico con costoro senza averci personalmente parlato”, questo è quello che dice Spatuzza, aggiungendo due cose. La prima cosa riguarda i soldi di Berlusconi: “ i soldi di Berlusconi”, dice Spatuzza, “ provenivano anche da Cosa Nostra” e lui si riferisce a investimenti piuttosto recenti rispetto alle stragi, cioè dei primi anni 90, che i Graviano avrebbero fatto a Milano e in Sardegna, infatti i Graviano nel 1993 spariscono da Palermo, nessuno sa più dove sono andati e poi si scopre che stanno stabilmente a Milano e d’estate, mentre scoppiano le bombe, stanno Costa Smeralda, a poche centinaia di metri da una certa villa di un certo attuale Presidente del Consiglio. In quel periodo Spatuzza sostiene che i Graviano avevano investito dei soldi dentro le aziende del Cavaliere, tant’è che dice “ seguivano la borsa, parlavano della Fininvest come fosse roba loro, come se fossero soldi loro”, questo dice Spatuzza. E poi dice un’altra cosa: dice che tre anni fa.. anzi, scusate, due anni fa i Graviano, con i quali lui parlò in carcere, perché erano tutti in galera in quanto furono arrestati il giorno dopo della discesa in campo di Berlusconi, il 27 gennaio a Milano, rimangono in galera quindici anni e, dopo quattordici anni di galera, dicono a Gaspare Spatuzza “ qui o cambiano le cose, o arriva qualcosa per noi, oppure dobbiamo andare a parlare con i magistrati”. Capite che questa è una frase abbastanza interessante: perché? Perché in quella frase ci si dice che i Graviano stavano aspettando un qualche favore per alleviare le loro condizioni di carcerati in isolamento al 41 bis e che, se non si fossero risolte le loro faccende, avrebbero dovuto andare a parlare con i magistrati. Poi quello che succede lo sappiamo: a parlare con i magistrati ci va Spatuzza e, dietro di lui, arrivano altri tre membri della famiglia Graviano, cioè oggi abbiamo tutto il vertice del clan Graviano che collabora con i magistrati, tranne i capi supremi, cioè i fratelli Graviano, Filippo e Giuseppe Graviano. Abbiamo Gaspare Spatuzza, il quale dice appunto che, nel gennaio del 94, c’era stato l’accordo con Berlusconi e Dell’Utri e quindi non c’era più bisogno di fare il famoso attentato allo Stadio Olimpico, che avrebbe dovuto uccidere almeno cento Carabinieri, c’è Pietro Romeo, il quale dice “ sì, è vero, risulta anche a me quello che dice Spatuzza, perché quando un giorno stavamo parlando di armi e altri argomenti seri e fu chiesto a Spatuzza se il politico dietro le stragi fosse Andreotti o Berlusconi, Spatuzza rispose Berlusconi. La motivazione stragista di Cosa Nostra era quella di far togliere il 41 bis”, poi c’è Salvatore Grigoli, l’assassino di Don Puglisi, uno dei killer prediletti della cosca dei Graviano, il quale dice “ dalle informazioni datemi, le stragi erano fatte per costringere lo Stato a scendere a patti, Dell’Utri è il nome da me conosciuto quale contatto politico dei Graviano. Quello di Dell’Utri per me in quel momento era un nome conosciuto, ma neanche particolarmente importante. Quello che è certo è che me ne parlarono come del nostro contatto politico”. E poi l’ultimo membro dei Graviano che parla è Giuseppe Ciarramitaro: anzi, aveva già parlato prima di tutti gli altri, nel 96 e aveva detto più genericamente che “l’attacco allo Stato aveva degli obiettivi che venivano indicati da un politico e che, quando questo politico avrebbe vinto le elezioni, si sarebbe interessato a fare abolire il 41 bis. Quando Berlusconi divenne Presidente del Consiglio per la prima volta nell’organizzazione erano tutti contenti, perché si stava muovendo nel senso desiderato e si disse, in ambito di Cosa Nostra, che la proroga del 41 bis era una finta, in modo da eliminarlo definitivamente”.
Guardate, ci sono addirittura i boss irriducibili del clan Graviano che accettano di parlare con i giudici, anche se non sono pentiti: il mafioso non accetta, oppure non parla, invece questi accettano di parlare, come un certo Tutino e un certo.. anzi, il famoso, famigerato Lo Nigro. Quando Spatuzza viene messo a confronto con Lo Nigro quest’ultimo, invece di dirgli “ infame, crasto”, come dicono i mafiosi ai pentiti, invece di fargli sparare alla famiglia gli dice “ io ti rispetto” e è la stessa cosa che dicono Filippo e Giuseppe Graviano, che non smentiscono mai recisamente quello che dice Spatuzza, anzi gli dicono che lo rispettano. Sembra quasi che i Graviano abbiano mandato avanti i picciotti, Spatuzza e gli altri picciotti della cosca, per raccontare le prime cose e che loro si tengano defilati perché stanno ancora sperando che questo governo faccia qualcosa per loro, visto che da anni stanno dicendo “ o fanno qualcosa per noi, o andiamo anche noi a parlare” e naturalmente, se andassero anche loro a parlare con i magistrati, evidentemente non si tratterebbe più di cose che hanno appreso da altri, de relata, ma si tratterebbe di cose che hanno fatto personalmente e potrebbero anche avere in mano qualche cartuccia, qualche carta, tant’è che Spatuzza dice che i Graviano “ hanno il jolly in mano”, perché il jolly sarebbero quei famosi investimenti nelle società di Berlusconi. Naturalmente questo aspetto dei soldi e delle capitalizzazioni e dei finanziamenti alle società berlusconiane è un aspetto avevamo già affrontato, ovviamente avevamo fatto il libro, “ L’Odore dei Soldi”, che è stato anche ripubblicato recentemente e quindi troverete molti passaggi che qualche giornalista dell’ultima ora copia, senza neanche citare la fonte, insomma molte cose le sapevamo e le avevamo già dette in tempi non sospetti.
Cosa spaventa davvero Berlusconi
La cosa è interessante è quello che sta succedendo a Palermo e che ha raccontato Peter Gomez su Il Fatto Quotidiano: Don Vito e il consulente; io credo che, più che Spatuzza, a preoccupare il Cavaliere sia questo fronte, perché? Perché il figlio di Ciancimino sta portando in Italia le carte del padre, che erano nascoste in cassette di sicurezza in qualche paradiso fiscale e, nelle carte del padre, ci sono anche le bozze di un libro che il padre, quando è morto, stava scrivendo e lì, scrive Gomez - e mi fido di Peter Gomez- insieme a Marco Lillo “ ci sarebbero elementi documentali sul ruolo che svolse negli anni 70 e 80 Ciancimino per portare capitali mafiosi dentro queste società di Milano o di Milano 2, Pancarasini, famiglie Buscemi, Bonura, Teresi, Bontate” e stiamo parlando dei famosi capitali di misteriosa origine, le famose valigie di contanti che andavano a ricapitalizzare certe società della finanziaria d’investimento Fininvest Srl. Se fosse vero che arrivano carte su quei soldi, è evidente che verrebbe riaperta a Palermo l’indagine per mafia e riciclaggio che era stata aperta a suo tempo non solo su Dell’Utri, ma anche su Berlusconi, che poi era stata archiviata, cioè congelata in attesa di elementi nuovi.
Sono elementi nuovi diretti documentali, quelli che può portare il figlio di Ciancimino, che sono in grado di fare riaprire quell’indagine e, se gli elementi fossero sostanziosi, potrebbero portare anche a un processo per quell’origine dei capitali, se quell’origine fosse finalmente nota, carte alla mano. Mentre invece per il momento Berlusconi, è chiaro, sarà probabilmente iscritto nel registro degli indagati anche per le indagini sulle stragi, se già non lo è, a Firenze come a Caltanissetta, ma non è quello il fronte dal quale gli possono derivare dei guai giudiziari seri, perché finora abbiamo molti mafiosi che parlano, ma tutti de relata: finché non collaborano i fratelli Graviano e non danno eventualmente qualche elemento oggettivo diretto o personale, su quel fronte lì il Cavaliere processi non ne avrà, riapriranno le indagini e poi i magistrati saranno costretti a archiviarle un’altra volta, mentre invece il fronte caldo è quello delle origini delle fortune di Berlusconi. Sono quei famosi capitali che il Cavaliere è talmente sicuro di aver messo lui che, quando i magistrati gli hanno chiesto chi gli avesse dato quei soldi, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Passate parola, continuate a leggere Il Fatto Quotidiano perché, anche questa settimana, ci saranno grosse novità su questi fronti e sabato non dimenticatevi la manifestazione a Roma, il No B. Day. Buona settimana, grazie.
Peer-to-peer, occhio alle brutte sorprese
Condividere informazioni non è mai stato così facile con i sistemi peer-to-peer (da pari a pari) via Internet: ma quando si condividono file bisogna fare attenzione a non incappare senza volerlo nell’illegalità o in pericoli seri per i propri dati personali e per la stessa "salute" del computer, esposto all’azione dannosa di virus o trojan: è la Polizia a mettere in guardia i navigatori dalle insidie nascoste nei portali di condivisione, e l'esempio che viene fatto per tutti è e-mule, tra i più gettonati per scaricare gratis gli mp3 musicali.
«Questi siti - dice Andrea Rossi, dirigente del Compartimento di Roma della Polizia Postali e delle Telecomunicazioni, intervistato dall'agenzia Adnkronos - sono di per sè perfettamente legali. Il problema sorge quando ci si scambia file protetti da copyright, violando così la legge».
«Chi va in questi siti a cercare materiale video, ad esempio un film da scaricare, deve sempre tener presente che chi vuole far circolare in rete contenuti vietati dalla legge ovviamente non li chiama mai con il loro vero nome ed utilizza denominazioni fittizie. Può capitare, insomma -avverte Rossi- che anzichè il film di Biancaneve ci si ritrovi nel computer foto e materiali pedopornografici, con il rischio di finire sotto inchiesta e di dover giustificare la presenza di certe immagini nella memoria del proprio Pc».
Non basta: «in questo modo -rileva il Capo del compartimento della Polizia delle Telecomunicazioni di Roma- può anche capitare di importare involontariamente sul proprio computer pericolosi virus informatici o trojan in grado di riportare al mittente le password del computer "infetto" o altri dati personali riservati dell’utente caduto vittima del virus. Ultimamente si sono moltiplicate le denunce relative a casi di violazione della posta elettronica, in parte devoute alla debolezza delle chiavi d’accesso e in parte all’effetto di questi virus, che sono in grado di trasmettere al mittente i dati della vittima. Scaricare gratis file protetti da copyright, quindi, può essere molto pericoloso. Ed anche costoso, se si considerano le spese da sostenere per ripulire la memoria del computer».
Per mettere in guardia il popolo della Rete dai pericoli insiti nella navigazione on line, la Polizia ha diffuso sul proprio sito ufficiale (www.poliziadistato.it) una serie di consigli da seguire per evitare brutte sorprese. «Navigare su Internet -viene rilevato- può essere utile e divertente, ma nella rete possono nascondersi delle insidie. È importante conoscere alcune regole fondamentali. La Polizia di Stato presta particolare attenzione all’evoluzione del mondo informatico e elenca alcuni consigli sui pericoli della rete».
Questi i suggerimenti rivolti ai genitori: «dite ai vostri figli di non fornire dati personali (nome, cognome, età, indirizzo, numero di telefono, nome e orari della scuola, nome degli amici), potrebbero essere utilizzati da potenziali pedofili. Controllate quello che fanno i vostri figli quando sono collegati e quali sono i loro interessi. Collocate il computer in una stanza di accesso comune piuttosto che nella camera dei ragazzi e cercate di usarlo qualche volta insieme ai vostri figli. Non permettetegli di usare la vostra carta di credito senza il vostro permesso».
«Controllate periodicamente il contenuto dell’hard disk del computer usato dai vostri figli, verificando la "cronologia" dei siti web visitati. Cercate di stare vicino ai vostri figli quando creano profili legati ad un nickname per usare programmi di chat. Insegnategli a non accettare mai di incontrarsi personalmente con chi hanno conosciuto in rete, spiegando loro -raccomanda la Polizia- che gli sconosciuti così incontrati possono essere pericolosi tanto quanto quelli in cui ci si imbatte per strada».
«Leggete le e-mail con i vostri figli, controllando ogni allegato al messaggio. Dite loro -consiglia la Polizia ai genitori sulle proprie pagine web istituzionali- di non rispondere quando ricevono messaggi di posta elettronica di tipo volgare, offensivo o pericoloso e, allo stesso tempo, invitateli a non usare un linguaggio scurrile o inappropriato e a comportarsi correttamente. Spiegate ai vostri figli che può essere pericoloso compilare moduli on line e dite loro di farlo solo dopo avervi consultato».
«Stabilite quanto tempo i vostri figli possono passare navigando su Internet e, soprattutto, non considerate il computer un surrogato della baby-sitter. Esistono particolari software, facilmente reperibili su internet, che impediscono l’accesso a siti non desiderati (violenti o pornografici per esempio). I ’filtrì -spiega la Polizia- possono essere attivati introducendo parole-chiave o un elenco predefinito di siti da evitare. È opportuno però verificare periodicamente che funzionino in modo corretto e tenere segreta la parola chiave».
In tema di "contaminazione" telematica, la Polizia diffonde poi una serie di suggerimenti per difendersi dai virus. «Il timore di infezione da virus informatico sembra essere in aumento tra gli utenti della telematica. Proponiamo una lista di suggerimenti utili per ridurre i rischi di infezione. Fate dei regolari backup dei dati più importanti; Usate un software di protezione dai virus. Questo significa tre cose: caricarlo come primo programma in esecuzione, controllare ogni giorno se vi sono aggiornamenti sui virus e infine fare uno scan dei file del proprio computer periodicamente».
«Usate un Firewall come un "gatekeeper" tra il vostro computer e la rete Internet. I Firewall sono essenziali per coloro che hanno una connessione Adsl o via cavo a Internet ma sono preziosi anche per chi utilizza la connessione telefonica; non tenete il computer allacciato alla rete quando non lo usate. È consigliato piuttosto -consiglia la Polizia- disconnettere il computer, se necessario, anche fisicamente. Non aprite gli allegati delle e-mail provenienti da sconosciuti e verificate prima il nome dei mittenti e il soggetto».
«Siate sospettosi -raccomanda il sito www.poliziadistato.it nell’approfondimento dedicato alla sicurezza telematica- anche di ogni allegato inaspettato inviatovi da chi conoscete poichè esso può essere stato spedito senza che la persona ne sia a conoscenza da una macchina infettata; scaricate regolarmente i ’security patches’ (modifiche per incrementare la sicurezza dei software) dal vostro fornitore di software». Per quanto riguarda la password, «la scelta deve essere effettuata con molta accuratezza poichè rappresenta la nostra chiave di accesso e la garanzia per mantenere riservate le informazioni che ci interessano. Questo discorso vale per la scelta della password di accesso al Bios (programma del computer che carica il sistema operativo nella Ram e segnala lo stato di tutte le periferiche), così come per quella relativa ai servizi di posta o commercio elettronico».
Ecco le avvertenze da tenere in mente su quest’aspetto specifico: «evitate di scegliere nomi di congiunti e relative date di nascita, poichè sono abitualmente utilizzate per forzare la protezione da parte di chi vi conosce. Utilizzate per le password nomi di fantasia non presenti in dizionari italiani e stranieri, in quanto è possibile utilizzare tali dizionari in forma elettronica per violare un sistema protetto, utilizzando programmi adatti. Scegliete una combinazione di caratteri alfanumerici, vale a dire lettere e numeri, che creino una sigla facilmente memorizzabile per l’utente. Memorizzare la password, evitando di scriverla, è una garanzia per mantenerne l’integrità».
Tra democrazia e legalità c'è distinzione?
Caro direttore,
Barbara Spinelli nell’articolo pubblicato ieri su La Stampa critica la mia distinzione, avanzata in una trasmissione televisiva, tra principio democratico e principio di legalità accusandola di «leninismo». Avrei riportato in auge una distinzione tra democrazia sostanziale e democrazia legale.
Nella mia distinzione non c’è nulla di così sgradevole e mi spiace non essere stato sufficientemente chiaro.
Nella vicenda attuale si confondono due diverse questioni: una è relativa al processo in corso nei confronti del presidente del Consiglio e l’altra riguarda i conflitti tra magistratura penale e potere politico.
Sulla prima c’è poco da dire. In regime democratico non può essere approvata una proposta che abbia come fine precipuo quello di paralizzare uno specifico processo penale in corso, fosse anche nei confronti del presidente del Consiglio. E se quella proposta fosse approvata, sarebbe probabilmente incostituzionale, come i cosiddetti lodi Alfano e Schifani.
La seconda questione è più complessa. Nelle democrazie occidentali chi è investito della sovranità popolare (principio democratico) ha uno statuto particolare. Mentre tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge (principio di legalità), gli eletti alle massime cariche dello Stato possono essere esentati dalla responsabilità penale o, in modo assoluto, per determinati reati o, a tempo, sino a quando rivestono una specifica carica politica. E’ la prevalenza del principio democratico sul principio di legalità. La nostra Costituzione, ad esempio, prescrive la non punibilità dei parlamentari per le opinioni espresse, anche diffamatorie, nell’esercizio delle loro funzioni; prescrive, inoltre, la necessità dell’autorizzazione a procedere per arrestare un parlamentare o per processare un ministro accusato di aver commesso reati nell’esercizio delle sue funzioni. In caso di conflitto tra il voto del Parlamento (principio democratico) e la necessità di esercitare l’azione penale (principio di legalità), interviene la Corte Costituzionale.
La magistratura penale occupa una posizione centrale nel sistema politico. Anche per i discutibili criteri di selezione dei parlamentari, sono prevedibili altre occasioni di scontro con i poteri politici nel futuro. Non c’è niente di peggio di un conflitto tra magistratura e politica che non abbia una soluzione istituzionale. Perciò propongo che, in caso di conflitto tra magistratura da un lato e Parlamento o governo dall’altro, la Corte Costituzionale possa essere chiamata a decidere, attraverso una apposita procedura, se debba prevalere il principio di legalità o il principio democratico. Nessun fatalismo del Pd, quindi (è questa la seconda accusa della signora Spinelli). Ma solo il rifiuto di soluzioni ad personam, una responsabile preoccupazione per il deterioramento in corso e una soluzione coerente con i principi costituzionali per i futuri possibili conflitti tra magistratura e politica.
Quel che ho criticato, nel mio articolo del 29-11, è la presunta antinomia tra principio democratico e principio di legalità. L’antinomia non esiste, per il semplice fatto che la democrazia la Costituzione lo prescrive chiaramente nell’articolo 3, si fonda sulla legalità e sull’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Separare i due principi distrugge sia la democrazia sia la legalità. Il fatto che esistano eccezioni previste dalla Costituzione non invalida la norma, che ai cittadini, soprattutto in un'emissione televisiva dove il tempo di parola è brevissimo, deve esser chiarita in modo più netto di quanto abbia fatto l’on. Violante. Né si può sorvolare sul fatto che l’attuale presidente del Consiglio, volutamente ignorando la Costituzione, abbia separato il principio democratico e il principio di legalità fino al punto di annunciare: anche se fossi condannato, resterei al mio posto perché sono un eletto del popolo.
Quanto al fatalismo: perché dar per scontato che l’unica via sia quella di trovare uno scudo che garantisca l’attuale presidente del Consiglio, e non augurarsi che la classe politica (in particolare la coalizione di centro-destra) prenda finalmente le distanze da un leader sotto processo per corruzione di magistrati, sospettato di altri reati gravi, reso fragile per un conflitto d’interessi che la sinistra quando ha governato non si è mai curata di risolvere? Se Berlusconi venisse sfiduciato, la Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica accerti in concreto, facendo votare la fiducia su un altro nome, se in Parlamento esista una maggioranza sulla candidatura da lui designata. Questo per la nostra Costituzione (come del resto per le altre Costituzioni dei regimi parlamentari) non solo è perfettamente legale, ma non lede affatto la democrazia. E’ accaduto e accade in Germania, in Francia, in Inghilterra. Se non c’è la fiducia, il Presidente scioglie le Camere e si va a votare. Chi ritiene altrimenti, dando per scontato che solo un nome sia legittimo per la presidenza del Consiglio, viola con il suo modo di fare la Costituzione. Io ho dato a questo comportamento il nome di fatalismo, o politica della fiaccona, o appeasement ovvero accomodamento. Che nome gli dà l’onorevole Violante?
BARBARA SPINELLI
La prima nave verticale della storia
STAZIONE FLUTTUANTE - Oggi già esistono stazioni sottomarine, come l'Aquarius che si trova vicino alla costa di Key Largo, in Florida, ma sono immobili. Invece la SeaOrbiter si muove grazie alla forza delle correnti e soprattutto permetterà all'uomo di restare negli abissi per lunghi periodi. Sulla nave ci saranno 6 membri dell'equipaggio, 6 scienziati e 6 dottori. Questi ultimi dovranno studiare il comportamento umano nei fondali marini. Il costo di questa nave è di 35 milioni di euro. L'architetto Rougerie ha già raccolto la metà dei finanziamenti ed è certo che nei prossimi mesi riuscirà a mettere insieme il resto dei soldi. Lo studioso spera di costruire nel prossimo decennio ben sei vascelli verticali così da scoprire più velocemente i segreti dei fondali oceanici. La nave avrà una palestra, una zona per lo svago e una cucina. Tra gli studiosi che parteciperanno al progetto, vi è anche Jean-Loup Chrétien, il primo astronauta francese della storia, che s'interesserà principalmente del sistema anti-collisione della nave, basato sulle tecnologie usate dalla Stazione Spaziale Internazionale.
VIVERE SOTT'ACQUA - Tuttavia la vera mente del progetto è l'architetto Rougerie, famoso in tutto il mondo per le sue costruzioni sottomarine e che circa dieci anni fa pensò per la prima volta alla nave verticale. Recentemente gli è stato affidato il progetto del Museo archeologico sottomarino di Alessandria d'Egitto. «Un anno fa c'era solo il 50% delle possibilità che la prima nave verticale fosse realmente costruita - dichiara al Times di Londra - Oggi siamo al 90%». Secondo Rougerie una volta in acqua, la nave verticale ci farà conoscere un mondo davvero sconosciuto: «Al momento gli studiosi dei fondali marini possono immergersi negli oceani solo per brevi periodi e sono costretti poi a risalire in superficie - spiega l'architetto - È come se si volessero scoprire i segreti dell'Amazzonia, ma invece di stare lì per mesi, ogni ora arrivasse un aereo e ci riportasse a casa». Secondo Rougerie la sua creatura segnerà anche un decisivo passo per comprendere le variazioni della temperatura sottomarina: «Solo negli ultimi 50 anni abbiamo scoperto che ci sono delle vere e proprie stagioni sott'acqua - dichiara il sessantaquattrenne francese. - Lì sotto fioriscono piante, crescono foreste e vi è una vera vita. Il cibo e la medicina del futuro arriveranno dal mare. Solo adesso stiamo cominciando a capire quale ruolo importante hanno gli oceani nel fragile equilibro del nostro pianeta».
Francesco Tortora
28 novembre 2009
C'è un buco nero nella costellazione del Cigno, sciolto un'enigma durato 30 anni
L’IDENTIKIT - L’identikit costruito dagli astronomi porta a dire che nella sorgente c’è un micro-quasar, (Quasar significa Quasi Stellar Radio Source) con interessanti caratteristiche. «Si tratta di un minibuco nero – dice Ronaldo Bellazzini, dell’INFN – del quale abbiamo misurato il periodo orbitale nel suo viaggio attorno alla stella madre di grandi dimensioni. Cygnus X-3 è il primo esempio di quasar galattico misurato con grande attendibilità». «Così – aggiunge Patrizia Caraveo responsabile INAF per l’uso dei dati della missione Fermi – dopo tre decenni e molte ipotesi si è arrivati a chiarire un mistero che sembrava per questo impenetrabile». «Si indagava il soggetto già in passato con il satellite BeppoSax – precisa Enrico Flamini responsabile del programmi di osservazione dell’universo dell’ASI – ma adesso con gli strumenti di AGILE si è arrivati a vedere ciò che prima era impossibile e dunque a spiegare ciò che si nascondeva nella stranissima sorgente». «Il satellite italiano, infatti, chiariva – racconta Marco Tavani principal investigator di Agile - che nei periodi precedenti le emissioni radio si verificava un’altra emissione di radiazione ad alta energia, poi misurata dal satellite Fermi il quale certificava che si trattava di radiazione gamma con un flusso modulato di 4,8 ore. Era la prova definitiva che gli scienziati cercavano per sciogliere il mistero».
FOSSILE GALATTICO - Nei giorni scorsi gli astronomi italiani, in questo caso dell’Università di Bologna e dell'Istituto nazionale di Astrofisica, guidati da Francesco Ferraro, facevano notizia anche per un’altra scoperta. Riuscivano infatti a trovare un ammasso di due milioni di stelle nel cuore della nostra galassia Via Lattea e battezzato Terzan 5. L’ammasso è considerato il “residuo fossile” di un antico sistema proto-galattico dalla cui evoluzione si è sviluppata poi la nostra isola stellare. Il risultato è stato ottenuto con il telescopio Very Large Telescope, in Cile.
Giovanni Caprara
26 novembre 2009
Un iceberg gigante nell'oceano Pacifico
UN CASO RARO - Secondo il glaciologo Neal Young il gigante si sarebbe staccato 8 o 9 anni fa dall'area del Ross Ice Shelf, la più vasta piattaforma di ghiaccio dell'Antartide (487mila km quadrati). «È la prima volta che vedo un iceberg al largo dell'isola Macquarie da molti, molti anni - spiega Young -. Ora potrebbe dirigersi verso la Nuova Zelanda o potrebbe ruotare attorno a se stesso». Al momento si muove lentamente verso nord e non rappresenta un pericolo per la navigazione, ma potrebbe diventarlo se dovesse rompersi in più pezzi nei prossimi mesi o anni. «Fatti come questi saranno sempre più comuni se il cambiamento climatico continuerà a procedere alla velocità attuale» mette in guardia il glaciologo. L'isola di Macquarie è un sito protetto dall'Unesco e ospita un’enorme colonia di pinguini reali dal ciuffo dorato (o Eudipte della Nuova Zelanda), insieme a pinguini Re ed elefanti marini.
L. Cu.
12 novembre 2009